martedì 2 settembre 2014

Il sen. prof. Mario Tronti, Padre della Patria renziana

Nel Novecento
Nell'immagine più sotto, il triste resoconto del voto del Senato che modifica l'art. 138 della Costituzione: tutta l'opera del sen. prof. Tronti si riassume in questo voto conclusivo assieme a Giulio Tremonti [SGA]. 

Franco Milanesi: Nel Novecento. Storia, teoria, politica nel pensiero di Mario Tronti, Mimesis

Risvolto
Il testo percorre la biografia intellettuale di Mario Tronti (Roma, 1931) dai primi scritti degli anni Cinquanta fino agli interventi teorici più recenti. Una riflessione intrecciata sia con le vicende politiche e sociali italiane sia con il dibattito internazionale in ambito marxista. Un pensiero che costituisce un punto di riferimento imprescindibile della cultura contemporanea, in particolare per la funzione paradigmatica assunta dai concetti di «operaismo» e di «autonomia del politico». Dopo gli anni Settanta Tronti si è costantemente confrontato con l’intero arco problematico del politico, affrontando in modo innovativo le questioni dell’organizzazione e della trascendenza politica, della formazione dell’antagonismo di classe e del significato dell’esperienza comunista nel Novecento.  

Mario Tronti, un teorico sempre partigiano
Saggi. «Nel Novecento» di Franco Milanesi. Una storia dell’opera di Mario Tronti per Mimesis
 Gigi Roggero, 12.7.2014 il Manifesto

Ci sono libri che aspet­ta­vano di essere scritti: quello di Franco Mila­nesi, Nel Nove­cento (Mime­sis, pp. 297, euro 22), è indub­bia­mente uno di que­sti. Il sot­to­ti­tolo ne spiega il motivo: Sto­ria, teo­ria, poli­tica nel pen­siero di Mario Tronti. Si tratta dun­que di una bio­gra­fia politico-intellettuale di quello che può essere con­si­de­rato una stella polare nella costel­la­zione dell’operaismo ita­liano. Affer­mare que­sto, tut­ta­via, già pone delle que­stioni che il libro di Mila­nesi affronta con grande rigore: quanto il per­corso di Tronti può essere pie­na­mente colto den­tro la tra­iet­to­ria dell’operaismo poli­tico, ovvero quali sono le linee di coe­renza rispetto a quella straor­di­na­ria rivo­lu­zione coper­ni­cana che si dispiega tra la fine degli anni Cin­quanta e gli anni Ses­santa, tra «Qua­derni rossi»e «Classe ope­raia»? Per rispon­dere a tali inter­ro­ga­tivi, l’autore riper­corre il per­corso di Tronti a par­tire dalla for­ma­zione, segnata dalla straor­di­na­ria impor­tanza della figura di Gal­vano Della Volpe, fino agli scritti ed esiti poli­tici recenti. I sette densi capi­toli del libro («Gli scritti su Gram­sci e il comu­ni­smo ita­liano», «Gli anni ’60 e l’operaismo», «Pen­siero poli­tico e rifles­sione sulla sto­ria», «L’autonomia del poli­tico», «Movi­mento ope­raio e riscossa bor­ghese tra anni ’70 e ’80», «Pas­sag­gio di secolo») scan­di­scono con pre­ci­sione non solo le tappe cro­no­lo­gi­che di un per­corso, ma le linee di con­ti­nuità e discon­ti­nuità che lo inner­vano. Non si tratta solo di sto­ria, ma di un pen­siero poli­tico che ha pro­vato a pie­gare e per­fino opporsi alla sto­ria. Ad affer­rare il ful­mine a mani nude, per usare l’Hölderlin amato da Tronti. Que­sto pen­siero, sot­to­li­nea infatti Mila­nesi, «è un dispo­si­tivo poli­tico che rigetta (…) l’autonomia del teo­rico e la ten­denza alla teo­ria gene­rale». Lo con­ferma Ope­rai e capi­tale: «un discorso che cre­sce su se stesso corre il peri­colo mor­tale di veri­fi­carsi sem­pre e sol­tanto con i pas­saggi suc­ces­sivi della pro­pria logica formale».
Quale auto­no­mia?

Fin dagli anni Cin­quanta Tronti fa i conti con Gram­sci, ancora imbri­gliato in quella tra­di­zione mar­xi­sta ita­liana idea­li­sta con cui rom­perà Della Volpe. A par­tire da que­sta rot­tura – per­ché sem­pre, scrive Mila­nesi, «la poli­tica ope­raia è una frat­tura» – è pos­si­bile ritor­nare a Marx per con­durlo davanti ai can­celli di Mira­fiori e sca­gliarlo con­tro il capi­ta­li­smo taylorista-fordista. Marx con­tro il mar­xi­smo, Lenin con­tro il leni­ni­smo: è un pro­gramma di ricerca e un metodo poli­tico, l’operaismo nasce qui. Per sco­prire che la classe non è un sem­plice dato eco­no­mico ma innan­zi­tutto un con­cetto poli­tico, cioè che non c’è classe senza lotta di classe.
Con il ’68-’69 si chiude per Tronti il «grande Nove­cento», con quello defi­nirà un abba­glio: aver con­fuso il rosso del tra­monto con quello dell’aurora. Da lì in avanti si apre la neces­sità di ripen­sare la «poli­tica dei vinti» con­tro la «sto­ria dei vin­ci­tori». Rispetto a que­sto pas­sag­gio chiave, la tesi soste­nuta da Mila­nesi è chiara: «il per­corso che con­duce Tronti all’autonomia del poli­tico non ori­gina da una cesura rispetto all’operaismo ma si svi­luppa dal suo stesso impianto». Per l’autore, dun­que, l’autonomia del poli­tico – che fu anche un’importante filone di ricerca teo­rica – è la rispo­sta al pro­blema dell’organizzazione, che rimane il vero buco nero di tutta la costel­la­zione ope­rai­sta. La tesi di Mila­nesi di una coe­renza di fondo nei pas­saggi di Tronti pre­senta buone argo­men­ta­zioni. Il punto resta però la valu­ta­zione poli­tica: si ha l’impressione, con lo scor­rere delle pagine, che venga ripro­po­sta una dia­let­tica clas­sica tra spon­ta­neità e orga­niz­za­zione, pro­prio quella che Lenin aveva messo costan­te­mente in ten­sione e all’occorrenza rove­sciato nell’immaginare il mute­vole rap­porto tra soviet e par­tito. La spon­ta­neità è invece qui sino­nimo di movi­mento, l’organizzazione è ipo­sta­tiz­zata nel par­tito. Alla sequenza organizzazione-partito-Stato si con­trap­pone così la sequenza spontaneità-movimento-antipolitica. E l’autonomia del poli­tico è l’autonomia dello Stato rispetto al rap­porto sociale capi­ta­li­stico.
Di fondo, sem­bra che il nodo irri­solto sia quello della com­po­si­zione di classe. Schiac­ciarlo a mera ripro­po­si­zione del tra­di­zio­nale spon­ta­nei­smo con­si­lia­ri­sta, oppure liqui­darlo come arnese vec­chio e irri­pro­po­ni­bile, signi­fica pri­varsi di ciò che è forse l’architrave dell’intero metodo ope­rai­sta. Non è un caso che oggi – a fronte delle dif­fi­coltà delle lotte nella crisi – quell’autonomia del poli­tico passi dallo Stato all’Unione Euro­pea, ripro­po­nendo con mezzi diversi la stessa scor­cia­toia. E se lo Stato era luogo di ripro­du­zione di un ceto par­ti­tico che stava smar­rendo la pro­pria fun­zione poli­tica, le isti­tu­zioni euro­pee diven­tano illu­so­rio rifu­gio di un ceto intel­let­tuale che ha smar­rito la pro­pria fun­zione sociale.
Le spalle vol­tate al futuro da Tronti negli anni Ottanta e Novanta con­se­gnano una verità dif­fi­cil­mente discu­ti­bile: il pen­siero del post ha finito per deco­struire la realtà di classe ben più di quella del capi­tale. Chi si è fatto incan­tare dalla vul­gata di un’eterogeneità irri­com­po­ni­bile non ha tanto abban­do­nato un’inutile con­ti­nuità, quanto un indi­spen­sa­bile punto di vista di parte. Così, ade­guan­dosi allo spi­rito del tempo, l’operaismo è stato depo­li­ti­ciz­zato nell’«Italian theory», non più attrezzo per divi­dere ma tram­po­lino per car­riere accademiche.
Riaf­fer­rare il fulmine

Ora, alla luce dei vicoli cie­chi e dei punti di blocco che acco­mu­nano per­corsi tra loro dif­fe­renti o addi­rit­tura con­tra­stanti, c’è una domanda che va affron­tata: cosa resta di quella costel­la­zione ope­rai­sta? Una rispo­sta azzar­data è: un metodo della rot­tura, uno stile mili­tante, un punto di vista irri­du­ci­bil­mente di parte. Da qui pro­ba­bil­mente occorre ripar­tire per sal­tare in avanti, non per ripe­terne gli esiti né per can­ti­le­narne le cate­go­rie, ma per ripen­sare radi­cal­mente le fon­da­menta del pre­sente. E al pre­sente occorre non vol­tare affatto le spalle, per guar­dare negli occhi il nemico: «non si può ogni giorno emet­tere sen­tenze di con­danna della realtà visto che non si è ade­guata a uno schema men­tale». Per poter affer­mare di fronte a esso: «meglio la crisi che lo svi­luppo, meglio il con­flitto che l’accordo, meglio la divi­sione aspra del mondo che la sua ire­nica unità».

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