martedì 2 settembre 2014

Per una mappa delle perversioni postmoderne: ve li meritate il "postumano" e l'"antispecismo"

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Leo­nardo Caffo e Roberto Mar­che­sini: Così parlò il postu­mano, Novalogos-Ortica edi­trice, pp. 142, euro 15

Risvolto
Il Postumano è lo spazio geometrico in cui si tratteggia un’altra umanità, al di là degli steccati individualisti e antropocentrici, ibridata con l’animalità e la tecnica. Se è vero che la nostra idea di umanità nasce in opposizione a quella di animalità – con Aristotele, Cartesio o Heidegger – è altrettanto vero che una nuova idea di umano può cominciare solo dalla rottura dei confini umani/non umani che falsamente abbiamo edificato. Leonardo Caffo e Roberto Marchesini dialogano, attraverso la filosofia e la letteratura, la scienza e la politica, cominciando a dipingere questo affresco di ibridazione tra i viventi in cui esistere significa, finalmente, esistere insieme. Non un libro sulla “questione animale”, dunque, ma proprio sulla “questione umana” – perché è impossibile pensare un altrove se prima non mettiamo ordine tra le presunte magnifiche sorti e progressive. (a cura di Eleonora Adorni)


Ricognizioni sul confine mobile del postumano
Saggi. "Così parlò il postumano" di Leonardo Caffo e Roberto Marchesini per Novalogos-Ortica editrice Alessandra Pigliaru, 19.8.2014 il Manifesto

Che cos’è il postu­mano? Quali sono le cate­go­rie che ci per­met­tono di coglierne l’efficacia? E soprat­tutto in che modo ancora si gene­rano frain­ten­di­menti sull’opposizione al con­cetto di uma­nità? È il para­digma antro­po­cen­trico con tutto il suo carico ideo­lo­gico a essere messo in discus­sione. In que­sti anni molto è stato scritto e detto sul tema. A tal pro­po­sito certo non può sfug­gire il nome di Rosi Brai­dotti, le sue genea­lo­gie cri­ti­che che par­tono da una col­lo­ca­zione fem­mi­ni­sta e teorico-politica pre­cisa, sono le stesse car­to­gra­fie noma­di­che dello spa­zio con­tem­po­ra­neo. Il suo Postu­mano (recen­sito sulle pagine di que­sto gior­nale il 18 feb­braio 2014) ci è utile allora per osser­varne le mappe, per­lu­strarle, e resti­tuirle alla com­ples­sità del pre­sente. Per il resto, anche un recente fasci­colo della rivi­sta aut aut (n° 361/2014), curato da Gio­vanni Leghissa e che ospita nume­rosi saggi, si dedica alla «con­di­zione postu­mana». Ciò per dire che, sep­pure con i dovuti distin­guo alle rela­tive impo­sta­zioni, il tema del postu­mano gode oggi di una grande atten­zione.
Occorre «par­tire da un ripen­sa­mento gene­rale dell’ontologia come non più incen­trata su una visione essen­zia­li­stica dell’individualità ma come dialogica-relazionale». È ciò che rife­ri­sce Eleo­nora Adorni nella sua bella intro­du­zione ad un bril­lante volu­metto scritto da Leo­nardo Caffo e Roberto Mar­che­sini, Così parlò il postu­mano (Novalogos-Ortica edi­trice, pp. 142, euro 15). Si tratta di uno scam­bio epi­sto­lare avve­nuto tra i due filo­sofi nell’ottobre 2013 in tema di ani­ma­lità e posthu­man. Le istanze sol­le­vate sono tut­ta­via mol­te­plici, al pari delle rispet­tive for­ma­zioni degli autori.
Il postu­mano è un pano­rama com­po­sito che per Mar­che­sini, filo­sofo, eto­logo e diret­tore del Cen­tro Studi Filo­so­fia Postu­ma­ni­sta e della Scuola di inte­ra­zione Uomo-Animale, rap­pre­senta «il can­tiere filo­so­fico del XXI secolo». Rivi­sto il para­digma uma­ni­stico, occorre a espli­ci­tare appunto una pro­po­sta postu­ma­ni­stica – non anti­u­ma­ni­stica. Per que­sto verso, è la stessa onto­lo­gia dialogica-relazionale a pre­ve­dere una nuova idea di alte­rità. Dun­que non «altro-da-me» ma «altro-con-me». I viventi non-umani non costi­tui­scono più ele­menti di cui ser­virsi (leg­gasi sfrut­tare, tor­tu­rare, ucci­dere) né il riflesso delle nostre più oscure ango­sce. Secondo Caffo, mem­bro del Labo­ra­to­rio di Onto­lo­gia e Asso­ciate Fel­lows dell’Oxford Cen­tre for Ani­mal Ethics, «ai lati oppo­sti della base trian­go­lare che è la que­stione ani­male, col­le­gati da una corda costan­te­mente tesa, giac­ciono la filo­so­fia dell’animalità e il postu­mano. Le due domande “cosa signi­fica essere un ani­male?” e “quale uma­nità è pos­si­bile con­ce­pire, attra­verso l’animalità?”, sono intrin­se­ca­mente con­nesse». Per Caffo e Mar­che­sini anche la visione dell’antispecismo ha delle dif­fe­renze; se infatti il primo opta per una posi­zione di anti­spe­ci­smo chia­mato «debole» in cui cerca di capire come poter comin­ciare a libe­rare gli ani­mali dalla morsa esi­ziale in cui sono stati rin­chiusi, il secondo pro­pone un anti­spe­ci­smo postu­ma­ni­sta in cui si possa lavo­rare allo scar­di­na­mento della cen­tra­lità dell’uomo – prima causa di ogni spe­ci­smo. La discus­sione non è tut­ta­via sulla que­stione ani­male quanto su quella umana par­tendo da una ricon­si­de­ra­zione del para­digma uma­ni­stico che fac­cia arri­vare a una nuova cul­tura della techne.
Il con­fronto è l’occasione per dare conto di alcuni punti: intanto si porta avanti il discorso di un pos­si­bile qua­dro di ibri­da­zione tra i viventi – lad­dove per ibri­da­zione non si inten­dono le comu­nanze filo­ge­ne­ti­che ma la pos­si­bi­lità di nuove dimen­sioni esi­sten­ziali. Tali spazi sono dun­que incar­nati e si fanno nar­ra­zioni essi stessi di corpi sot­tratti alla disto­pia? Anche se già con­ta­mi­nato, per Caffo e Mar­che­sini ogni vivente si distin­gue; resta diverso da ogni altro e pure da se stesso. La rifles­sione è anche sulla scrit­tura e sul com­pito effet­tivo o pre­sunto della filo­so­fia. Solo così le dif­fe­renze si fanno largo; al pari delle idee, anch’esse sono inter­se­zioni. Caffo e Mar­che­sini ne mostrano il segno lungo lo stesso ince­dere della con­ver­sa­zione. Dalla let­te­ra­tura all’arte e il cinema, potranno appa­rire Orwell, Cat­te­lan, Buñuel ma anche Der­rida e Agam­ben.
Nello spa­zio postu­mano si viene a mostrare dun­que un’altra uma­nità: «Rico­no­scere l’altro evi­tando la mar­ca­tura e le cesoie, que­sto è il gra­voso com­pito che ci si deve porre se vogliamo uscire dal mondo car­te­siano, che si pre­senta sem­pre anche se con abiti differenti».




coperitna di Contro i diritti degli animali?Roberto Mar­che­sini: Con­tro i diritti degli ani­mali? Pro­po­sta per un anti­spe­ci­smo postu­ma­ni­sta, Sonda, pp. 188,euro 18

Risvolto

Il saggio affronta lo spinoso tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che pretende di sospendere l’antropocentrismo, rimanendo all’interno di una cornice umanistica. L’autore passa in rassegna le varie forme in cui l’antropocentrismo può manifestarsi e discute di retaggi specisti con cui l’umanismo si è trovato a dover fare i conti, confermandoli o mutandone l’accezione.
Una riflessione dunque sia per superare lo stereotipo dell’animale come essenzialmente diverso ed estraneo a ciò che è umano, sia per smantellare la nostra visione antropocentrica e i suoi numerosi limiti. Un importante contributo italiano a un dibattito internazionale fino ad oggi dominato dai pensatori anglosassoni.



La paura bestiale
Saggi. «Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista», il libro di Roberto Marchesini, edito da SondaAlberto Giovanni Biuso, 8.8.2014

Nel raf­fi­gu­rare il grat­ta­cielo capi­ta­li­sta Hor­khei­mer vi pone a fon­da­mento «l’indescrivibile, inim­ma­gi­na­bile sof­fe­renza degli ani­mali, l’inferno ani­male nella società umana, il sudore, il san­gue, la dispe­ra­zione degli ani­mali» (Cre­pu­scolo. Appunti presi in Ger­ma­nia, Einaudi, 1977, pp. 70). È chiaro tut­ta­via che non si tratta di un por­tato esclu­si­va­mente capi­ta­li­sta. La paura dell’animale che noi stessi siamo è antica e pro­fonda. È anche com­pren­si­bile per­ché fon­data sul biso­gno di mar­care un ter­ri­to­rio, di rico­no­scere un’identità di branco, di imporre una gerar­chia. Pro­prio men­tre fa di tutto per allon­ta­narsi dalla «bestia» che è, l’Homo sapiens mostra l’animale che rimane.
Con gli stru­menti che gli sono pro­pri, que­sto ani­male si è inven­tato una vera e pro­pria attrez­za­tura con­cet­tuale e ope­ra­tiva allo scopo di difen­dersi da se stesso. Sta qui la radice del para­digma uma­ni­stico, i cui più noti esempi sono l’assunzione dell’umano a misura di tutte le cose, l’apoteosi di Pico della Miran­dola nel De homi­nis digni­tate, l’icona vitru­viana scol­pita da Leo­nardo nel dise­gno che rap­pre­senta un uomo posto al cen­tro del cosmo. Per descri­vere que­ste e altre mani­fe­sta­zioni dell’umanismo giunto al suo cul­mine, Richard Ryder coniò nel 1970 il ter­mine spe­ci­smo, in evi­dente ana­lo­gia con quelli di raz­zi­smo e ses­si­smo. Intento equi­voco nel suo uni­for­mare gli altri ani­mali alle discri­mi­na­zioni pre­senti nella nostra spe­cie, ma ter­mine utile a defi­nire il para­digma uma­ni­stico. Para­digma che mostra sem­pre più le pro­prie debo­lezze, insuf­fi­cienze, errori, con­trad­di­zioni, rom­pi­capo irri­solti.
Uno degli obiet­tivi di tutta la rifles­sione di Roberto Mar­che­sini, e della sua più recente opera in par­ti­co­lare, è esat­ta­mente la cri­tica allo spe­ci­smo. Una cri­tica intesa e pra­ti­cata come segnale, cesura, faglia, frat­tura den­tro il para­digma uma­ni­stico e a favore di un nuovo e più cor­retto para­digma antro­po­lo­gico e scien­ti­fico. Lo scopo è indi­vi­duare le radici spe­ci­ste dell’umanismo e quelle uma­ni­sti­che dello spe­ci­smo, il quale riguarda assai più la visione che l’homo sapiens ha di se stesso piut­to­sto che il suo giu­di­zio sugli altri ani­mali.
L’umanismo si basa infatti su alcuni prin­cipi tra i quali è fon­da­men­tale «l’idea di uomo come fine e come signi­fi­cato, con svuo­ta­mento di tutti gli altri enti» (Con­tro i diritti degli ani­mali? Pro­po­sta per un anti­spe­ci­smo postu­ma­ni­sta, Sonda, pp. 188,euro 18).
Nascendo dal timore, l’umanismo è anzi­tutto una recisa nega­zione dell’animalità in quanto tale. Anzi­tutto della pro­pria ani­ma­lità e solo suc­ces­si­va­mente di quella altrui. L’umanista, infatti, riduce il suo essere ani­male alla mera cor­po­reità e l’animalità del non umano al sem­plice mec­ca­ni­smo dei suoi organi. In tal modo l’umanismo opera inces­san­te­mente a favore della distan­zia­zione dell’umano dagli altri ani­mali e della omo­lo­ga­zione dell’animalità in una uni­for­mità che costi­tui­sce un errore anche logico. L’animale, infatti, non esi­ste.
Con que­sta cate­go­riz­za­zione viene igno­rata la vera dif­fe­renza, che non è quella dell’umano rispetto all’animale ma degli ani­mali — umani com­presi — tra di loro. È infatti «evi­dente che la nostra spe­cie sia diversa da tutte le altre, ma lo stesso può dirsi per lo scim­panzé, l’elefante e il coli­brì».
Ne con­se­guono alcuni atteg­gia­menti che si illu­dono di essere rispet­tosi della dif­fe­renza e invece sono del tutto interni al para­digma uma­ni­stico. Non ha senso, ad esem­pio, chie­dersi quale sia «l’animale più intel­li­gente» poi­ché si tratta di una domanda che evi­den­te­mente pone come cri­te­rio gerar­chico una ben pre­cisa intel­li­genza, quella umana. Oltre­pas­sare dav­vero lo spe­ci­smo implica il supe­ra­mento del con­cetto stesso di «cen­tra­lità» e di «pri­mato» attri­buito a un qua­lun­que ente nel mondo.
Spe­ci­smo è anche esser con­vinti che una «natura umana» non esi­sta e che l’homo sapiens sia un’entità sto­rica e volon­ta­ri­stica. Ma «con­si­de­rare l’essere umano come frutto esclu­si­va­mente delle con­tin­genze sociali e sto­ri­che è avva­lo­rare l’idea uma­ni­stica del mani­fe­sto pichiano. Allor­ché si nega una natura umana o la si riduce a tal punto da ren­derla di fatto insus­si­stente, si opta per uno spe­ci­smo con­cla­mato».
Un anti­spe­ci­smo con­sa­pe­vole rifiuta qua­lun­que forma di natu­ra­li­smo roman­tico e uti­lizza piut­to­sto tutti gli stru­menti, anche scien­ti­fici, in grado di rag­giun­gere l’obiettivo di «vedere nell’animale un com­pa­gno di rela­zione e non una mac­china da sfrut­tare». Un iti­ne­ra­rio al cui fon­da­mento stanno i prin­cipi postu­ma­ni­sti che met­tono in discus­sione sia l’esclusività onto­lo­gica dell’uomo che la pre­tesa di assu­mere le carat­te­ri­sti­che dell’uomo come ter­mine di con­fronto.
Biso­gna oltre­pas­sare qua­lun­que sepa­ra­zione gerar­chica tra l’umano e gli altri ani­mali poi­ché «l’animale che siamo e non siamo è più certo del nostro cogito, galoppa nei sen­tieri della vita e sa tro­vare le sue fonti di feli­cità, è un corpo che dio­ni­sia­ca­mente si esprime, una volontà nell’impotenza che sfida le leggi della ter­mo­di­na­mica e tra­sforma le risorse in dota­zioni, le leggi in spazi di libertà, il tempo in un uni­verso interno da riem­pire di infinito».

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