domenica 5 ottobre 2014

La sconfitta della lotta armata in Italia: una storia

La guerra è finita
Monica Galfré: La guerra è finita. L'Italia e l'uscita dal terrorismo 1980-1987, Laterza

Risvolto
Attraverso una documentazione in gran parte inedita, Monica Galfré ricostruisce il lungo percorso con il quale l’Italia si è lasciata alle spalle la terribile stagione di sangue del terrorismo, restituendo il fenomeno armato alla storia del paese, come parte integrante e non separata.Nelle parole dei protagonisti di quegli anni troveremo il racconto del pentitismo e della realtà scottante del carcere speciale, i movimenti e la legge sulla dissociazione, il potere acquisito dalla magistratura nei confronti della politica, il ruolo svolto dalla Chiesa e dal mondo cattolico nella riconciliazione, il processo di autocritica con cui gli ex terroristi hanno delegittimato l’omicidio e la violenza. Una normalizzazione complessa e tormentata, dopo eventi che hanno trasformato nel profondo le coscienze dei singoli e della società, facendo dell’Italia un caso unico in Europa.

La lunga marcia dopo il terrorismoDal pentitismo al regime speciale carcerario, il racconto di come l’Italia uscì dalla stagione più sanguinosadi Silvana Mazzocchi Repubblica 5.10.14

ANNI d’ira e di furore, i Settanta. Una lunga stagione di lotta armata che in Italia, più che in altri paesi d’Europa, riuscì a diffondersi e perfino a radicarsi nella vita sociale. Oltre duecento i morti, migliaia i feriti e innumerevoli gli attentati. Con le Brigate rosse e Prima linea in testa, e con una galassia di sigle minori, tutte coinvolte in un fenomeno la cui intensità toccò il culmine con la strage di via Fani e con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, per poi perdere progressivamente la connotazione iniziale e cedere all’impennata di attacchi ripetuti, sequestri di persona, agguati e omicidi. Fino alla comparsa dei primi pentiti e, successivamente, di quel movimento di dissociazione che invitava dal carcere “a deporre le armi”.

Un cammino accidentato che ora Monica Galfré, apprezzata studiosa della lotta armata negli anni Settanta e insegnante di storia dell’Italia repubblicana all’Università di Firenze, ha voluto ricostruire nel suo libro La guerra è finita, un saggio che per la prima volta offre una fotografia completa di quel periodo, arricchita con materiali inediti e numerose testimonianze.
Una considerazione innanzi tutto illumina la ricerca di Galfré: il tentativo, dichiarato e riuscito, di analizzare i fatti con la duplice lente della dimensione individuale (intrecciata a quella collettiva) e degli avvenimenti. Ecco allora il racconto del pentitismo, un fenomeno contrastato che ebbe inizio con leggi abbozzate già agli albori degli Ottanta, che vennero poi ampliate negli anni successivi con norme premiali destinate a quanti scelsero di parlare in cambio di protezione e sconti di pena. Un’attenzione particolare, però, Galfré la riserva all’universo carcerario, al regime speciale di que- gli anni, al lento riaffacciarsi dei detenuti alla vita. Un movimento del tutto diverso dal pentitismo che, nato dal carcere e dal distacco degli ex terroristi nei confronti della lotta armata, coinvolse nel tempo oltre i due terzi di loro. Utile ricordare come si sviluppò il cammino verso l’agognata riconciliazione, che non si è mai del tutto compiuta. S’inizia da quando, alla presa di distanza degli ex terroristi in carcere, si unirono da sponde opposte e con motivazioni diverse vasti settori della Chiesa e del mondo cattolico, pezzi di società e anche quei magistrati preoccupati di portare a termine le inchieste ancora in corso, che videro nella delegittimazione della violenza da parte di tanti detenuti un terreno fertile per allargare l’area della dissociazione e debellare quel che restava del terrorismo.
La guerra è finita è la storia del come e con quali protagonisti è iniziato ed è proseguito il tormentato cammino verso la normalizzazione. La cronaca degli scogli, dei passi indietro, ma anche dell’impegno e delle accelerazioni che, infine, hanno permesso di recuperare la lealtà a un sistema politico umiliato dalle esigenze emergenziali.

Terrorismo, quell’atroce guerra che sbarrò la via a un’Italia nuova
di Corrado Stajano Corriere 5.1.14
Il terrorismo? Sembra lontana secoli quella stagione di sangue. Non se ne parla o quasi. Anche se i problemi che furono discussi non superficialmente in quegli anni — la giustizia, le carceri, la funzione della pena, il rispetto della Costituzione e delle leggi, la dignità del cittadino — seguitano a essere di quotidiana attualità. Vengono invece dimenticati, sottovalutati, cancellati, lasciati ai margini del modesto dibattito politico di oggi.
Monica Galfré, che insegna Storia dell’Italia repubblicana all’Università di Firenze, ha ripercorso, in controtendenza culturale, il tragico cammino di quegli anni: il suo saggio, pubblicato da Laterza, La guerra è finita. L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987 rappresenta un contributo importante, anche per il nostro presente, naturalmente.
La studiosa dimostra che quella storia di violenza e di morte non è separata, come si vuol far credere, dalla storia della Repubblica alla quale è invece profondamente intrecciata. Nella sua ricerca si serve di nuove fonti, gli archivi privati, non usa le testimonianze orali, registra con estrema attenzione le cronache e i commenti dei quotidiani, trascura purtroppo la tv.
Pare che il saggio abbia due «anime» che si compongono. Nella prima, Monica Galfré affronta (volutamente senza completezza) certi fatti del terrorismo di sinistra e della manchevole risposta giudiziaria, istituzionale, politica, soprattutto agli inizi, degli apparati repressivi. I magistrati erano dotati di poveri strumenti. Il Pci si muoveva tra l’incapacità e il rifiuto di capire che le Br nascevano a sinistra. L’album di famiglia.
Il libro non parla delle ambiguità e delle complicità dei servizi segreti e neppure delle non ancora chiarite infiltrazioni e presenze internazionali. Anche la funzione della P2 è lasciata da parte. (Fu importante anche perché l’affiliazione alla Loggia segreta di un gran numero di generali a capo dei servizi, di ministri, di politici e di giornalisti di rango avvenne agli inizi del 1977, l’anno dopo il grande successo elettorale del Pci, anche se la Democrazia cristiana, nonostante gli scandali e il degrado, aveva tenuto. Per i 55 giorni del sequestro Moro, il ministro degli Interni Cossiga ebbe intorno a sé come consiglieri gli uomini della P2).
Il saggio di Monica Galfré documenta come la lotta dello Stato contro il terrorismo non abbia rispettato, come vien detto, le garanzie costituzionali. Ne fanno prova, tra i non pochi esempi, il caso del sanguinoso blitz di via Fracchia a Genova, nel 1980, dove furono uccisi senza ragione quattro terroristi; il caso di Marco, il figlio terrorista del vicesegretario della Dc, più volte ministro, Carlo Donat Cattin di cui i carabinieri sapevano e tacquero; il caso della tortura inflitta ai brigatisti sequestratori del generale Dozier, comandante della Nato nel Sud Europa. (Ancora oggi la Repubblica democratica attende una legge contro la tortura).
Fu un’atroce guerra. Duecento i morti, migliaia i feriti e innumerevoli gli attentati del terrorismo di sinistra, «che danno l’idea di un caso imparagonabile al resto d’Europa», scrive Monica Galfré. Se si pensa poi alle stragi, prerogativa dell’estremismo di destra, e alle altre innumerevoli vittime dei gruppi neofascisti, si ha la percezione del clima cupo che in quegli anni gravò sulla comunità.
Gli episodi furono barbari, non soltanto gli assassinii degli uomini illustri come Aldo Moro e di tanti onesti servitori dello Stato. Il giornale radio delle 8 dava ogni mattina notizia di una nuova esecuzione, dirigenti industriali, capireparto, guardie carcerarie, agenti di polizia, carabinieri, brigatisti pentiti, giornalisti.
Viene ripetuto ancora oggi che il terrorismo ebbe il merito di sollecitare un rinnovamento politico e sociale. Come mai, si può replicare, le vittime sono state spesso uomini di sentire democratico, Emilio Alessandrini, Guido Galli, Walter Tobagi, tra gli altri? Dopo la strage di piazza Fontana ci fu nella società italiana un risveglio che si manifestò nella volontà riformatrice alle elezioni del 1975 e del 1976. I terroristi, con la loro violenza cieca, seppero invece far regredire quel desiderio di mutare rotta, di dir no alla corruzione e al cattivo governo. L’assassinio del fratello del pentito Patrizio Peci, nel 1981, che rammenta i metodi nazisti, fece capire come i terroristi non potessero avere un consenso di massa.
La seconda «anima» del saggio ricostruisce con minuzia e inediti particolari i processi legislativi, essenziali forse più dei pentiti, a sconfiggere il terrorismo. Il percorso fu arduo, alla ricerca di una soluzione politica o semplicemente umana: dalla prima legge sui pentiti, del 1980, a quella, del 1982, che mettevano a rischio l’essenza stessa dello Stato di diritto. Come si poteva chiedere «sincerità» e «spontaneità del ravvedimento»? Soltanto la legge sulla dissociazione, approvata nel 1987, riuscì a porre fine al terrorismo.
Andò in porto dopo un vero travaglio, una cruda lotta tra gli uomini di buona volontà, senza interessi di parte, e coloro che legavano la decisione ai meschini interessi di partito, tra i socialisti di Craxi all’avventura, i comunisti sulla difensiva, i democristiani sempre con gli occhi puntati ai doppi e tripli forni del potere, i cattolici democratici e gli intellettuali laici che ebbero, invece, con i radicali, una funzione propositiva.
«Cercare di capire le ragioni degli uni e degli altri, reali o presunte che fossero — conclude Monica Galfré il suo libro utile e coraggioso — mi è parsa l’unica strada percorribile per restituire, in tutta la sua complessità, il quadro determinante dalla sconfitta del terrorismo e dalla difficile uscita dall’emergenza: e, attraverso questo capire cosa esso abbia significato per la storia e la coscienza del Paese. (...) Una storia di cui è ancora difficile parlare».

Anni di piombo Stagione (e strascichi) del terrorismo
di Raffaele Liucci Il Sole Domenica 22.2.15
Sarà anche vero, come scrive Monica Galfré, che «la dialettica tra vittime e carnefici diventa una gabbia se assunta come un criterio univoco nella ricostruzione storica». Però il suo libro sull’Italia e la tormentata uscita dagli anni di piombo suscita nel lettore sentimenti contrastanti.
Da un lato, non si può non apprezzare l’acribia dell’autrice nel lumeggiare questo delicato passaggio d’epoca: la crisi e la dissoluzione del terrorismo di sinistra (smantellato nel 1982, dopo il fallito sequestro Dozier, anche se i sopravvissuti continueranno a sparare a lungo), l’esplosione del pentitismo e il lento affiorare di un movimento di «dissociati», l’annoso dibattito sul superamento dell’«emergenza», l’attivismo del mondo cattolico nel «rieducare» le pecorelle smarrite (succose le carte rintracciate negli archivi privati di Ernesto Balducci e Mario Gozzini). Senza dimenticare il logoramento dello Stato di diritto indotto dalle leggi speciali, l’inferno carcerario e, soprattutto, le torture praticate sistematicamente contro i brigatisti arrestati, per costringerli a vuotare il sacco. Quest’ultimo è un tema particolarmente scabroso, perché ci costringe a contemplare il cuore di tenebra di una democrazia incattivita dalla minaccia eversiva. Del resto, a quel tempo il garantismo era una dottrina negletta, abbracciata solo da sparuti giuristi (Rodotà) e giornalisti (Bocca), oltre che dai radicali di Pannella.
D’altro canto, desta qualche perplessità l’eccessiva umanizzazione dei carnefici operata da Monica Galfré. D’accordo, il terrorismo rosso fu un fenomeno rilevante (circa 6mila detenuti politici nell’arco di un ventennio), profondamente radicato nell’album di famiglia (sessantottesco) della sinistra italiana e spesso fronteggiato con norme e metodi sin troppo sbrigativi. Ma accettare quest’amara verità non significa affatto nobilitare quanti impugnarono le armi. In democrazia, il delitto politico non è un’attenuante, bensì un’aggravante. Per questo, nel 1984, Antonio Gambino giudicò «francamente disgustoso sentir parlare di “valori della vita” e di “ripresa del dialogo”, da persone nel cui recente passato vi sono numerose esecuzioni a sangue freddo di individui inermi». Gambino era indispettito dall’eccessivo spazio già allora tributato dai mass media ai guerriglieri più o meno «pentiti», mentre le loro compagne recluse partorivano un figlio dietro l’altro, come teenager innamorate. Il tutto con la benedizione di sacerdoti e porporati. Tanto che Nello Ajello firmerà nel ’95 un articolo intitolato «Patria nostra perdonòpoli», nel quale lamentava quanto fosse «difficile, oggi, in Italia, essere laici» sull’argomento .

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