Leonardo Caffo e Roberto Marchesini: Così parlò il postumano, Novalogos-Ortica editrice, pp. 142, euro 15
Il Postumano è lo spazio geometrico in cui si tratteggia un’altra umanità, al di là degli steccati individualisti e antropocentrici, ibridata con l’animalità e la tecnica. Se è vero che la nostra idea di umanità nasce in opposizione a quella di animalità – con Aristotele, Cartesio o Heidegger – è altrettanto vero che una nuova idea di umano può cominciare solo dalla rottura dei confini umani/non umani che falsamente abbiamo edificato. Leonardo Caffo e Roberto Marchesini dialogano, attraverso la filosofia e la letteratura, la scienza e la politica, cominciando a dipingere questo affresco di ibridazione tra i viventi in cui esistere significa, finalmente, esistere insieme. Non un libro sulla “questione animale”, dunque, ma proprio sulla “questione umana” – perché è impossibile pensare un altrove se prima non mettiamo ordine tra le presunte magnifiche sorti e progressive. (a cura di Eleonora Adorni)
Ricognizioni sul confine mobile del postumano
Saggi. "Così parlò il postumano" di Leonardo Caffo e Roberto Marchesini per Novalogos-Ortica editrice Alessandra Pigliaru, 19.8.2014 il Manifesto
Che cos’è il postumano? Quali sono le categorie che ci permettono di coglierne l’efficacia? E soprattutto in che modo ancora si generano fraintendimenti sull’opposizione al concetto di umanità? È il paradigma antropocentrico con tutto il suo carico ideologico a essere messo in discussione. In questi anni molto è stato scritto e detto sul tema. A tal proposito certo non può sfuggire il nome di Rosi Braidotti, le sue genealogie critiche che partono da una collocazione femminista e teorico-politica precisa, sono le stesse cartografie nomadiche dello spazio contemporaneo. Il suo Postumano (recensito sulle pagine di questo giornale il 18 febbraio 2014) ci è utile allora per osservarne le mappe, perlustrarle, e restituirle alla complessità del presente. Per il resto, anche un recente fascicolo della rivista aut aut (n° 361/2014), curato da Giovanni Leghissa e che ospita numerosi saggi, si dedica alla «condizione postumana». Ciò per dire che, seppure con i dovuti distinguo alle relative impostazioni, il tema del postumano gode oggi di una grande attenzione.
Occorre «partire da un ripensamento generale dell’ontologia come non più incentrata su una visione essenzialistica dell’individualità ma come dialogica-relazionale». È ciò che riferisce Eleonora Adorni nella sua bella introduzione ad un brillante volumetto scritto da Leonardo Caffo e Roberto Marchesini, Così parlò il postumano (Novalogos-Ortica editrice, pp. 142, euro 15). Si tratta di uno scambio epistolare avvenuto tra i due filosofi nell’ottobre 2013 in tema di animalità e posthuman. Le istanze sollevate sono tuttavia molteplici, al pari delle rispettive formazioni degli autori.
Il postumano è un panorama composito che per Marchesini, filosofo, etologo e direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione Uomo-Animale, rappresenta «il cantiere filosofico del XXI secolo». Rivisto il paradigma umanistico, occorre a esplicitare appunto una proposta postumanistica – non antiumanistica. Per questo verso, è la stessa ontologia dialogica-relazionale a prevedere una nuova idea di alterità. Dunque non «altro-da-me» ma «altro-con-me». I viventi non-umani non costituiscono più elementi di cui servirsi (leggasi sfruttare, torturare, uccidere) né il riflesso delle nostre più oscure angosce. Secondo Caffo, membro del Laboratorio di Ontologia e Associate Fellows dell’Oxford Centre for Animal Ethics, «ai lati opposti della base triangolare che è la questione animale, collegati da una corda costantemente tesa, giacciono la filosofia dell’animalità e il postumano. Le due domande “cosa significa essere un animale?” e “quale umanità è possibile concepire, attraverso l’animalità?”, sono intrinsecamente connesse». Per Caffo e Marchesini anche la visione dell’antispecismo ha delle differenze; se infatti il primo opta per una posizione di antispecismo chiamato «debole» in cui cerca di capire come poter cominciare a liberare gli animali dalla morsa esiziale in cui sono stati rinchiusi, il secondo propone un antispecismo postumanista in cui si possa lavorare allo scardinamento della centralità dell’uomo – prima causa di ogni specismo. La discussione non è tuttavia sulla questione animale quanto su quella umana partendo da una riconsiderazione del paradigma umanistico che faccia arrivare a una nuova cultura della techne.
Il confronto è l’occasione per dare conto di alcuni punti: intanto si porta avanti il discorso di un possibile quadro di ibridazione tra i viventi – laddove per ibridazione non si intendono le comunanze filogenetiche ma la possibilità di nuove dimensioni esistenziali. Tali spazi sono dunque incarnati e si fanno narrazioni essi stessi di corpi sottratti alla distopia? Anche se già contaminato, per Caffo e Marchesini ogni vivente si distingue; resta diverso da ogni altro e pure da se stesso. La riflessione è anche sulla scrittura e sul compito effettivo o presunto della filosofia. Solo così le differenze si fanno largo; al pari delle idee, anch’esse sono intersezioni. Caffo e Marchesini ne mostrano il segno lungo lo stesso incedere della conversazione. Dalla letteratura all’arte e il cinema, potranno apparire Orwell, Cattelan, Buñuel ma anche Derrida e Agamben.
Nello spazio postumano si viene a mostrare dunque un’altra umanità: «Riconoscere l’altro evitando la marcatura e le cesoie, questo è il gravoso compito che ci si deve porre se vogliamo uscire dal mondo cartesiano, che si presenta sempre anche se con abiti differenti».
Roberto Marchesini: Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista, Sonda, pp. 188,euro 18
Risvolto
Il saggio affronta lo spinoso tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che pretende di sospendere l’antropocentrismo, rimanendo all’interno di una cornice umanistica. L’autore passa in rassegna le varie forme in cui l’antropocentrismo può manifestarsi e discute di retaggi specisti con cui l’umanismo si è trovato a dover fare i conti, confermandoli o mutandone l’accezione.
Una riflessione dunque sia per superare lo stereotipo dell’animale come essenzialmente diverso ed estraneo a ciò che è umano, sia per smantellare la nostra visione antropocentrica e i suoi numerosi limiti. Un importante contributo italiano a un dibattito internazionale fino ad oggi dominato dai pensatori anglosassoni.
La paura bestiale
Saggi. «Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista», il libro di Roberto Marchesini, edito da SondaAlberto Giovanni Biuso, 8.8.2014
Nel raffigurare il grattacielo capitalista Horkheimer vi pone a fondamento «l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali» (Crepuscolo. Appunti presi in Germania, Einaudi, 1977, pp. 70). È chiaro tuttavia che non si tratta di un portato esclusivamente capitalista. La paura dell’animale che noi stessi siamo è antica e profonda. È anche comprensibile perché fondata sul bisogno di marcare un territorio, di riconoscere un’identità di branco, di imporre una gerarchia. Proprio mentre fa di tutto per allontanarsi dalla «bestia» che è, l’Homo sapiens mostra l’animale che rimane.
Con gli strumenti che gli sono propri, questo animale si è inventato una vera e propria attrezzatura concettuale e operativa allo scopo di difendersi da se stesso. Sta qui la radice del paradigma umanistico, i cui più noti esempi sono l’assunzione dell’umano a misura di tutte le cose, l’apoteosi di Pico della Mirandola nel De hominis dignitate, l’icona vitruviana scolpita da Leonardo nel disegno che rappresenta un uomo posto al centro del cosmo. Per descrivere queste e altre manifestazioni dell’umanismo giunto al suo culmine, Richard Ryder coniò nel 1970 il termine specismo, in evidente analogia con quelli di razzismo e sessismo. Intento equivoco nel suo uniformare gli altri animali alle discriminazioni presenti nella nostra specie, ma termine utile a definire il paradigma umanistico. Paradigma che mostra sempre più le proprie debolezze, insufficienze, errori, contraddizioni, rompicapo irrisolti.
Uno degli obiettivi di tutta la riflessione di Roberto Marchesini, e della sua più recente opera in particolare, è esattamente la critica allo specismo. Una critica intesa e praticata come segnale, cesura, faglia, frattura dentro il paradigma umanistico e a favore di un nuovo e più corretto paradigma antropologico e scientifico. Lo scopo è individuare le radici speciste dell’umanismo e quelle umanistiche dello specismo, il quale riguarda assai più la visione che l’homo sapiens ha di se stesso piuttosto che il suo giudizio sugli altri animali.
L’umanismo si basa infatti su alcuni principi tra i quali è fondamentale «l’idea di uomo come fine e come significato, con svuotamento di tutti gli altri enti» (Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista, Sonda, pp. 188,euro 18).
Nascendo dal timore, l’umanismo è anzitutto una recisa negazione dell’animalità in quanto tale. Anzitutto della propria animalità e solo successivamente di quella altrui. L’umanista, infatti, riduce il suo essere animale alla mera corporeità e l’animalità del non umano al semplice meccanismo dei suoi organi. In tal modo l’umanismo opera incessantemente a favore della distanziazione dell’umano dagli altri animali e della omologazione dell’animalità in una uniformità che costituisce un errore anche logico. L’animale, infatti, non esiste.
Con questa categorizzazione viene ignorata la vera differenza, che non è quella dell’umano rispetto all’animale ma degli animali — umani compresi — tra di loro. È infatti «evidente che la nostra specie sia diversa da tutte le altre, ma lo stesso può dirsi per lo scimpanzé, l’elefante e il colibrì».
Ne conseguono alcuni atteggiamenti che si illudono di essere rispettosi della differenza e invece sono del tutto interni al paradigma umanistico. Non ha senso, ad esempio, chiedersi quale sia «l’animale più intelligente» poiché si tratta di una domanda che evidentemente pone come criterio gerarchico una ben precisa intelligenza, quella umana. Oltrepassare davvero lo specismo implica il superamento del concetto stesso di «centralità» e di «primato» attribuito a un qualunque ente nel mondo.
Specismo è anche esser convinti che una «natura umana» non esista e che l’homo sapiens sia un’entità storica e volontaristica. Ma «considerare l’essere umano come frutto esclusivamente delle contingenze sociali e storiche è avvalorare l’idea umanistica del manifesto pichiano. Allorché si nega una natura umana o la si riduce a tal punto da renderla di fatto insussistente, si opta per uno specismo conclamato».
Un antispecismo consapevole rifiuta qualunque forma di naturalismo romantico e utilizza piuttosto tutti gli strumenti, anche scientifici, in grado di raggiungere l’obiettivo di «vedere nell’animale un compagno di relazione e non una macchina da sfruttare». Un itinerario al cui fondamento stanno i principi postumanisti che mettono in discussione sia l’esclusività ontologica dell’uomo che la pretesa di assumere le caratteristiche dell’uomo come termine di confronto.
Bisogna oltrepassare qualunque separazione gerarchica tra l’umano e gli altri animali poiché «l’animale che siamo e non siamo è più certo del nostro cogito, galoppa nei sentieri della vita e sa trovare le sue fonti di felicità, è un corpo che dionisiacamente si esprime, una volontà nell’impotenza che sfida le leggi della termodinamica e trasforma le risorse in dotazioni, le leggi in spazi di libertà, il tempo in un universo interno da riempire di infinito».
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