venerdì 3 ottobre 2014

Avanguardia russa: la collezione Costakis a Torino


Catalogo Mostra CostakisAvanguardie russeDa oggi a Torino trecento opere di una celebre collezione che ripercorre lo sperimentalismo nei primi anni dell’Unione Sovietica

di Elena Del Drago La Stampa 3.10.14
Le magnifiche tele di Malevic, El Lissitzky o Popova, ma anche inediti materiali d’archivio, disegni, opere di artisti meno conosciuti in un insieme in grado di illuminare il fenomeno delle avanguardie russe nella sua totalità. Arriva finalmente in Italia la celebre collezione di George Costakis, che ha salvato le più sperimentali opere della storia sovietica dall’oblio e dalla distruzione. La mostra procede per sezioni tematiche con lo scopo di illustrare il percorso dell’avanguardia russa scandito dai suoi movimenti. I primi trenta anni, dal cubofuturismo in poi, scorrono davanti ai nostri occhi con capolavori come il Ritratto di donna di Malevic, la Salomè creata per l’omonima rappresentazione teatrale di Wilde da Popova, autrice anche di Donna in viaggio, tra le opere più forti e sorprendenti della rassegna, e ancora Rodchenko con il celebre La rottura, fondamentale per raccontare il grado di sperimentazione raggiunto in quel momento, fino ad una vera e propria chicca: una porcellana disegnata da Kandinski. Ce ne parla Maria Tsantsanoglou che dirige il Museo di Salonicco sede della raccolta e ha co-curato l’esposizione torinese.

Centinaia di opere salvate dalla passione e il fiuto di un solo uomo, George Costakis. Chi era?
«George Costakis non aveva alcuna educazione speciale, non aveva studiato arte. La sua era una famiglia greca che si trasferì a Mosca per affari, arrivavano da Zante, e dopo la Rivoluzione decisero di rimanere. George nacque nel 1913, frequentò solo le scuole dell’obbligo, non andò all’università e iniziò subito a lavorare come autista presso l’Ambasciata greca. Gli capitò così di accompagnare i diplomatici appassionati di arte antica negli acquisti presso gli antiquari della città. Capì presto di avere un buon occhio, di saper riconoscere cosa valeva davvero, non solo da un punto di vista economico, ma artistico e culturale. Cominciò così con i pochissimi soldi che guadagnava a comprare qualcosa per se stesso: all’inizio erano icone religiose, incisioni, oggetti del periodo degli zar. Poi ci fu la seconda guerra mondiale, e quando l’ambasciata greca chiuse, trovò lavoro presso quella canadese dove, come capo dello staff tecnico, aveva uno stipendio migliore: cominciò a comprare sempre più opere e comprese di voler essere un collezionista.
Che opinione aveva delle avanguardie?
«Credeva per esempio che l’avanguardia fosse come un esercito, in cui tutti gli artisti, proprio come i soldati, sono ugualmente importanti. Decise così di comprare tutto ciò che trovava, anche materiali d’archivio, piccoli pezzi di carta, disegni, quadri e formò la più importante collezione di arte d’avanguardia, salvando questo capitolo di arte dalla distruzione».
Un lavoro certosino e impressionante che a lungo restò nascosto..
«Nel 1977 Costakis lasciò l’Unione Sovietica e andò prima a Roma, dove restò un anno con la sua famiglia, e poi in Grecia. I lavori nel frattempo restarono in parte in Russia, mentre i restanti cominciarono a viaggiare in diverse esposizioni, a partire da quella al Guggenheim di New York. Da allora la sua collezione divenne conosciuta in tutto il mondo».
Ma è la prima volta che, con questa mostra a Torino, arriva in Italia...
«Si, e tutti ne sono particolarmente felici perché Costakis, che amava moltissimo il vostro Paese, desiderava esporla proprio in Italia. Anche perché il periodo iniziale delle avanguardie russe è influenzato dall’arte italiana: nei quadri di Popova si trovano echi non solo del Futurismo, ma anche della pittura rinascimentale».
Cosa avete scelto di mostrare della collezione per questo debutto italiano?
«Una selezione di 300 opere tra disegni, dipinti e materiali d’archivio che esponiamo per raccontare in modo didattico le avanguardie russe: dal simbolismo e il neo impressionismo influenzati dall’arte europea, fino al Suprematismo e all’astrattismo, mostrando come fossero connessi alla rivoluzione e convinti di influenzare la vita quotidiana attraverso l’estetica. Sono in mostra anche movimenti e gruppi meno noti come quello cosmico o della scuola organica, che voleva connettere la pittura con la natura e la musica. E’ infine esposto l’ultimo periodo delle avanguardie con il ritorno al cavalletto e alla rappresentazione. L’ultimo lavoro che mostriamo, però, è un dipinto di Aleksandr Rodchenko del 1943, molto sperimentale: la sua tecnica ricorda il dripping di Jackson Pollock, 8 anni prima che Pollock dipingesse con questa tecnica, perché vogliamo spiegare che, nonostante il realismo socialista fosse l’unico stile accettato in Unione Sovietica, gli artisti continuavano a sperimentare pur non potendo esporre. Non desideravamo infatti terminare la mostra in modo triste e pessimistico, ma con uno sguardo aperto verso il futuro».

Costakis, il greco che ha salvato Kandinsky & C.

Figlio di un commerciante, iniziò collezionando arte antica e poi fu folgorato da un quadro della Rozanova

di Mario Baudino La Stampa 3.10.14
Non doveva essere facile essere un collezionista d’arte nella Mosca staliniana, e poi in quella degli Anni 70, e per di più farlo apertamente, coltivando i contatti non solo con gli artisti ma anche con le istituzioni, trasformando il proprio appartamento in un centro culturale. Una collezione privata era già qualcosa di «borghese» quindi fortemente sospetto; ma una collezione di artisti d’avanguardia, non conformisti, banditi dai musei e per l’ufficialità del tutto inesistenti poteva rappresentare una provocazione grave, un’attività antisovietica.

George Costakis non solo ci è riuscito, con l’abilità dell’uomo di gran mondo, con un fiuto infallibile e non poca destrezza; anzi ha raccolto la collezione più strepitosa e completa, prima a casa sua a Mosca e poi irradiandola in Occidente. Migliaia di sculture, quadri, disegni, appunti, studi soprattutto d’inizio Novecento, da Chagall a Malevich, da Kandinsky a Tatlin, da Rodchenko a Popova, da Rozanova a El Lissitzky sono passati per le sue mani, acquistati con tenacissima furia in base a regole che prevedevano anche non si dovesse mai trattare sul prezzo: perché, come spiegò in più occasioni, lo sconto alla fine si ritorce contro il collezionista. 
Nato nel 1913 da un agiato commerciante greco trasferito in Russia a inizio secolo (che non aveva ritenuto la rivoluzione un valido motivo per andarsene), dopo aver lavorato per l’Ambasciata del Belgio – come autista –, aveva rapidamente conquistato una solida posizione come funzionario dell’ambasciata canadese, che gli garantiva una certa extraterritorialità. Per lui tutto cominciò nel 1946, quando, racconta, venne fulminato da un quadro di Olga Rozanova. «Mi accorsi che fino a quel momento avevo vissuto senza aprire le finestre», avrebbe poi spiegato in varie interviste. Era il punto di arrivo di un tirocinio come intenditore d’arte, antiquariato e in genere di ogni tipo d’oggetto collezionabile che potesse interessare gli ospiti stranieri quando, da autista, li portava a visitare Mosca.
Dopo l’opera della Rozanova non smise più di comperare, ma solo per sé. Furono trent’anni di furioso e selezionatissimo collezionismo, che fecero di lui uno snodo inevitabile per chiunque si interessasse di arte russa e sovietica. Visse a Mosca fino al ’77, poi si spostò in Grecia (dopo un anno trascorso a Roma) con la benedizione delle autorità e qualcosa come 1200 capolavori nei bauli, avendone donati quasi altrettanti alla Galleria Tretjakov, il museo deputato all’arte moderna. Va detto che intratteneva da tempo rapporti eccellenti – e riservati – con un’altra istituzione, il Museo di Leningrado, dedito a tutt’altro. Ma il direttore, che pure era un fedele membro del partito, gli acquistava sottobanco un bel po’ di opere, pensando al futuro, e mise insieme quello che nel mondo dell’arte divenne noto come il «museo segreto», a lungo interdetto ai visitatori, e solo rarissimamente a partire dagli Anni Ottanta mostrato a stranieri di rango. Non era facile essere un collezionista come Costakis nel Paese del socialismo reale, ma senza di lui forse la grande produzione dell’avanguardia sovietica sarebbe andata persa. Il «greco pazzo» che «raccoglieva spazzatura inutile» (era il suo soprannome a Mosca, come ci ricorda nel catalogo Maria Tsantsanoglou, direttrice del Museo di Arte contemporanea di Salonicco che raccoglie il più importane lascito) aveva il piccolo vantaggio di essere appunto cittadino greco, anche se ciò non impediva al Kgb di tenerlo sotto stretto controllo. Nella biografia racconta che almeno in un caso ebbe il timore di essere ucciso. Lasciò la Russia a causa delle crescenti provocazioni del temibile servizio segreto, che tentò infine di coinvolgerlo in una storia di spionaggio. Fino ad allora non gli erano mancati gli ammiratori e gli amici anche al vertice del potere. Arrivò anzi a un passo da quello che sarebbe stato un capolavoro politico-culturale: anticipare agli Anni 60 la riabilitazione almeno ufficiosa delle avanguardie russe e sovietiche grazie a Yekatrina Fursteva, esuberante ministro della Cultura nel periodo krusceviano (e secondo le voci del palazzo, amante di Kruscev). Il segretario del partito lanciava rumorose campagne contro gli artisti non-ufficiali, ma la Fursteva promise al collezionista di visitare le sue opere. Sarebbe stato un gesto di grande portata. Venne cancellato all’ultimo momento: la ministra non voleva mettersi in conflitto col capo. L’appuntamento era rinviato, e di parecchio.
Nel ’77 una selezione venne presentata a Düsseldorf, e due anni dopo al Centre Pompidou a Parigi. Ma la consacrazione è dell’81, quando i pezzi migliori vengono esposti al Guggenheim di New York, i musei russi aprono le porte, un intero mondo torna alla luce. Costakis morì nel 1990, alla vigilia della prima mostra in terra ellenica delle sue opere. Negli anni seguenti, l’intera collezione è stata acquistata dallo Stato greco, e conferita al Museo statale di arte contemporanea di Salonicco.








L’autista russo che “salvò” l’avanguardia
Per la prima volta in mostra a Torino la collezione d’arte di George Costakis
DARIO PAPPALARDO Repubblica 8 1 2015
PER l’Unione Sovietica era “il greco pazzo”. Ma oggi sarebbe più corretto definirlo “l’uomo che salvò l’avanguardia russa”. Lui si chiamava George Costakis (1913-1990). A Mosca, il suo appartamento di sette stanze contava 2000 capolavori che lo coprivano dal pavimento al soffitto. C’erano venticinque Kandinsky, venti Chagall e altrettanti Rodchenko e Malevic. C’era tutta l’arte astratta di inizio Novecento che il regime rifiutava e bandiva dalle gallerie di Stato, dove la quotidianità dell’Urss era magnificata dalla pittura figurativa della propaganda socialista: soldati rossi e operai solerti. Niente quadrati neri o sinfonie di colore, vietati al popolo e ignorati dagli storici.
Costakis, chauffeur all’ambasciata canadese, mette insieme il suo museo personale tra gli anni Quaranta e Settanta, all’ombra di Stalin e poi di Krusciov. Compra a poco quello che la Russia butta via. L’opera più costosa è il Cerchio rosso di Kandinsky: 600 dollari appena nel 1955. Oggi vale decine di milioni. Lui, figlio di un commerciante di tabacco originario dell’isola di Zante, acquista e nasconde tutto tra le mura domestiche. Come autista, accompagna i diplomatici stranieri in giro tra mercanti d’arte e antiquari. Inizia così a raccogliere icone, porcellane, dipinti fiamminghi. Poi, un giorno del 1946, vede La striscia verde di Olga Rozanova, realizzata trent’anni prima. È il colpo di fulmine e insieme la scoperta del suprematismo di Malevic, del cubo-futurismo e del costruttivismo: spazzatura inutile per i censori. Scrive nella sua autobiografia: «Per farla breve decisi di diventare collezionista di arte d’avanguardia. Molti tra i miei amici e parenti scossero la testa. Pensavano che stessi commettendo un grosso errore lasciando da parte le mie altre collezioni per iniziare a comprare opere che erano considerate da tutti “nonsense”».
Negli anni Sessanta la notizia dell’esistenza di un’incredibile collezione clandestina comincia a circolare sulla stampa occidentale e per i nomi della cultura e del jet set internazionale quella casa sulla via Vernadskij diventa una meta moscovita obbligata, dopo il Cremlino e il Bolshoi. «L’appartamento era aperto a tutti dalla mattina alla sera», ricorda ora Aliki Costakis, mentre la raccolta di suo padre, morto nel 1990, è in mostra per la prima volta a Torino, a Palazzo Chiablese, fino al 15 febbraio (a cura di Maria Tsantsanoglou e Angeliki Charistou, catalogo Skira). «Vivere in una casa-museo non era facile, a volte mi veniva da fuggire in cerca di pareti vuote. Ma c’erano aspetti interessanti. Come l’incontro con personaggi eccezionali. Da Igor Stravinskij a Marc Chagall, che venne da noi con sua moglie nel 1973. Da Henri Cartier-Bresson a Michelangelo Antonioni, che rimase tutta una sera, nel 1976».
In quegli anni il formalismo e la pittura d’avanguardia russa non possono vedersi in tanti altri posti. Ci sono giorni in cui casa Costakis raduna anche un’ottantina di visitatori. Nessuno paga il biglietto, ma tutti lasciano una firma sul registro all’ingresso. Talvolta si sfiora l’incidente diplomatico. Il milionario David Rockefeller gira pagina per non segnare il proprio nome sotto quello dell’odiato Ted Kennedy. I due per poco rischiano di incontrarsi.
Le autorità sovietiche, intanto, non vedono di buon occhio le visite dei vip del mondo. Iniziano a capire che quella spazzatura rifiutata dai musei ufficiali può valere molto. La potentissima Yekaterina Furtseva, ministro della cultura dal 1960 al 1974, si interessa alla vicenda. L’idea di aprire finalmente un museo dedicato all’avanguardia, come vorrebbe Costakis, si rivela decisamente prematura per i sovietici. Intanto, due furti e un incendio convincono il collezionista a lasciare l’Urss nel 1977. Ma il “greco pazzo” paga la libertà cedendo parte del suo tesoro. Alla Galleria Tretyakov di Mosca restano tanti capolavori: ci sono Kandinsky, Malevic, Tatlin, «ma non i dipinti di Rodchenko», spiega la figlia Aliki «perché per le autorità era solo un fotografo, mentre prima ancora, in realtà, era stato un grande pittore avanguardista».
Il resto della raccolta (1277 oggetti) approda in Grecia: dal 2000 è di proprietà dello Stato e adesso appartiene al Museo Statale di Arte Contemporanea di Salonicco. Dopo la Russia, i Costakis fanno tappa per un anno a Roma. Nonostante le pressioni, l’ex chauffeur tiene strette le opere che gli restano. Ognuna, verso la fine degli anni Settanta, vale circa 500mila dollari. Lui preferisce una vita frugale e coltivare ancora la sua passione. «Se un giorno tutto questo sarà noto — dice — per il mondo sarà una sorpresa». La moglie Zina vende l’auto, l’anello di diamanti e il visone per consentire a George di mantenere le abitudini di collezionista. «Fu un nuovo inizio per niente semplice», racconta ancora Aliki. «Partivamo da zero, ma non potrò mai dimenticare il senso di libertà di quel primo anno. A Roma, abitavamo a Pineta Sacchetti, mio padre impiegava il tempo a visitare siti archeologici e musei. L’Italia lo ha spinto a cominciare a dipingere ».
Nel 1979, molte opere della collezione Costakis vengono presentate alla mostra Parigi-Mosca 1900 1-930 . Due anni dopo, il riconoscimento della tenacia del “greco pazzo” arriva dal Guggenheim di New York. Margit Rowell, curatrice del museo americano, ha scritto: «Quando abbiamo visto la collezione per la prima volta, abbiamo capito che la storia dell’arte del XX secolo avrebbe dovuto essere riscritta».
Oltre al suo tesoro, Costakis ha lasciato alcune regole del “mestiere”: «Un vero collezionista deve sentirsi come un milionario anche quando è senza un soldo»; «La razionalizzazione è il più grande nemico del collezionista »; «Il vero collezionista è pronto a rinunciare a tutto ciò che ha per un’opera che desidera ardentemente»; «Un vero collezionista non deve contrattare. È più vantaggioso per lui pagare troppo che pagare abbastanza »; «Il collezionsta deve con grande decisione, persino spietatamente, definire i limiti della propria collezione, non dovrebbe mai esagerare». Per gli azionisti del mercato dell’arte contemporanea c’è di che meditare. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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