venerdì 24 ottobre 2014
Comunismo come "carestia politica indotta": una naturalizzazione del capitalismo nel libro Tombstone puntualmente tradotto da Adelphi
Nella superstizione religiosa capitalistica, la pianificazione, turbando l'ordine naturale delle cose, provoca carestia allo stesso modo delle grandi siccità, ecc. ecc. [SGA].
Il secolo breve che generò le carestie “politiche”
Nel ’900, nell’Urss come in Cina, lo statalismo feroce affamò intere popolazioni
Stalin in Ucraina usò la mancanza di cibo come arma di distruzione di massa
Anche il “Grande balzo” di Mao provocò una tragedia. Costringendolo al mea culpa
Ma solo ora si studia il rapporto tra privazioni e potere
di Andrea Graziosi Repubblica 24.10.14
IL
Ventesimo secolo è stato segnato da carestie terribili: tranne quella
del 1943 in Bengala, si è trattato in genere di carestie politiche,
causate da scelte statali. Se si escludono quelle organizzate dal
nazismo contro le popolazioni slave, le altre hanno avuto luogo in paesi
socialisti. Tre sono quelle sovietiche: 1921-22 (circa 1,5 milioni di
morti); 1931-33 (6,5-7,5 milioni, concentrati in Ucraina, con 4 milioni,
e Kazachstan, con quasi 1,5 milioni); e 1946-47 (1,5). Vi sono poi la
carestia del 1983-85 in Etiopia; quella del 1994-98 in Nord Corea, e
soprattutto la carestia cinese del 1958-62, forse la maggiore della
storia con 30-45 milioni di vittime.
Queste grandi carestie politiche
sono state a lungo poco studiate perché era difficile concepire la
possibilità di carestie causate da decisioni umane e l’associazione tra
fame e comunismo sembrava una contraddizione in termini. Solo oggi,
grazie ai progressi della ricerca, appaiono i primi tentativi di
comparazione ma, specie in Italia, la conoscenza di questi eventi è
ancora limitata e persino il Grande balzo in avanti di Mao, sfociato in
una tragedia che è persino difficile immaginare, viene ancora citato
come un evento positivo.
La situazione dovrebbe migliorare: Adelphi
sta per pubblicare il saggio Tombstone, The Great Chinese Famine, 1958
1-962 , scritto da uno dei maggiori studiosi cinesi dell’argomento, Yang
Jisheng, che si spera avrà maggior successo della traduzione del
Saggiatore del bel libro La rivoluzione della fame di Jasper Becker
(1998). Anche se lavori come Mao’s Great Famine di Frank Dikötter o le
memorie del medico di Mao, Zhisui Li, restano da noi sconosciuti e poco
si pubblica anche sulle carestie sovietiche. In Francia sta ora per
uscire da Gallimard La Récidive di Lucien Bianco, che analizza analogie e
differenze tra le carestie di Stalin e quella di Mao, e su questi
temisi è appena svolto a Toronto un convegno, intitolato appunto
Communism and Hunger , a cui hanno partecipato anche studiosi della
carestia kazaca del 1931-33, provocata dalla decisione degli stalinisti
di usare il bestiame dei nomadi per garantire le razioni di carne a
Mosca e Leningrado, come ha dimostrato Niccolò Pianciola in Stalinismo
di frontiera , edito da Viella.
Sia le maggiori carestie sovietiche
che quella cinese dipesero da tentativi di trasformare dall’alto la
struttura socio-economica di due paesi arretrati: la Grande svolta di
Stalin (1929) e il Grande balzo di Mao (1958). Essi si basavano
sull’idea di usare il piano, e quindi lo Stato, per socializzare e
quindi modernizzare nel più breve tempo possibile, e provarono invece il
naufragio della pianificazione centrale che, eliminando ogni
contrappeso, aprì la via al collasso sistemico. In entrambi i casi,
inoltre, il piano si trasformò da dispositivo economico in strumento
della volontà di due despoti che per loro stessa ammissione non sapevano
nulla di economia. L’economia socialista divenne così un sistema
soggettivo, dominato da scelte politiche e personali che, in Urss come
in Cina, si fondavano sull’idea che fosse possibile far pagare alle
campagne la rapida trasformazione del paese, sequestrando quote
crescenti di prodotto agricolo per sfamare città in rapida espansione e
procurarsi, con l’esportazione, parte della valuta necessaria
all’acquisto di macchinari e tecnologia. In entrambi i casi si sostenne
che la socializzazione avrebbe causato un tale aumento della
produttività agricola da permettere quello del livello di vita dei
contadini, malgrado il maggior tributo loro imposto.
Al di sotto di
queste impressionanti somiglianze vi furono tuttavia differenze
cruciali. I due paesi erano guidati da due despoti, ma come Montesquieu
ha osservato, una volta che un despota si è impadronito del potere la
sua personalità diventa un fattore decisivo, e Stalin e Mao erano
davvero diversi. La Cina era inoltre più povera dell’Unione sovietica,
il suo equilibrio alimentare era più fragile, e una sua rottura
catastrofica era quindi più probabile.
Soprattutto, come ci indicano i
dati sulle vittime e la loro distribuzione, la “questione nazionale”
giocò nella carestia sovietica un ruolo che non ebbe in quella cinese,
malgrado la sua coincidenza con la rivolta tibetana del 1959. In
particolare, in Urss i picchi di mortalità furono stretta- mente
associati alla nazionalità, e non a caso che dopo il 1991 la “memoria”
della carestia è divenuta in Ucraina un importante strumento di
costruzione e legittimazione statuale. In Cina quei picchi dipesero
invece dalla maggiore o minore possibilità del centro di sfruttare
questa o quella regione, per esempio grazie alla presenza di ferrovie,
nonché dall’estremismo di alcuni dirigenti locali. Si spiega così il
peso molto maggiore avutovi dalla brutalità dei quadri, la cui crudeltà è
sorprendente persino per chi ha letto i rapporti sulle violenze
anti-contadine dei primi anni Trenta: le commissioni di inchiesta del
1960-61 parlano di contadini sepolti vivi, costretti a nutrirsi dei loro
escrementi, mutilati e uccisi e si calcola che le vittime dirette di
queste violenze siano state alcuni milioni.
Anche la distribuzione
cronologica della mortalità mette in rilievo differenze importanti.
Mentre in Cina e nella carestia pan-sovietica si morì nell’arco di
diversi mesi, a loro volta suddivisi tra più anni, in Ucraina milioni di
persone perirono in poche settimane tra marzo e giugno 1933, un dato
che lascia intravedere una decisione politica di usare la fame come
strumento per “risolvere” uno specifico problema nazionale e sociale,
una decisione confermata da altri indicatori e che non trova riscontri
in Cina.
Qui però le dimensioni della tragedia furono di gran lunga
superiori, la rottura del sistema centrale più drammatica, e la reazione
della leadership alla catastrofe molto diversa da quella sovietica.
Mentre Stalin vinse la sua battaglia domando i contadini e l’Ucraina, e
consolidò la sua presa sul paese, dove nel 1934 celebrò il congresso dei
“vincitori” e nel 1936-38 liquidò con facilità i suoi presunti nemici
nei grandi processi-spettacolo, Mao dovette, anche se a malincuore,
ammettere la sconfitta delle sue politiche. Nel 1962 egli riconobbe la
propria responsabilità per una tragedia di cui altri leader, come Deng
Xiaoping, parlavano apertamente. Il suo potere ne fu indebolito e per
riconquistare le posizioni perse egli fu costretto a lanciare tre anni
dopo una Grande rivoluzione culturale chiamata a bombardare il “Quartier
generale”, vale a dire il gruppo dirigente del partito.
Differenze
essenziali si manifestarono anche sul lungo periodo. Nel 1956, tre anni
dopo la morte di Stalin, nel suo rapporto segreto al XX congresso
Krusciov condannò lo Stalin delle purghe e del terrore, ma esaltò la
Grande svolta del 1929 che aveva posto le basi del socialismo sovietico,
e ignorò le carestie del 1931-33. Due anni dopo la morte di Mao, con le
quattro modernizzazioni, Deng e i dirigenti cinesi, che tra loro
discutevano della carestia, fecero invece la scelta opposta, ribaltando
le politiche economiche del grande timoniere ma formalizzandone al
contempo il culto per consolidare il potere del partito. La Grande
svolta e il Grande balzo, e le tragedie da essi causati, furono quindi
eventi cardine anche per la storia successiva dei due paesi, ma in modi
diversi e persino opposti.
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