domenica 5 ottobre 2014

Embedded d'Italia: cinesi mafiosi, anticinesi democratici

Da Spogli [SGA]-


il Fatto 5.10.14

Hong Kong, giovani chiedono più giustizia sociale. Quando accadrà anche in Italia?
Ma nel nostro Paese i coetanei dei manifestanti non conoscono neanche l'articolo 18
di Pio d'Emilia

Corriere 5.10.14
Nastri blu, dragoni (e pipa)
Tra i picchiatori delle triadi
A Hong Kong la mafia cinese interviene contro gli studenti
di Guido Santevecchi

HONG KONG Il primo Nastro blu salta a piedi pari sulla barricata piazzata dagli studenti. Le due del pomeriggio a Nathan Road, la strada dei mille negozi e delle infinite trame del quartiere Mong Kok a Kowloon. Dietro il tizio grosso, che fuma la pipa per darsi un’aria importante, ci sono altri due, con la faccia da picchiatori. «Teppisti da Triadi, stia attento a non avvicinarsi, ieri hanno tirato pugni anche ai cronisti quelli lì», suggerisce un ragazzo. I Nastri blu sono la risposta dei filocinesi di Hong Kong a quelli gialli portati dagli studenti che occupano da otto giorni il centro della city e sfidano il potere di Pechino. L’altra notte i filocinesi sono andati all’assalto, hanno tirato colpi, minacciato e ferito una dozzina di manifestanti democratici e pacifici, che tenevano le mani alzate. La polizia è intervenuta in ritardo e senza convinzione. 
Entra in scena un altro tizio, capelli grigi, aria da capo, urla ai giovani: «Andatevene, basta occupazione, venite a battervi con noi, vigliacchi». Dal gruppo di studenti ancora mani levate con le mani aperte e la risposta: «Mostra la carta d’identità, vediamo se sei davvero di Hong Kong». Il sospetto è infatti che dietro gli assalti dei filocinesi ci sia il governo, che ha reclutato elementi fatti venire dalla vicina provincia di Canton e bassa manovalanza prestata dalle Triadi. Le associazioni segrete e mafiose storicamente sono favorevoli al potere di Pechino e a volte si prestano a fare lavori sporchi. 
Il tizio grosso, con un tatuaggio sul collo, due anelli e la sua pipa, ha cominciato a comportarsi da padrone della strada e come prova di superiorità, dopo aver preso a calci la barricata, mi ha soffiato in faccia il fumo della pipa. Poco male. Dietro, un altro con tunica intarsiata di draghi vari e codino annodato in verticale sulla testa ha cominciato a inveire verso il gruppo dei cronisti. «Fotografatelo, così lo identifichiamo», incitano i ragazzi. Qualche spintone, minacce e imprecazioni. Cori di «Difendete gli studenti». Polizia sempre spettatrice. 
Davvero il sorridente Chief Executive di Hong Kong, CY Leung, spalleggiato dal governo centrale di Pechino, sta usando il trucco di affidare a picchiatori venuti da fuori e Triadi la «pulizia» delle strade occupate? La polizia smentisce, fa sapere di aver arrestato 19 aggressori e che otto di loro erano collusi con le Triadi. 
Rex Yip, 27 anni, vive nel quartiere: «Qui c’è di tutto, gente onesta, bulli, mafiosi. E ci sono quelli che per pochi dollari menano le mani. Ho visto tipi strani, parlano cantonese ma non con l’accento di Hong Kong». Però, tra i Nastri blu, ci sono anche cittadini di Hong Kong che davvero non hanno niente da eccepire sul governo locale fedele al partito comunista cinese; e ci sono tanti esasperati dalla paralisi delle vie dei negozi, delle superstrade, delle scuole. Fino a quando vuole insistere l’alleanza degli studenti e di Occupy Central? Non state esagerando? «Eh, questi che protestano per gli affari rovinati sono gioiellieri, arricchiti, fanno un sacco di soldi e piangono per pochi giorni di disagio. Noi pensiamo al futuro dei nostri figli», ci dice un uomo di 59 anni, ex studente dai salesiani. C’è anche molto risentimento per la diseguaglianza economica in questa crisi. 
Sulla superstrada che taglia la city ad Admiralty, nella notte grande manifestazione degli studenti e di Occupy Central (che riunisce professori, intellettuali e religiosi). Un mare di gioventù entusiasta e ispirata dal sogno democratico. Canzoni e promesse di resistere. 
Il Chief Executive CY Leung va in tv, dice che per lunedì mattina vuole la city sgomberata: «Ora basta, la polizia farà tutto il necessario per ripristinare l’ordine». 
Appiccicato a un muro di Admiralty un manifesto scritto a mano: «Notte, neanche la luna, solo le cinque stelle della bandiera cinese, immaginate il buio che ci avvolge».

Repubblica 5.10.14
Io, leader dei diritti vi spiego perché l’Occidente ci deve difendere
di Martin Lee fondatore del movimento democratico

Il comportamento violento degli agenti ha rafforzato la determinazione degli studenti ad andare avanti nella loro battaglia
Vogliamo continuare a vivere nella libertà, non essere una città della Cina Londra e Washington hanno il dovere di aiutarci

HONG KONG A SETTANTASEI anni non mi sarei mai aspettato di essere attaccato con i lacrimogeni a Hong Kong, la mia patria un tempo pacifica. Come molti delle decine di migliaia di dimostranti non violenti che domenica scorsa erano in strada, quando la folla è stata accolta da una massa di poliziotti in tenuta antisommossa, armati e che sparavano lacrimogeni senza motivo, sono rimasto sconvolto. Dopo aver esortato a mantenere la calma di fronte a una simile provocazione, sono stato raggiunto da una nuvola di fumi urticanti.
I manifestanti non hanno ceduto. Se colpiti dal gas correvano a sciacquarsi il volto per poi tornare con le mani alzate. Ma gli agenti hanno continuato a far salire la tensione. Il loro comportamento aggressivo non ha fatto che rafforzare la determinazione dei dimostranti — molti dei quali sono troppo giovani per votare — nel difendere le nostre libertà. Come il diritto, a lungo promesso, di eleggere il nostro leader. Le squadre antisommossa si sono ritirate lunedì mattina e da allora il governo ha adottato una strategia di attesa. Il centro di Hong Kong si è trasformato in un festival di strada, con gruppi musicali e tende che spuntavano ovunque e i giovani che chiacchieravano, consultavano i telefonini e dormivano.
Perché noi manifestanti — compresi molti liceali e universitari che hanno tutta la vita davanti — combattiamo in strada per i nostri diritti? Perché questo è un estremo tentativo di difendere i valori fondamentali di Hong Kong, che da tempo ci separano dalla Cina: Stato di diritto, libertà di stampa, buon governo, indipendenza della magistratura, tutela dei diritti umani. La reazione esagerata di Pechino dimostra che il nostro futuro in quanto società libera è a rischio. A rendersene conto più di tutti sono i giovani — molti dei quali nel 1997, quando Hong Kong passò dalla Gran Bretagna alla Cina, non erano nemmeno nati. Non vogliono vivere in una Hong Kong obbligata a diventare come una qualsiasi città della Cina, corrotta dal clientelismo e basata su un ipocrita sistema monopartitico, e riconoscono e apprezzano l’importanza della libertà accademica, la possibilità di parlare e scrivere liberamente.
La protesta è destinata a raggiungere un punto di crisi che da soli non potremo superare. Serve che il resto del mondo si schieri dalla nostra parte, incluse le tante multinazionali la cui prosperità dipende dalla libertà del nostro mercato e dall’onestà e apertura della nostra società. E comprese, soprattutto, le democrazie libere di tutto il mondo. Gli abitanti di Hong Kong meritano di ricevere mag- giore sostegno da parte di Washington e Londra. Non essendosi schierate inequivocabilmente con i pacifici dimostranti democratici, sia Washington che Londra hanno di fatto preso le parti di Pechino in questa vergognosa politica della forza.
I miei timori più grandi ora sono due: che Pechino mostri ai manifestanti qualche insulsa “carota” e propini alla comunità inter- nazionale delle banalità diplomatiche. E che così facendo le manifestazioni — e l’attenzione dei media necessaria a tenerle in vita — perdano impeto. O che Pechino decida di ignorare la riprovazione globale, sicura che rispondere a dei manifestanti pacifici con lacrimogeni e violenza gli costerebbe solo flebili rimostranze da parte della comunità globale.
Il popolo di Hong Kong aspetta da decenni che la Cina onori la promessa di lasciar loro governare la città con un “elevato grado di autonomia”, impegno assunto nel 1984 con la Dichiarazione congiunta tra Cina e Gran Bretagna: un trattato internazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite. La Gran Bretagna, che ha sottoscritto la Dichiarazione, ha il dovere di intervenire, e la politica del presidente Obama dovrebbe ispirarsi all’accordo che lega Usa e Hong Kong, nel quale si afferma che la sua sopravvivenza come società libera è interesse dell’America. Londra e Washington, che hanno un certo ascendente sui leader cinesi, hanno il dovere di esortare la Cina ad onorare i suoi obblighi. Il messaggio della scorsa settimana è chiaro: gli abitanti di Hong Kong si batteranno per tutelare le proprie libertà e il proprio stile di vita. E oggi, mentre il mondo si domanda se la Cina si comporterà come membro responsabile della comunità globale, Hong Kong rappresenta un banco di prova essenziale.
(© New York Times. Traduzione di Marzia Porta)

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