lunedì 6 ottobre 2014
La Stasi ci spiava per soffocare Renzi nella culla ma mai abbastanza e di certo mai quanto la Cia
Gianluca Falanga: Spie dall’Est, Carocci, pagg. 288, euro 19
Le vite degli altri (italiani) spiati dalla Stasi
Gli
agenti della Ddr controllavano anche il nostro paese: ne parla lo
studioso Gianluca Falanga che ha raccolto in un libro carte e documenti
segreti La sterminata documentazione venne distrutta in parte nel 1990 I confidenti erano ovunque: a Botteghe Oscure ma anche nel Psi e nella Dc Ci sono relazioni dettagliate sulle correnti dei partiti, l’economia e sullo stesso Pci
di Simonetta Fiori Repubblica 6.10.14
«DEVO
ammetterlo, sono rimasto sorpreso: centinaia e centinaia di carte
segrete sull’Italia. Il faldone che mi sono trovato davanti era
impressionante: il più spregiudicato servizio segreto comunista ha
spiato il nostro paese per decenni, specie tra i Sessanta e gli Ottanta.
Ne ha seguito meticolosamente le crisi e gli scandali, le relazioni con
gli altri Stati, il potenziale delle forze armate e la qualità della
ricerca scientifica ». Da tempo Gianluca Falanga collabora a Berlino con
il museo della Stasi, il “ministero della paranoia” a cui ha dedicato
due anni fa un saggio molto documentato (Carocci) . Ora s’è preso la
briga di andare a studiare le informative che ci riguardano tra le
migliaia di tabulati estratti dal cervellone del Sira, ossia le banche
dati dell’intelligence della Germania Orientale. Il risultato di queste
ricerche è in un libro in uscita sempre da Carocci, Spie dall’Est, la
prima indagine sugli agenti della Ddr nella penisola.
La
documentazione ovviamente è parziale. «Alla caduta del Muro autentici
“gruppi di macerazione” polverizzarono oltre il 90 per cento
dell’archivio cartaceo, tutti i nastri magnetici e migliaia di file.
Però nella confusione qualcosa è sfuggita di mano. E una copia di
back-up con sezioni dell’archivio informatico è stata ritrovata a sud di
Berlino. È su quei documenti che ho lavorato per oltre un anno».
Ma perché si sorprende dell’attenzione della Stasi all’Italia? Da noi esisteva il più grande partito comunista d’Occidente.
«Certo,
ma all’interno del patto di Varsavia la vigilanza sull’Italia era di
competenza di altri paesi. E invece ho trovato relazioni dettagliate sul
sistema politico, sulla dialettica tra le correnti dei partiti,
sull’economia pubblica e privata, e naturalmente sul Pci. Lo spionaggio
era funzionale sia alle strategie nazionali di Berlino Est, specie sul
versante commerciale, sia agli interessi degli “amici” ossia il Kgb
sovietico. Non a caso la vigilanza della Stasi cresce eccezionalmente
nel periodo tra il 1975 e il 1978, segnato dall’avanzata elettorale di
Berlinguer ».
Non sembra che gli agenti della Ddr ne siano troppo contenti.
«Erich
Honecker, leader del Partito socialista, e Berlinguer erano molto
diversi. Il primo condannava ogni forma di comunismo lontana da quella
so- vietica, mentre Berlinguer era “un sardo ascetico di origini
aristocratiche” — così si legge in un appunto della Stasi — che suscita
molta diffidenza a Mosca per la sua “volontà autonomistica”. In tal
senso sono molto interessanti le carte conservate nell’archivio del Sed,
il partito-Stato di Honecker, presso il Bundesarchiv di Coblenza. Lì ho
trovato una serie di colloqui inediti in Italia tra Hermann Axen,
responsabile delle relazioni internazionali del Sed, e il suo omologo
sovietico Boris Ponomarev, insieme al vice Zagladin. Questi dialoghi,
intercorsi tra il 1973 e il 1978, aprono uno squarcio su ciò che si
muoveva a Mosca e a Berlino nei confronti del compromesso storico e
dell’evoluzione eretica del Pci».
Che cosa emerge?
«Il blocco
comunista si trovò spiazzato di fronte all’ascesa del Pci. La ferma
volontà di Enrico Berlinguer di non forzare l’ordine democratico rendeva
il Pci un pericolo per l’egemonia sovietica. Il malumore è evidente sin
dal febbraio del 1973 quando Ponomarev si lamenta con Axen perché i
compagni italiani non sono disposti alla lotta armata. “L’Italia è una
polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro”, si legge
nell’appunto, “e il partito deve preparare il popolo a una tale
evenienza. Il compagno Pajetta ha chiesto al Pcus se il Pci deve
acquistare le armi. La risposta del Pcus è stata che la classe operaia
deve avere sempre chiare tutte le forme di lotta possibili”. I sovietici
premono sul Pci agitando il fantasma golpista e neofascista. Ma
lamentano che i compagni italiani non vedano alcun serio politico
nell’immediato».
Nel settembre di quello stesso anno Berlinguer propone la strategia del compromesso storico.
«Una
formula guardata da Mosca con grandissimo sospetto. In una
conversazione del 20 ottobre del 1976 Ponomarev ribadisce la sua
avversione: “I compagni italiani non vogliono capire che non si può
restare sempre sulla difensiva. Anche se v’è l’opportunità di una via
pacifica, ogni partito comunista deve essere sempre pronto alla lotta
armata”. Concetto riaffermato con forza in un colloquio con Zagladin:
“Un partito comunista deve essere sempre pronto a violare i limiti della
democrazia borghese”. E nel giugno del 1977, in un nuovo incontro con
Axen a Praga, Ponomarev ha modo di tornare sugli “errori” del Pci».
Una tensione destinata a crescere nell’autunno di quello stesso anno.
«Sì,
proprio da una tribuna moscovita, per il sessantesimo anniversario
della rivoluzione bolscevica, Berlinguer tesse l’elogio della
democrazia. Ponomarev non si limita ad abbandonare la sala, ma medita
qualcosa di più serio. In un appunto inedito del gennaio del 1978
confida ad Axen che il Pcus ha esaurito la pazienza e che era venuto il
momento di richiamare agli ordini il Pci. La posta in gio- co era troppo
alta per permettere a un partito tanto influente di assumere una
politica ormai apertamente antisovietica. “Il compagno Ponomarev”, si
legge nella nota, “ci ha informato che il comitato centrale del Pcus ha
confermato la definizione di un piano speciale di misure contro
l’eurocomunismo”. Non sappiamo quale fu il seguito. Eravamo alla vigilia
del sequestro Moro, che avrebbe definitivamente seppellito il
compromesso storico».
Sulle Brigate Rosse emergono novità?
«Esiste
un’abbondante documentazione, soprattutto all’indomani del rapimento
del leader democristiano. Ma in queste carte manca una prova o anche un
solo indizio che dimostri una frequentazione tra i servizi e le Br. È
molto interessante un appunto che risale al 1980. L’antiterrorismo della
Stasi, una struttura ambigua che infiltrava le organizzazioni di lotta
armata, mette all’ordine del giorno il proposito di entrare in contatto
con le Br. Pochi mesi dopo avrebbe individuato nella moglie del
brigatista milanese Piero Morlacchi, la tedesca Heidi Peusch, il
potenziale informatore nell’organizzazione armata. Ma il partito vieta
di reclutarla all’interno della Germania Est. Le carte si fermano qui».
Un altro capitolo controverso è quello relativo al terrorismo altoatesino.
«La
Stasi era interessata a tenere vivo il focolaio di violenza che pesava
sulle relazioni tra Roma e Bonn. Un fascicolo interessante è quello
dedicato al neonazista Peter Weinmann, dal 1982 a libro paga della Stasi
ma già agente dei servizi tedeschi dell’Ovest e dal 1976 confidente
della Digos italiana in Alto Adige. I documenti sono gravemente menomati
dagli omissis. Fatto sta che tra il 1986 e il 1988 il terrorismo
altoatesino conobbe una sanguinosissima ripresa con attentati
dinamitardi più simili a quelli che accadevano a Berlino Ovest — dietro i
quali c’era la Stasi — che a quelli tradizionali dei gruppi
altoatesini. Con la caduta del Muro il fenomeno si esaurì
all’improvviso».
Chi erano le spie italiane al servizio della Stasi?
«Questo
è più difficile da ricostruire. Il potente servizio segreto aveva
confidenti ovunque, a Botteghe Oscure ma anche nel Psi e nella Dc, nelle
amministrazioni delle banche e delle grandi imprese pubbliche.
Confidenti non sempre consapevoli. La spia italiana più importante è
“Optik”, che da Bologna offre un’enorme quantità di informative sulla
sicurezza militare. Un ingegnere o comunque un esperto del settore ».
E gli 007 tedeschi attivi in Italia?
«Il
caso più spettacolare è quello dell’agente Mungo, alias Ingolf Hähnel,
un pluridecorato tenente colonnello dell’intelligence che nel 1977
riesce a infilarsi dappertutto, presso la segreteria di Stato vaticana
dove incontra Angelo Sodano e dentro Botteghe Oscure, dove può contare
su un dirigente che avrebbe accompagnato Berlinguer nel viaggio in
Ungheria e in Jugoslavia. Ovviamente il grosso delle spie agiva presso
l’ambasciata italiana a Berlino Est. La missione diplomatica italiana
era tenuta sott’occhio da un esercito di segretarie, donne delle
pulizie, dame di compagnia, autisti, giardinieri e interpreti.
Specialmente negli anni Ottanta il regime di Honecker temeva che gli
italiani aiutassero i tedeschi orientali a fuggire oppure che
intrattenessero rapporti con i dissidenti».
Tra i “sorvegliati speciali” figura anche Lucio Lombardo Radice.
«Sì,
la vigilanza sul matematico risale agli anni Sessanta, dopo la sua
protesta pubblicata sull’ Unità per la cacciata dall’Università di
Humboldt del fisico dissidente Robert Havemann. Fu bollato dalla Stasi
come “un elemento borghese”, rimasto legato alla sua classe di
appartenenza nonostante la militanza comunista. E quando nel 1982 morì
Havemann, il regime vietò a Lombardo Radice l’ingresso nella Ddr».
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