giovedì 30 ottobre 2014
La lotta di classe dei ricchi è perfettamente riuscita
di Kibra Sebhat Corriere on line
La politica dimentica i più poveri
di Chiara Saraceno Repubblica 31.10.14
IL DATO della, piccola, riduzione del numero di persone a rischio di
povertà ed esclusione sociale avvenuta tra il 2012 e il 2013 va accolto
con molta cautela, non solo per la sua esiguità e perché si riferisce
alla situazione di un anno fa, ma perché nasconde fenomeni divergenti,
che nel loro insieme segnalano un rafforzamento delle disuguaglianze.
In primo luogo, l’unico dei tre indicatori che è diminuito riguarda la
deprivazione grave, perché è calata la percentuale di persone che non
può avere un pasto adeguato almeno ogni due giorni, che non ha mezzi per
riscaldare a sufficienza l’abitazione e non avrebbe neppure 800 euro di
risparmi per fronteggiare un’emergenza. Si tratta di situazioni al
limite della sopravvivenza. Non vi è stato, invece, nessun miglioramento
per quanto riguarda la percentuale di coloro che si trovano in
condizione di povertà relativa e di coloro che vivono in una famiglia in
cui nessun adulto (esclusi gli studenti e i pensionati) è occupato.
In secondo luogo, il miglioramento è distribuito in modo molto diseguale
tra le varie aree del Paese e tra i diversi gruppi sociali. È stato
molto più sostanziale nel Centro- Nord, dove il fenomeno della povertà e
dell’esclusione sociale è relativamente contenuto, che nelle regioni
meridionali, dove è tradizionalmente molto più diffuso ed era
maggiormente aumentato negli anni della crisi. Come ha documentato anche
il recente rapporto Svimez, il gap tra le condizioni di vita nel
Mezzogiorno e il resto del Paese si sta ampliando, senza che ciò riesca
ad entrare nel dibattito politico. Allo stesso tempo, il Mezzogiorno si
conferma anche l’area del Paese in cui le disuguaglianze economiche sono
maggiori, segnalando l’inefficienza e l’insostenibilità di un sistema
economico e sociale locale e dei suoi rapporti con il sistema nazionale
complessivo.
Il gap si sta ampliando anche tra vecchi e giovani e tra famiglie senza
figli o con un solo figlio e famiglie con tre figli e più. Il
miglioramento è concentrato tra gli anziani e le famiglie senza figli
(conviventi) o con un figlio solo. Viceversa, la situazione è peggiorata
per le famiglie con tre o più figli. Ciò è vero in tutte le aree
geografiche, ma nel Mezzogiorno il rischio di povertà ed esclusione
sociale riguarda ormai più del 40 per cento delle famiglie.
Il peggioramento dei nuclei famigliari numerosi significa che siamo di
fronte ad un peggioramento della povertà minorile, un fenomeno che
costituisce una caratteristica distintiva del nostro Paese, e che
tuttavia raccoglie ancora meno attenzione nel dibattito pubblico e da
parte dei policy maker rispetto alla questione meridionale e certamente
non trova neppure l’inizio di una risposta nel bonus triennale per i
nuovi nati introdotto con la legge di stabilità. Qualcuno potrebbero
persino dire che è irresponsabile incentivare le nascite con misure di
breve periodo se non si affronta prima in modo sistematico e coerente la
questione della povertà minorile, che dipende in larga misura dalla
combinazione di insufficiente reddito da lavoro e insufficienti, o
assenti, trasferimenti che tengano conto del costo dei figli lungo tutto
il percorso di crescita.
In ogni caso, forse non è comunicativamente attraente e pagante
nell’immediato a livello politico, ma se c’è un tema che richiede un
orientamento al futuro e non al passato, è proprio quello della povertà
minorile: se non sul piano dell’equità, certo per i suoi effetti
negativi di lungo periodo.
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