Scruton sa peraltro come fare. La sua biografia recita: «accademico, curatore, editore, avvocato, giornalista, romanziere e compositore». Un persistente tema nel suo lavoro è il suo tentativo di comprendere e difendere le conquiste della cultura occidentale: «Comprendere la musica» corona un trittico d’indagini auree svolte tra i capolavori dell’arte figurativa non meno che tra piazze e giardini ben temperati ( La bellezza. Ragione ed esperienza estetica, trad. it. Vita e Pensiero, Milano 2011), così come nel bello che coincide con il buono dei cibi e soprattutto dei vini ( Bevo dunque sono. Guida filosofica al vino, trad. it. Cortina, Milano 2010). Del resto è un «addetto ai lavori»; oltre che maestro di logica e di estetica, Scruton è anche un compositore affermato, autore di tre libretti di opere, due dei quali musicati e più volte eseguiti in pubblico: l’atto unico The Minister e Violet, in due atti.
Da quattro decenni l’originalità è il suo marchio: dalla politica che non teme di apparire reazionaria alla difesa dell’«indifendibile» (il fumo, la caccia), dall’eros (la perversione è l’impadronirsi degli altri) alle polemiche (gli animali hanno i diritti che stabilisce l’uomo, tra cui quello di essere prede), dall’apologetica dell’Occidente alla ridefinizione politicamente scorretta dei suoi valori fondanti; come quando dice che l’obbedienza è necessaria alla libertà. Perché in fin dei conti la sua è tutta una grande crociata per l’ordine multiforme contro l’uniformità del caos (per lui letteralmente satanico), nella convinzione schietta che, pur tra ombre e dubbi (si definisce un pessimista), esiste sul serio quella cosa che il nominalismo liberal canzona e che invece in «Comprendere la musica» è l’ultima parola dell’ultima pagina: «verità».
Professor Scruton, colpisce che il suo libro finisca con quel vocabolo… In queste sue pagine la verità ha il «suono della musica», che lei spinge a riscoprire. Cosa significa nell’epoca del rumore?
«Significa insegnare alle persone a distinguere i toni dai suoni, e quindi i suoni dai rumori. La musica fa appello all’immaginazione e ci offre compiutamente tutta la propria gestualità solo in un mondo gravido di silenzi. Uno spazio, questo, in cui ci si deve addentrare per ricrearsi, non per distrarsi. Oggi il rumore si è travestito da musica, il volto della musica si è nascosto dietro una maschera e questo ci ha sottratto la percezione stessa di ciò che la musica è davvero. Occorre allora ricomprendere daccapo quel caleidoscopio delle immagini che ci chiama dal silenzio».
Nella musica (come nell’arte) è tutto gusto personale o vi sono parametri oggettivi di significato, di bellezza e di armonia che si possono insegnare, imparare e dunque trasmettere?
«Indubbiamente esistono dei parametri, ma non tutti sono oggettivi. Il loro è un richiamo per affinità e per sintonia; i parametri artistici sono un invito ad abbandonare la distrazione per concentrarsi su ciò che nella musica vi è di reale e di oggettivo».
Cosa significa comporre musica alta in un’epoca di banalità?
«Come in tutte le cose umane, bisogna prendere in mano la vita e trarne il meglio per sé. Redimere cioè la propria solitudine. Creare attraverso le proprie parole e le proprie attività artistiche quella comunità di amicizia ideale (opposta cioè all’utopia) cui si aspira (senza per ciò perdersi nei sogni) da cui dipende il proprio consolamento. L’arte è sempre stata questo, e per dare significato all’opera che si genera è sufficiente trovare due o tre persone che entrino in sintonia profonda con essa».
Il suo libro si chiude con una esortazione - un capitolo straordinario… - a ristudiare Theodor Adorno, il marxista tedesco nemico giurato di un concetto che le è caro, quello di autorità…
«Lo consiglio come critico della musica popolare, intesa come parte della cultura di massa e del regno del kitsch. Ma la sua critica andrebbe intesa con lo spirito dell’Antico Testamento, da cui comunque deriva: ripudio dell’idolatria e riaffermazione dell’antichissima distinzione tra veri e falsi dèi. Ora, in Adorno il problema è l’impianto marxista che individua il dio vero nell’utopia di una libertà senza regole e quello falso nel cosiddetto “consumismo”. Ma la verità del suo preoccuparsi per il declino del gusto popolare resta, pur se basato su premesse sbagliate».
Si tratterebbe di una provocazione, insomma…
«Il poeta T.S. Eliot ha svolto critiche analoghe pressoché nei medesimi anni, ma da posizioni culturali diametralmente opposte. Adorno era di sinistra, Eliot di destra: e questo è bastato a garantire a uno l’influenza che all’altro è invece stata preclusa».
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