mercoledì 1 ottobre 2014
A Boeri il sangue dei lavoratori dipendenti non basta mai
Cambiare tutto senza cambiare nulla
di Tito Boeri Repubblica 1.10.14
LA
MEDIAZIONE via sms all’interno del Partito Democratico, di cui ha dato
conto questo giornale sabato scorso con il testo dei messaggini fra
Matteo Renzi e Sergio Chiamparino, rischia di rendere il Jobs Act del
tutto inefficace nell’incoraggiare incrementi di produttività e più
assunzioni con contratti a tempo indeterminato. Speriamo che, mettendo
da parte i cellulari, e affrontando il merito dei problemi, vi si ponga
rimedio.
LA direzione Pd lunedì ha approvato a larga maggioranza, non
prima di deflagranti polemiche e minacce di scissione, un ordine del
giorno che mantiene in vigore, fin dal primo giorno di vita di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la reintegrazione del
lavoratore in caso “di licenziamenti ingiustificati di natura
disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Questo
significa che i licenziamenti individuali continueranno a essere fin da
subito molto costosi, trattando un neo-assunto come un lavoratore già
presente da 20 anni nell’azienda. In barba a quelle “tutele crescenti
con l’azienda aziendale” cui fa esplicitamente riferimento l’emendamento
governativo al disegno di legge delega recentemente approvato dalla
Commissione Lavoro al Senato. Vediamo di capire perché.
Oggi un
datore di lavoro che volesse licenziare un dipendente può addurre sia
ragioni di natura disciplinare (legate al comportamento del lavoratore)
che economica (legate alla performance dell’impresa). Se il giudice
ritiene che queste motivazioni siano infondate (si parla di “manifesta
insussistenza” nel caso di licenziamenti economici), può imporre la
reintegrazione del lavoratore. Si vuole ora mantenere questa possibilità
per i soli licenziamenti disciplinari. Ma il confine fra licenziamenti
economici e licenziamenti disciplinari è molto sottile. I datori di
lavoro avranno, nel caso in cui questa modifica entrasse in vigore,
l’incentivo a perseguire solo la strada dei licenziamenti economici,
anche nel caso di comportamenti opportunistici di un proprio dipendente,
dato che, almeno sulla carta, i licenziamenti economici costano di meno
dei licenziamenti disciplinari.
Mentre un lavoratore licenziato per
ragioni economiche potrà sempre far valere davanti al giudice il fatto
che l’azienda volesse in realtà punirlo per il proprio comportamento. In
questo caso, anche se il difetto del lavoratore fosse documentabile, ma
l’impresa avesse altri modi di “punire” il lavoratore senza licenziarlo
(ad esempio cambiando gli orari di lavoro), il giudi- potrà imporre
all’azienda il reintegro del dipendente. Si tratta perciò di una
modifica marginale, del tipo di quella imposta dalla Legge Fornero con
il principio della “manifesta insussistenza”, che viene peraltro in
questo caso introdotta solo per i nuovi assunti, mentre la legge Fornero
cambiava le regole per tutti i lavoratori.
Per quanto il legislatore
possa definire con precisione i licenziamenti disciplinari (“la
qualificazione specifica della fattispecie” cui fa riferimento il testo
approvato lunedì), con questa mediazione si crea una forte asimmetria
fra licenziamenti illegittimi di diversa natura, aprendo lo spazio al
contenzioso.
Nei paesi Ocse, la norma è quella di trattare tutti i
licenziamenti illegittimi allo stesso modo, indipendentemente dalle
ragioni inizialmente addotte dalle imprese. Da noi, invece, si mettono
paradossalmente in una posizione di vantaggio i lavoratori coinvolti in
un procedimento disciplinare rispetto a quelli coinvolti in una crisi
aziendale di cui non hanno colpa alcuna. Se il licenziamento viene
considerato legittimo, non riceveranno nulla come pure i lavoratori che
hanno perso il lavoro per motivi economici.
Se, invece, il
licenziamento venisse considerato dal giudice senza giusta causa, il
lavoratore licenziato per questioni disciplinari potrà essere
reintegrato sul posto di lavoro, a differenza di chi ha avuto la
sfortuna di trovarsi in un’azienda in crisi. Gli incentivi sono
perversi: per aumentare la produttività bisognerebbe proprio scoraggiare
i comportamenti opportunistici.
A chi oggi deve creare lavoro in
Italia importano due cose. Primo, vuole essere rassice curato sul fatto
che un eventuale errore nella selezione dei candidati, inevitabile
quando si assume per le prestazioni più complesse richieste dalla
stragrande maggioranza dei nuovi lavori, questo errore fosse rimediabile
con costi certi e contenuti, tipo una compensazione monetaria fissata
per legge. Secondo, vuole essere sicuro che il dipendente si impegnerà a
svolgere sempre meglio le proprie mansioni “imparando facendo”.
Il
Jobs act uscito dalla direzione del Pd non cambia nulla su questi due
piani. Di più, non viene neanche a sanare la contraddizione introdotta
dal decreto Poletti che, permettendo di fatto un periodo di prova di tre
anni, scoraggia qualsiasi assunzione a tempo indeterminato e la stessa
conversione dei contratti temporanei in contratti permanenti, come
certificato dai dati sulle comunicazioni obbligatorie raccolti dal
ministero di cui Poletti è titolare.
È sconcertante, infine, che
materie così importanti, che riguardano milioni di lavoratori, vengano
negoziate via sms. Credevamo che con la nuova politica, l’arte del
confronto, della mediazione e della ricerca del consenso, fosse un’altra
cosa.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento