Il problema non è Bergoglio che fa il suo mestiere (e del resto la questione della religione è notoriamente complessa: fenomeno di alienazione, è anche espressione di un'esigenza di liberazione, bla bla bla). Bisogna tuttavia riconoscere che sarebbe molto meglio avere come leader Bergoglio che avere l'imbroglione pugliese [SGA].
Bergoglio incontra i movimenti e i rappresentanti del Leoncavallo
Il Papa: mi dicono comunista ma è Gesù che ama i poveri
di Gian Guido Vecchi Corriere 29.10.14
CITTÀ DEL VATICANO «Diciamo assieme dal cuore: nessuna famiglia senza
casa! Nessun contadino senza terra! Nessun lavoratore senza diritti!
Nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro!». Nell’aula vecchia
del Sinodo sta parlando Francesco, «continuate con la vostra lotta, cari
fratelli e sorelle, fate bene a tutti noi», e la scena è senza
precedenti.
Centocinquanta persone da ottanta Paesi a rappresentare i «movimenti
popolari» del mondo, quelli del Social Forum, sono arrivate in Vaticano
per un convegno su «Tierra, techo y trabajo», le piaghe degli ultimi del
pianeta. «Terra, tetto e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per
alcuni il Papa è comunista», sorride Francesco. «Non si comprende che
l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro,
quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è
affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa».
Molti movimenti sono nati in America Latina, Bergoglio li conosce bene e
il suo discorso in spagnolo pare la traccia di un’enciclica sociale:
«Siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli,
una realtà molte volte passata sotto silenzio: i poveri non solo
subiscono l’ingiustizia, ma lottano anche contro di essa!».
Da cardinale di Buenos Aires andava a trovare i cartoneros vestiti di
stracci che la notte setacciano l’immondizia, conversava offrendo loro
il mate , li aiutava. Il loro avvocato di allora, Juan Grabois, è tra
gli organizzatori dell’incontro. In platea, come leader storico dei
«cocaleros», siede il presidente boliviano Evo Morales, che il Papa
incontra verso sera. Ci sono «Sem Terra» brasiliani, «indignados»
spagnoli. Dall’Italia sono arrivati pure la rete «Genuino Clandestino» e
il Leoncavallo, storico centro sociale di Milano che elogia il Papa per
aver «riportato il cristianesimo alle origini».
In generale «qui ci sono cartoneros , riciclatori, venditori ambulanti,
sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai,
membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più
comuni», elenca il Papa: «Oggi voglio unire la mia voce alla loro e
accompagnarli nella lotta». Affrontare «lo scandalo» della povertà «non è
ideologia», spiega Francesco: ha a che fare con la «solidarietà» che
«in senso profondo» significa «fare la storia» e «lottare contro le
cause strutturali della disuguaglianza», far fronte «agli effetti
distruttori dell’Impero del denaro». I poveri «non aspettano a braccia
conserte l’aiuto di Ong o piani assistenziali», scandisce: «Avete i
piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo,
di lotta!». Così il Papa torna sui guasti di «un sistema economico
incentrato sul dio denaro»: l’«accaparramento delle terre», il
«saccheggio della natura», il «crimine» della fame, la miseria di chi
sta sul lastrico e viene definito «senza fissa dimora», le «eccedenze»
del lavoro: «In generale, dietro un eufemismo c’è un delitto».
Francesco respinge le «strategie» per «addomesticare» i poveri» e
l’«assistenzialismo». I movimenti «esprimono la necessità urgente di
rivitalizzare le nostre democrazie»: occorrono «nuove forme di
partecipazione» da costruire «con coraggio ma anche intelligenza,
tenacia ma senza fanatismo, passione ma senza violenza». A tutti il Papa
regala rosari fatti da artigiani e cartoneros. L’indifferenza: «Il
mondo si è dimenticato di Dio Padre: è diventato orfano perché Lo ha
accantonato». Ma ci sono i movimenti popolari, il «mondo migliore»
sperato da poveri e giovani: «Che il vento si trasformi in un uragano di
speranza. Questo è il mio desiderio».
Zapatisti, marxisti e Indignados tutti dal papa: “Amo i deboli”
In Vaticano i movimenti mondiali, terreno arato dalla sinistra
di Salvatore Cannavò il Fatto 29.10.14
Cresce la fronda: in 25 pronti a dire no alla fiducia sul Jobs Act, si
muove l’ala Nel tempo in cui la sinistra non sa dire nulla di sé, può
capitare di entrare in Vaticano e trovare centinaia di esponenti dei
movimenti sociali di tutto il mondo parlare sotto la croce di Cristo
citando Marx. Di ascoltare il presidente boliviano, Evo Morales,
proporre di “uscir fuori dal capitalismo”. Oppure sentir esaltare “il
processo rivoluzionario” della lotta zapatista e il passamontagna sul
volto del sub-comandante Marcos. Si possono incontrare campesinos,
sindacati, marxisti e anarchici, gli indignados spagnoli e gli
Steelworkers statunitensi. Oppure gli italiani del Leoncavallo, la
fabbrica “recuperata” Rimaflow, la cascina, anch’essa recuperata,
Mondeggi che fa parte della rete Genuino Clandestino. E ancora,
nell’introduzione di monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere
della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, si sente parlare degli
Indignados oppure di Occupy Wall Street come ripresa “del movimento di
critica al capitalismo”.
L’INCONTRO MONDIALE dei movimenti popolari che si conclude oggi presso
il Centro Salesianum di Roma, ha avuto ieri il suo momento clou con
l’intervento del Papa e quello, distinto, di Morales nel pomeriggio. Un
evento originale nato dalla volontà dei movimenti sociali provenienti da
tutto il mondo e dalla scelta del papato che, non a caso, ha voluto
partecipare in prima persona sia pure per una sessione di quasi due ore.
A rappresentare la Santa Sede, comunque, sono stati incaricati il
cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace e monsignor Sorondo.
“Se parlo di terra, casa e lavoro sembra che il Papa sia comunista” ha
esordito Francesco nella sua comunicazione di ieri mattina. “Ma terra,
casa e lavoro sono parte dell dottrina sociale della Chiesa”. La volontà
del Vaticano di offrire una sponda reale a una realtà che fino a ieri
guardava solo alla sinistra degli schieramenti politici, è palese. La
gran parte dei leader sociali presenti, si pensi al leader dei Sem Terra
brasiliani, Joao Pedro Stedile, sono stati i promotori dei Social forum
di Porto Alegre, hanno contestato i vertici globali. L’anima sociale
dell’incontro, Juan Grabois, è leader dei Cartoneros argentini che,
oltre a tenere un rapporto strettissimo con l’allora cardinale di Buenos
Aires, Jorge Bergoglio, hanno animato le lotte di quel paese accanto ai
piqueteros.
Le immagini nella vecchia, e suggestiva, sala nascosta in fondo alla
Città del Vaticano. anche il Papa ha ammesso di non esserci mai stato
prima. sono emblematiche. C’è l’abito istituzionale, ma indigeno, di Evo
Morales, il cappello degli antenati del messicano filo-zapatista Lopèz
Rodriguez. Ci sono i cubani del centro protestante Martin Luther King
che perorano la causa dell’autogestione e del recupero di economie
passivizzate. Il dibattito è libero. Le critiche alla Chiesa naturali.
L’israeliano Michael Warshawski, sostenitore della causa palestinese,
chiede a Monsignor Czerny del Pontificio Consiglio della Giustizia e
Pace se non pensa che la Chiesa debba scusarsi per il sostegno al
colonialismo. Altri, sostengono che l’etica è importante ma non basta,
“serve l’azione dei popoli”.
LA PAROLA D’ORDINE scelta dal Vaticano è “camminare insieme”. È quella
su cui insiste Francesco nel suo discorso in cui premette che non c’è
“nessuna ideologia” in questo evento ma solo la voglia di dare voce a
coloro che in genere non vengono ascoltati. Come immagine il Papa indica
quella del “poliedro, figura geometrica con molte facce distinte”. Un
modo per valorizzare uomini e donne, laici e cristiani, marxisti e non,
tutti sono benvenuti. Il messaggio finale ricorda altri slogan: “Sigan
con su lucha”, andate avanti con la vostra lotta.
La giornata non mancherà di provocare discussioni interne alla Chiesa.
Ne corso dell’incontro il Pontefice si è sentito chiedere la
riabilitazione della Teologia della Liberazione e i nomi di Frei Betto e
Leonard Boff sono risuonati a voce alta. Oggi si chiude con il
documento conclusivo e con la proposta, impegnativa, di costituire un
“consiglio del movimento popolare”. “Le varie esperienze possono
confluire in modo più coordinato” ha detto lo stesso Francesco.
L’ipotesi è quella di un incontro all’anno. “Facciamo un sinodo
socialista” aveva proposto qualcuno il primo giorno. La risposta degli
organizzatori non è stata scontata: “Non siate troppo clericali,
chiamatelo incontro, non sinodo”.
Francesco: se parlo di casa, terra e lavoro mi chiamano comunista
«Continuate nella vostra battaglia per la conquista dei diritti per tutti». Jorge
Mario Bergoglio riceve in Vaticano i “movimenti popolari” di
campesinos, cartoneros, precari. “Ma questi sono i temi del Vangelo”
La Stampa 29.10.14 di Iacopo Scaramuzzi
qui
Per papa Bergoglio una dottrina al settimo cielo
Tempi presenti. Nel discorso tenuto da Bergoglio nel recente incontro con i movimenti sociali emerge una dottrina della chiesa che fa i conti con le conseguenze della globalizzazione neoliberista
Guido Viale, il Manifesto 31.10.2014
Dal discorso del papa nel suo incontro del 28 ottobre con i movimenti popolari possiamo ricavare un programma politico e sociale di respiro planetario dal quale non potremo più prescindere, perché raccoglie in larga parte le istanze che orientano il nostro operato, proiettandole su uno scenario che ingloba l’intero pianeta. Certo, le parole del papa sono un distillato di saperi, esperienze e riflessioni sedimentato in anni di lotte sociali, soprattutto dell’America Latina (ma non mancano riferimenti a contesti a noi più familiari come quello europeo). Ma se a ispirarlo fosse stato invece dio, e se dio la pensasse così, ben venga anche lui tra di noi: a verificare la traduzione delle sue parole in iniziative e in mobilitazioni sarà la verifica dei fatti. La piattaforma delineata in nell’incontro con il papa ha tre nomi: lavoro, terra e casa: «diritti sacri», li definisce il pontefice.
Sul lavoro il papa dice: «Non esiste peggiore povertà materiale di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro». Occorre rivendicare e ottenere «una remunerazione degna, la sicurezza sociale, una copertura pensionistica, la possibilità di avere un sindacato». «La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti» sono il frutto «di un sistema economico che mette i benefici (il profitto) al di sopra dell’uomo». E qui il papa accenna un tema a lungo trattato da Zigmunt Bauman (in Vite di scarto); d’altronde tra i suoi interlocutori ci sono i cartoneros, che vivono recuperando rifiuti. Quel sistema iniquo è il prodotto «di una cultura dello scarto che considera l’essere umano come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare».
Generazioni al macero
Alle forme tradizionali di sfruttamento e di oppressione se ne è aggiunta infatti un’altra, quella di rendere gli esseri umani superflui: «quelli che non si possono integrare, gli esclusi, sono scarti, eccedenze… Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non la persona umana». Così «si scartano i bambini e si scartano gli anziani perché non servono, non producono». E «lo scarto dei giovani» ha portato ad «annullare un’intera generazione… per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro». E in chi, come i cartoneros, vive proprio recuperando scarti, il papa vede un’allusione a un modo completamente alternativo di concepire il lavoro: «Nonostante questa cultura dello scarto, delle eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più utilizzato, ma voi con la vostra abilità artigianale, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti… Questo, oltre che lavoro, è poesia!»
Parlando della terra — intesa nel duplice significato di ambiente (il pianeta Terra) e di suolo, oggetto del lavoro dei contadini — largamente presenti all’incontro, con la loro associazione planetaria Via campesina — il papa si appella innanzitutto al senso profondo del lavoro contadino, che non è quello di sfruttare e devastare la terra con l’agrobusiness, ma quello di custodirla: coltivandola e facendolo «in comunità». Per questo occorre combattere «lo sradicamento di tanti fratelli contadini» provocato dall’accaparramento delle terre, dalla deforestazione, dall’appropriazione dell’acqua, da pesticidi inadeguati». Quella separazione «non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale» e rischia di portare all’estinzione le comunità rurali. Il nemico di questa cultura contadina, come dei diritti del lavoro, è la speculazione finanziaria, che «condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi» provocando quell’altra «dimensione del processo globale» che è la fame, proprio mentre si scartano e si buttano via tonnellate di alimenti.
Sulla casa (che vuol dire abitare in un contesto sociale di prossimità), il papa vuole «che tutte le famiglie abbiano una casa e che tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata: fognature, luce, gas, asfalto, scuole, ospedali, pronto soccorso, circoli sportivi e tutte le cose che creano vincoli e uniscono». E aggiunge, «un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere, ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato». È proprio grazie a questi rapporti, dove ancora esistono, che «nei quartieri popolari sussistono valori ormai dimenticati nei centri arricchiti», perché «lì lo spazio pubblico non è un mero luogo di transito, ma un’estensione della propria casa, un luogo dove generare vincoli con il vicinato».
Il furto della terra
«Quanto sono belle – aggiunge — le città che superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo». Siamo talmente assuefatti a vedere situazioni di deprivazione da chiamare chi è senza casa, compresi i bambini, «persone senza fissa dimora»: un eufemismo che è il colmo dell’ipocrisia. Ma «dietro ogni eufemismo – ricorda — c’è un delitto». È il delitto degli sgomberi forzati, che interessano milioni di abitanti vittime del grabbing della terra, ma anche degli slums urbani e di tante situazioni di casa nostra.
In tutti e tre questi ambiti – lavoro, terra e casa — l’ostacolo che si frappone alla realizzazione degli obiettivi per cui si battono i poveri della Terra è «l’impero del denaro»; il capitalismo finanziario, diremmo noi. Ma «i poveri non solo subiscono l’ingiustizia, ma lottano anche contro di essa». E «non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi… non stanno ad aspettare a braccia conserte piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai» o che vanno «nella direzione di anestetizzare o di addomesticare». «Vogliono essere protagonisti, si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà che esiste fra quanti soffrono… e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato». Quella solidarietà «è molto di più di alcuni atti di generosità». È partecipazione: «pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni». Parole con cui viene messo in discussione tutto l’universo della proprietà privata, che è sempre appropriazione: un atto, un agire contro altri, e non uno stato, una realtà immutabile. Per questo «la solidarietà intesa nel suo senso più profondo è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari». E ancora: «Che bello quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore» (parole che non rimandano a un aldilà, ma a questo mondo e a questa vita). Dunque, che questo vento si trasformi in uragano di speranza. «Questo è il mio desiderio». Ed è anche il nostro.
Conversione ecologica
Quell’uragano è la conversione ecologica. Perché accanto al dio denaro, causa prima della miseria in cui si dibattono i poveri, gli altri suoi bersagli sono la guerra e la devastazione dell’ambiente: «Non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distruggiamo il pianeta» (e qui il papa annuncia una prossima enciclica sull’ecologia). «Ci sono sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro vengono sanati». E «un sistema economico incentrato sul dio denaro ha anche bisogno di saccheggiare la natura…per sostenere il ritmo frenetico del consumo». Ma «il creato non è una proprietà di cui possiamo disporre a nostro piacere; e ancor meno è una proprietà solo di alcuni, di pochi. È un dono di cui dobbiamo prenderci cura» utilizzandolo a beneficio di tutti.
«Dobbiamo cambiare – dice il papa — dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno». Ed ecco allora un elenco delle virtù che cambiano il mondo: «Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati»; e praticando «una cultura dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e dall’intolleranza». Si tratta di una lotta al tempo stesso globale e locale: nasce dai rapporti di prossimità, ma abbraccia tutto il pianeta: «So che lavorate ogni giorno in cose vicine, concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto di lavoro: ma vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più ampia, che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!».
L’autonomia dei movimenti
Seguono alcune raccomandazioni relative all’organizzazione e alla riconfigurazione della democrazia: «Non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide… e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una propria dinamica, dobbiamo cercare di camminare insieme». E «i movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie. È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature… esige che noi creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi… con animo costruttivo, senza risentimento, con amore».
Mi sono limitato a pochi commenti. E ho ben poco da aggiungere. (
www.guidoviale.it)
La missione evangelica del papato contro la povertà
Papa Bergoglio. Un papato tra continuità e discontinuità. Una teologia da sempre attenta alla povertà e alle battaglie contro di essa
Alessandro Santagata, 31.10.2014
Anche un discorso ecclesiastico può non aver bisogno di esegeti. Non necessita di un’interpretazione, per esempio, il discorso di papa Francesco ai movimenti popolari riuniti in Vaticano: un appello chiaro e forte alla lotta dei poveri contro l’ingiustizia. Può essere utile invece inquadrare le parole papali nella storia recente del cattolicesimo e nel contesto del pensiero di Bergoglio.
In primo luogo, è bene sgombrare il campo dagli equivoci.
Non ci sono novità dottrinali nel discorso ai movimenti. Niente che non si possa leggere nelle encicliche sociali degli ultimi venti anni, ovvero da quando la chiesa ha iniziato a fare i conti con la globalizzazione neoliberista.
Basta prendere in mano la Centesimus annus di Giovanni Paolo II per trovare una condanna durissima delle condizioni del Terzo mondo e del pensiero unico capitalista post-’89. Nella Caritas in veritate papa Ratzinger aveva dedicato alcune pagine profonde dal punto di vista teologico-filosofico al bisogno di coniugare la carità con la «la verità di un giusto vivere sociale».
Se oggi percepiamo una svolta nell’atteggiamento della chiesa, i motivi vanno ricercati altrove.
Che Bergoglio avrebbe fatto della
povertà il centro del suo pontificato lo si capiva già dalla scelta del nome di Francesco, da lui motivata nell’indicazione programmatica di una «Chiesa povera e per i poveri» (una dichiarazione che richiamava alla mente quella di Giovanni XXIII in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II). Con quel gesto, nuovo e dirompente nella simbologia ecclesiale, il papa ha inserito la propria missione nel solco del pauperismo cristiano: dal poverello d’Assisi ai «profeti» dell’età contemporanea (Charles de Foucauld, Gauthier, Dossetti, ecc). Non era affatto scontato che questa scelta avrebbe portato effettivamente anche a un cambio di paradigma come hanno mostrato invece gli eventi successivi.
Dopo l’omelia per l’intronizzazione, interamente dedicata alla difesa del Creato, il primo segnale importante di discontinuità discorsiva è venuto dall’esortazione apostolica
Evangelii Gaudium, il manifesto programmatico del pontificato.
Vi si possono ritrovare i punti cardini del pensiero sociale di Francesco, gli stessi del discorso ai movimenti: difesa della terra e dei beni comuni, tutela del lavoro, rivitalizzazione della democrazia civile e sociale contro la nuova guerra mondiale causata dai mercati.
Si tratta di un discorso per molti aspetti debitore delle teologie della liberazione, che Bergoglio conosce attraverso il filtro della teologia argentina (Gera, Farrell, Scannone, ecc), ma alle quali preferisce il più recente «Documento di Aparecida», incentrato sulla categoria della «pietà popolare». Riguardo alle conseguenze di questa impostazione, l’impegno per una chiesa povera, per esempio, è diventato il motore di un rinnovamento interno volto a sanare le contraddizioni più stridenti (l’organizzazione della Curia romana, la gestione dello Ior, ecc).
Al livello del linguaggio pastorale, la missione contro la povertà degli ultimi ha preso il posto della battaglia contro la deriva antropologica dell’Occidente e per la difesa dei valori «non negoziabili», scomparsi o quasi dalle omelie e dai discorsi del papa.
Ora, come è emerso anche dall’ultimo
Sinodo dei vescovi, siamo di fronte a un percorso complesso, che incontra resistenze e che conserva al proprio interno elementi di forte continuità con la
stagione precedente: basti pensare alle difficoltà che le chiesa incontra ancora oggi nel formulare una riflessione sulle famiglie e sulla sessualità al passo con le richieste della maggioranza dei credenti.
Tuttavia, al di là delle incertezze che ancora avvolgono questi interventi, la svolta è già nei fatti perché gli elementi che compongono il discorso pubblico (la pastorale) non sono più gli stessi come ormai è sotto gli occhi di tutti.
Ecco allora che il discorso del 28 ottobre ai cartoneros, ai Sem Terra e ai movimenti popolari presenti in Vaticano colpisce e convince non solamente per la scelta degli interlocutori, per chi lo pronuncia (un vescovo che le periferie le ha vissute in prima persona) e per i contenuti radicali di certi passaggi, ma soprattutto perché suona, anche a chi non crede, come vero, credibile e non come l’ennesima predica «di appendice» a una realtà ecclesiale chiusa in difesa della propria diversità.
Quando il papa afferma che «esigere terra, casa e lavoro è la dottrina della chiesa» segna uno scarto con le pratiche precedenti di ricomposizione del campo religioso. Al tempo della «fine delle società» (per riprendere la nota formula del sociologo francese Alain Touraine), torna all’essenzialità del Vangelo e lancia una proposta pastorale che parla agli ultimi, alle vittime della crisi economica e del neoliberismo tanto nei paesi del sotto-sviluppo, quanto nell’Europa unita.
La capacità performativa di questo tipo di discorso dovrebbe far riflettere chi considera quelle del lavoro, dei diritti e della giustizia sociale categorie politiche del secolo scorso.
Joao Pedro Stedile “Noi marxisti con il Papa per fermare il diavolo”
Parla il leader dei Sem Terra Viva Gramsci. Il dirigente contadino, di formazione marxista, organizzatore dell’incontro in Vaticano dove ha proposto di canonizzare Sant’Antonio... Gramscidi Salvatore Cannavò il Fatto 3.11.14
Joao Pedro Stedile guarda la prima pagina del Fatto in cui si vede Maurizio Landini fronteggiare la polizia. “Un leader sindacale senza cravatta? Davvero? ”. La battuta sintetizza molto profilo e storia di questo dirigente, ormai di levatura internazionale, del movimento “campesino”. Il Movimento Sem Terra è un’organizzazione fondamentale in Brasile, immortalata dalle storiche immagini Sebastião Salgado e con una storia trentennale fatta di vittorie e sconfitte ma sempre in primo piano nell’organizzazione dei contadini. Stedile ne è il dirigente più importante. Lui, la cravatta non l’ha mai portata e ha sempre concepito il suo ruolo come portavoce di una realtà povera ma in cerca della propria emancipazione.
Marxista, legato alla storia della teologia della liberazione, è stato uno degli organizzatori dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari che si è svolto in Vaticano la settimana scorsa. In una delle sessioni di quel dibattito, svoltosi tra le volte suggestive dell’aula del Vecchio Sinodo, ha suggerito ai porporati presenti di canonizzare anche “sant’Antonio... Gramsci”. I Sem Terra, l’imponente organizzazione che dirige, circa 1,5 milioni di aderenti, hanno una storia antica di occupazioni di terre, di lotte e conflitti anche aspri. Ma coltivano anche un rapporto “laico” con il potere o, come lui spiega, di “autonomia assoluta”. Per cui, alle scorse elezioni brasiliane, pur non impegnandosi molto nel primo turno elettorale hanno poi sostenuto Djilma Roussef al secondo. Venuto in Italia per l’incontro in Vaticano, ha effetuato un giro di incontri per la penisola presentando il libro La lunga marcia dei senza terra (Emi edizioni), di Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia. Sabato pomeriggio, poi, è andato a visitare la Rimaflow, a Trezzano sul Naviglio, fabbrica recuperata, che Stedile, davanti a trecento persone ha battezzato “ambasciatore dei Sem Terra a Milano”.
Come è nato l’incontro in Vaticano?
Abbiamo avuto la fortuna di avere rapporti con i movimenti sociali dell’Argentina, amici di Francesco con cui abbiamo iniziato a lavorare all’incontro mondiale. Così abbiamo riunito cento dirigenti popolari di tutto il mondo senza confessioni religiose. La maggior parte non erano cattolici. Un incontro molto profittevole.
Lei è di formazione marxista. Che giudizio dà del Papa e dell'iniziativa vaticana?
Il Papa ha dato un grande contributo, con un documento irreprensibile, più a sinistra di molti di noi. Perché ha affermato temi di principio importanti come la riforma agraria che non è solo un problema economico e politico ma morale. Di fatto ha condannato la grande proprietà. La cosa importante è la simbologia: in 2000 anni nessun Papa ha mai organizzato una riunione di questo tipo con dei movimenti sociali.
Lei è stato uno dei promotori dei Forum sociali nati a Porto Alegre. C'è una sostituzione simbolica da parte del Vaticano rispetto alla sinistra?
No, credo che Francesco abbia avuto la capacità di porsi correttamente di fronte ai grandi problemi del capitalismo attuale come la guerra, l’ecologia, il lavoro, l’alimentazione. E ha il merito di aver avviato un dialogo con i movimenti sociali. Non credo ci sia sovrapposizione ma complementarietà. In ogni caso mi assumo l’autocritica, come promotore del Forum sociale, del suo esaurimento e della sua incapacità a creare un’assemblea mondiale dei movimenti sociali. Dall’incontro con Francesco nascono due iniziative: formare uno spazio di dialogo permanente con il Vaticano e, indipendentemente dalla Chiesa ma approfittando della riunine di Roma, costruire nel futuro uno spazio internazionale dei movimenti del mondo.
Per fare cosa?
Per contrastare il capitale finanziario, le banche, le grandi multinazionali. I “nemici del popolo” sono questi. Come direbbe il Papa, questo è il diavolo. Anche se l’inferno lo viviamo noi. I punti tracciati dall’incontro di Roma sono molto chiari: la terra, perché l’alimento non sia una merce ma un diritto; il diritto di ogni popolo ad avere un territorio, un proprio paese, si pensi ai curdi di Kobane o ai palestinesi; un tetto dignitoso per ognuno; il lavoro come diritto inalieanbile.
I Sem Terra organizzano corsi di formazione su Gramsci e Rosa Luxemburg. Nessun problema a lavorare con il Vaticano?
Noi viviamo in una crisi epocale. Le ideologie del secondo dopoguerra sono sprofondate. La gente non si sente più rappresentata. Eppure questa crisi offre anche opportunità per il cambiamento a condizione che nessuno si presenti con la soluzione pronta in tasca. Servirà un processo, di movimento di partecipazione popolare. E chiunque disposto a partecipare va incluso.
In Brasile avete sostenuto l'elezione di Djilma Roussef. Qual è il giudizio sul governo del Pt e sul suo futuro?
L'autonomia è per noi un valore importante. Il Pt ha gestito il potere con una linea di “neo-sviluppismo”, più progressista del neoliberismo ma basata su un patto di conciliazione tra grandi banche, capitale finanziario e settori sociali più poveri. L’operazione di redistribuzione del reddito ha favorito tutti ma soprattutto le banche. Ora, però, questo patto non funziona più, le attese popolari sono cresciute. L’istruzione universitaria, ad esempio, ha integrato il 15% della popolazione studentesca ma l’85% che resta fuori preme per entrare. Solo che per rispondere a questa richiesta servirebbe almeno il 10% del Pil e per reperire risorse di quelle dimensioni si romperebsemblea costituente per la riforma della politica. La forza del popolo non è in Parlamento
Qual è la situazione del Movimento Sem Terra oggi?
La nostra idea, all'inizio, era di realizzare il sogno di ogni contadino del XX secolo: la terra per tutti, battere il latifondo. Ma il capitalismo è cambiato, la concentrazione della terra significa anche la concentrazione delle tecnologie, della produzione, delle sementi. È inutile occupare le terre se poi si producono Ogm. Non è più sufficiente ripartire la terra ma occorre un’alimentazione per tutti e un’alimentazione sana e di qualità. Oggi puntiamo a una riforma agraria integrale e la nostra lotta riguarda tutti. Per questo occorre un’ampia alleanza con gli operai, i consumatori e anche con la Chiesa. Siamo alleati di chiunque desidera il cambiamento.
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