mercoledì 29 ottobre 2014

L'astuto Bergoglio incanta la sinistra riproponendo la dottrina sociale della Chiesa. La sinistra priva di leadership e di bussola ringrazia


Il problema non è Bergoglio che fa il suo mestiere (e del resto la questione della religione è notoriamente complessa: fenomeno di alienazione, è anche espressione di un'esigenza di liberazione, bla bla bla). Bisogna tuttavia riconoscere che sarebbe molto meglio avere come leader Bergoglio che avere l'imbroglione pugliese [SGA].

Bergoglio incontra i movimenti e i rappresentanti del Leoncavallo
Il Papa: mi dicono comunista ma è Gesù che ama i poveri

di Gian Guido Vecchi Corriere 29.10.14
CITTÀ DEL VATICANO «Diciamo assieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa! Nessun contadino senza terra! Nessun lavoratore senza diritti! Nessuna persona senza la dignità che dà il lavoro!». Nell’aula vecchia del Sinodo sta parlando Francesco, «continuate con la vostra lotta, cari fratelli e sorelle, fate bene a tutti noi», e la scena è senza precedenti. 

Centocinquanta persone da ottanta Paesi a rappresentare i «movimenti popolari» del mondo, quelli del Social Forum, sono arrivate in Vaticano per un convegno su «Tierra, techo y trabajo», le piaghe degli ultimi del pianeta. «Terra, tetto e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista», sorride Francesco. «Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa». 

Molti movimenti sono nati in America Latina, Bergoglio li conosce bene e il suo discorso in spagnolo pare la traccia di un’enciclica sociale: «Siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio: i poveri non solo subiscono l’ingiustizia, ma lottano anche contro di essa!». 

Da cardinale di Buenos Aires andava a trovare i cartoneros vestiti di stracci che la notte setacciano l’immondizia, conversava offrendo loro il mate , li aiutava. Il loro avvocato di allora, Juan Grabois, è tra gli organizzatori dell’incontro. In platea, come leader storico dei «cocaleros», siede il presidente boliviano Evo Morales, che il Papa incontra verso sera. Ci sono «Sem Terra» brasiliani, «indignados» spagnoli. Dall’Italia sono arrivati pure la rete «Genuino Clandestino» e il Leoncavallo, storico centro sociale di Milano che elogia il Papa per aver «riportato il cristianesimo alle origini». 
In generale «qui ci sono cartoneros , riciclatori, venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, contadini, muratori, minatori, operai, membri di cooperative di ogni tipo e persone che svolgono mestieri più comuni», elenca il Papa: «Oggi voglio unire la mia voce alla loro e accompagnarli nella lotta». Affrontare «lo scandalo» della povertà «non è ideologia», spiega Francesco: ha a che fare con la «solidarietà» che «in senso profondo» significa «fare la storia» e «lottare contro le cause strutturali della disuguaglianza», far fronte «agli effetti distruttori dell’Impero del denaro». I poveri «non aspettano a braccia conserte l’aiuto di Ong o piani assistenziali», scandisce: «Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta!». Così il Papa torna sui guasti di «un sistema economico incentrato sul dio denaro»: l’«accaparramento delle terre», il «saccheggio della natura», il «crimine» della fame, la miseria di chi sta sul lastrico e viene definito «senza fissa dimora», le «eccedenze» del lavoro: «In generale, dietro un eufemismo c’è un delitto».
Francesco respinge le «strategie» per «addomesticare» i poveri» e l’«assistenzialismo». I movimenti «esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie»: occorrono «nuove forme di partecipazione» da costruire «con coraggio ma anche intelligenza, tenacia ma senza fanatismo, passione ma senza violenza». A tutti il Papa regala rosari fatti da artigiani e cartoneros. L’indifferenza: «Il mondo si è dimenticato di Dio Padre: è diventato orfano perché Lo ha accantonato». Ma ci sono i movimenti popolari, il «mondo migliore» sperato da poveri e giovani: «Che il vento si trasformi in un uragano di speranza. Questo è il mio desiderio». 


Zapatisti, marxisti e Indignados tutti dal papa: “Amo i deboli”

In Vaticano i movimenti mondiali, terreno arato dalla sinistra

di Salvatore Cannavò il Fatto 29.10.14
Cresce la fronda: in 25 pronti a dire no alla fiducia sul Jobs Act, si muove l’ala Nel tempo in cui la sinistra non sa dire nulla di sé, può capitare di entrare in Vaticano e trovare centinaia di esponenti dei movimenti sociali di tutto il mondo parlare sotto la croce di Cristo citando Marx. Di ascoltare il presidente boliviano, Evo Morales, proporre di “uscir fuori dal capitalismo”. Oppure sentir esaltare “il processo rivoluzionario” della lotta zapatista e il passamontagna sul volto del sub-comandante Marcos. Si possono incontrare campesinos, sindacati, marxisti e anarchici, gli indignados spagnoli e gli Steelworkers statunitensi. Oppure gli italiani del Leoncavallo, la fabbrica “recuperata” Rimaflow, la cascina, anch’essa recuperata, Mondeggi che fa parte della rete Genuino Clandestino. E ancora, nell’introduzione di monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, si sente parlare degli Indignados oppure di Occupy Wall Street come ripresa “del movimento di critica al capitalismo”.


L’INCONTRO MONDIALE dei movimenti popolari che si conclude oggi presso il Centro Salesianum di Roma, ha avuto ieri il suo momento clou con l’intervento del Papa e quello, distinto, di Morales nel pomeriggio. Un evento originale nato dalla volontà dei movimenti sociali provenienti da tutto il mondo e dalla scelta del papato che, non a caso, ha voluto partecipare in prima persona sia pure per una sessione di quasi due ore. A rappresentare la Santa Sede, comunque, sono stati incaricati il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e monsignor Sorondo.

“Se parlo di terra, casa e lavoro sembra che il Papa sia comunista” ha esordito Francesco nella sua comunicazione di ieri mattina. “Ma terra, casa e lavoro sono parte dell dottrina sociale della Chiesa”. La volontà del Vaticano di offrire una sponda reale a una realtà che fino a ieri guardava solo alla sinistra degli schieramenti politici, è palese. La gran parte dei leader sociali presenti, si pensi al leader dei Sem Terra brasiliani, Joao Pedro Stedile, sono stati i promotori dei Social forum di Porto Alegre, hanno contestato i vertici globali. L’anima sociale dell’incontro, Juan Grabois, è leader dei Cartoneros argentini che, oltre a tenere un rapporto strettissimo con l’allora cardinale di Buenos Aires, Jorge Bergoglio, hanno animato le lotte di quel paese accanto ai piqueteros.

Le immagini nella vecchia, e suggestiva, sala nascosta in fondo alla Città del Vaticano. anche il Papa ha ammesso di non esserci mai stato prima. sono emblematiche. C’è l’abito istituzionale, ma indigeno, di Evo Morales, il cappello degli antenati del messicano filo-zapatista Lopèz Rodriguez. Ci sono i cubani del centro protestante Martin Luther King che perorano la causa dell’autogestione e del recupero di economie passivizzate. Il dibattito è libero. Le critiche alla Chiesa naturali. L’israeliano Michael Warshawski, sostenitore della causa palestinese, chiede a Monsignor Czerny del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace se non pensa che la Chiesa debba scusarsi per il sostegno al colonialismo. Altri, sostengono che l’etica è importante ma non basta, “serve l’azione dei popoli”.
LA PAROLA D’ORDINE scelta dal Vaticano è “camminare insieme”. È quella su cui insiste Francesco nel suo discorso in cui premette che non c’è “nessuna ideologia” in questo evento ma solo la voglia di dare voce a coloro che in genere non vengono ascoltati. Come immagine il Papa indica quella del “poliedro, figura geometrica con molte facce distinte”. Un modo per valorizzare uomini e donne, laici e cristiani, marxisti e non, tutti sono benvenuti. Il messaggio finale ricorda altri slogan: “Sigan con su lucha”, andate avanti con la vostra lotta.
La giornata non mancherà di provocare discussioni interne alla Chiesa. Ne corso dell’incontro il Pontefice si è sentito chiedere la riabilitazione della Teologia della Liberazione e i nomi di Frei Betto e Leonard Boff sono risuonati a voce alta. Oggi si chiude con il documento conclusivo e con la proposta, impegnativa, di costituire un “consiglio del movimento popolare”. “Le varie esperienze possono confluire in modo più coordinato” ha detto lo stesso Francesco. L’ipotesi è quella di un incontro all’anno. “Facciamo un sinodo socialista” aveva proposto qualcuno il primo giorno. La risposta degli organizzatori non è stata scontata: “Non siate troppo clericali, chiamatelo incontro, non sinodo”.


Francesco: se parlo di casa, terra e lavoro mi chiamano comunista

«Continuate nella vostra battaglia  per la conquista dei diritti per tutti». Jorge Mario Bergoglio riceve in Vaticano i “movimenti popolari” di campesinos, cartoneros, precari. “Ma questi sono i temi del Vangelo”

La Stampa 29.10.14 di Iacopo Scaramuzzi qui


Per papa Bergoglio una dottrina al settimo cielo 
Tempi presenti. Nel discorso tenuto da Bergoglio nel recente incontro con i movimenti sociali emerge una dottrina della chiesa che fa i conti con le conseguenze della globalizzazione neoliberista

Guido Viale, il Manifesto 31.10.2014

Dal discorso del papa nel suo incon­tro del 28 otto­bre con i movi­menti popo­lari pos­siamo rica­vare un pro­gramma poli­tico e sociale di respiro pla­ne­ta­rio dal quale non potremo più pre­scin­dere, per­ché rac­co­glie in larga parte le istanze che orien­tano il nostro ope­rato, pro­iet­tan­dole su uno sce­na­rio che ingloba l’intero pia­neta. Certo, le parole del papa sono un distil­lato di saperi, espe­rienze e rifles­sioni sedi­men­tato in anni di lotte sociali, soprat­tutto dell’America Latina (ma non man­cano rife­ri­menti a con­te­sti a noi più fami­liari come quello euro­peo). Ma se a ispi­rarlo fosse stato invece dio, e se dio la pen­sasse così, ben venga anche lui tra di noi: a veri­fi­care la tra­du­zione delle sue parole in ini­zia­tive e in mobi­li­ta­zioni sarà la veri­fica dei fatti. La piat­ta­forma deli­neata in nell’incontro con il papa ha tre nomi: lavoro, terra e casa: «diritti sacri», li defi­ni­sce il pontefice. 
Sul lavoro il papa dice: «Non esi­ste peg­giore povertà mate­riale di quella che non per­mette di gua­da­gnarsi il pane e priva della dignità del lavoro». Occorre riven­di­care e otte­nere «una remu­ne­ra­zione degna, la sicu­rezza sociale, una coper­tura pen­sio­ni­stica, la pos­si­bi­lità di avere un sin­da­cato». «La disoc­cu­pa­zione gio­va­nile, l’informalità e la man­canza di diritti» sono il frutto «di un sistema eco­no­mico che mette i bene­fici (il pro­fitto) al di sopra dell’uomo». E qui il papa accenna un tema a lungo trat­tato da Zig­munt Bau­man (in Vite di scarto); d’altronde tra i suoi inter­lo­cu­tori ci sono i car­to­ne­ros, che vivono recu­pe­rando rifiuti. Quel sistema ini­quo è il pro­dotto «di una cul­tura dello scarto che con­si­dera l’essere umano come un bene di con­sumo, che si può usare e poi buttare». 
Gene­ra­zioni al macero 
Alle forme tra­di­zio­nali di sfrut­ta­mento e di oppres­sione se ne è aggiunta infatti un’altra, quella di ren­dere gli esseri umani super­flui: «quelli che non si pos­sono inte­grare, gli esclusi, sono scarti, ecce­denze… Que­sto suc­cede quando al cen­tro di un sistema eco­no­mico c’è il dio denaro e non la per­sona umana». Così «si scar­tano i bam­bini e si scar­tano gli anziani per­ché non ser­vono, non pro­du­cono». E «lo scarto dei gio­vani» ha por­tato ad «annul­lare un’intera gene­ra­zione… per poter man­te­nere e rie­qui­li­brare un sistema nel quale al cen­tro c’è il dio denaro». E in chi, come i car­to­ne­ros, vive pro­prio recu­pe­rando scarti, il papa vede un’allusione a un modo com­ple­ta­mente alter­na­tivo di con­ce­pire il lavoro: «Nono­stante que­sta cul­tura dello scarto, delle ecce­denze, molti di voi, lavo­ra­tori esclusi, ecce­denze per que­sto sistema, avete inven­tato il vostro lavoro con tutto ciò che sem­brava non poter essere più uti­liz­zato, ma voi con la vostra abi­lità arti­gia­nale, con la vostra ricerca, con la vostra soli­da­rietà, con il vostro lavoro comu­ni­ta­rio, con la vostra eco­no­mia popo­lare, ci siete riu­sciti… Que­sto, oltre che lavoro, è poesia!» 
Par­lando della terra — intesa nel duplice signi­fi­cato di ambiente (il pia­neta Terra) e di suolo, oggetto del lavoro dei con­ta­dini — lar­ga­mente pre­senti all’incontro, con la loro asso­cia­zione pla­ne­ta­ria Via cam­pe­sina — il papa si appella innan­zi­tutto al senso pro­fondo del lavoro con­ta­dino, che non è quello di sfrut­tare e deva­stare la terra con l’agrobusiness, ma quello di custo­dirla: col­ti­van­dola e facen­dolo «in comu­nità». Per que­sto occorre com­bat­tere «lo sra­di­ca­mento di tanti fra­telli con­ta­dini» pro­vo­cato dall’accaparramento delle terre, dalla defo­re­sta­zione, dall’appropriazione dell’acqua, da pesti­cidi ina­de­guati». Quella sepa­ra­zione «non è solo fisica ma anche esi­sten­ziale e spi­ri­tuale» e rischia di por­tare all’estinzione le comu­nità rurali. Il nemico di que­sta cul­tura con­ta­dina, come dei diritti del lavoro, è la spe­cu­la­zione finan­zia­ria, che «con­di­ziona il prezzo degli ali­menti trat­tan­doli come una merce qual­siasi» pro­vo­cando quell’altra «dimen­sione del pro­cesso glo­bale» che è la fame, pro­prio men­tre si scar­tano e si but­tano via ton­nel­late di alimenti. 
Sulla casa (che vuol dire abi­tare in un con­te­sto sociale di pros­si­mità), il papa vuole «che tutte le fami­glie abbiano una casa e che tutti i quar­tieri abbiano un’infrastruttura ade­guata: fogna­ture, luce, gas, asfalto, scuole, ospe­dali, pronto soc­corso, cir­coli spor­tivi e tutte le cose che creano vin­coli e uni­scono». E aggiunge, «un tetto, per­ché sia una casa, deve anche avere una dimen­sione comu­ni­ta­ria: il quar­tiere, ed è pro­prio nel quar­tiere che s’inizia a costruire que­sta grande fami­glia dell’umanità, a par­tire da ciò che è più imme­diato, dalla con­vi­venza col vici­nato». È pro­prio gra­zie a que­sti rap­porti, dove ancora esi­stono, che «nei quar­tieri popo­lari sus­si­stono valori ormai dimen­ti­cati nei cen­tri arric­chiti», per­ché «lì lo spa­zio pub­blico non è un mero luogo di tran­sito, ma un’estensione della pro­pria casa, un luogo dove gene­rare vin­coli con il vicinato». 
Il furto della terra 
«Quanto sono belle – aggiunge — le città che supe­rano la sfi­du­cia mal­sana e che inte­grano i diversi e fanno di que­sta inte­gra­zione un nuovo fat­tore di svi­luppo». Siamo tal­mente assue­fatti a vedere situa­zioni di depri­va­zione da chia­mare chi è senza casa, com­presi i bam­bini, «per­sone senza fissa dimora»: un eufe­mi­smo che è il colmo dell’ipocrisia. Ma «die­tro ogni eufe­mi­smo – ricorda — c’è un delitto». È il delitto degli sgom­beri for­zati, che inte­res­sano milioni di abi­tanti vit­time del grab­bing della terra, ma anche degli slums urbani e di tante situa­zioni di casa nostra. 
In tutti e tre que­sti ambiti – lavoro, terra e casa — l’ostacolo che si frap­pone alla rea­liz­za­zione degli obiet­tivi per cui si bat­tono i poveri della Terra è «l’impero del denaro»; il capi­ta­li­smo finan­zia­rio, diremmo noi. Ma «i poveri non solo subi­scono l’ingiustizia, ma lot­tano anche con­tro di essa». E «non si accon­ten­tano di pro­messe illu­so­rie, scuse o alibi… non stanno ad aspet­tare a brac­cia con­serte piani assi­sten­ziali o solu­zioni che non arri­vano mai» o che vanno «nella dire­zione di ane­ste­tiz­zare o di addo­me­sti­care». «Vogliono essere pro­ta­go­ni­sti, si orga­niz­zano, stu­diano, lavo­rano, esi­gono e soprat­tutto pra­ti­cano quella soli­da­rietà che esi­ste fra quanti sof­frono… e che la nostra civiltà sem­bra aver dimen­ti­cato». Quella soli­da­rietà «è molto di più di alcuni atti di gene­ro­sità». È par­te­ci­pa­zione: «pen­sare e agire in ter­mini di comu­nità, di prio­rità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni». Parole con cui viene messo in discus­sione tutto l’universo della pro­prietà pri­vata, che è sem­pre appro­pria­zione: un atto, un agire con­tro altri, e non uno stato, una realtà immu­ta­bile. Per que­sto «la soli­da­rietà intesa nel suo senso più pro­fondo è un modo di fare la sto­ria ed è que­sto che fanno i movi­menti popo­lari». E ancora: «Che bello quando vediamo in movi­mento popoli e soprat­tutto i loro mem­bri più poveri e i gio­vani. Allora sì, si sente il vento di pro­messa che rav­viva la spe­ranza di un mondo migliore» (parole che non riman­dano a un aldilà, ma a que­sto mondo e a que­sta vita). Dun­que, che que­sto vento si tra­sformi in ura­gano di spe­ranza. «Que­sto è il mio desi­de­rio». Ed è anche il nostro. 
Con­ver­sione ecologica 
Quell’uragano è la con­ver­sione eco­lo­gica. Per­ché accanto al dio denaro, causa prima della mise­ria in cui si dibat­tono i poveri, gli altri suoi ber­sa­gli sono la guerra e la deva­sta­zione dell’ambiente: «Non ci può essere terra, non ci può essere casa, non ci può essere lavoro se non abbiamo pace e se distrug­giamo il pia­neta» (e qui il papa annun­cia una pros­sima enci­clica sull’ecologia). «Ci sono sistemi eco­no­mici che per soprav­vi­vere devono fare la guerra. Allora si fab­bri­cano e si ven­dono armi e così i bilanci delle eco­no­mie che sacri­fi­cano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ven­gono sanati». E «un sistema eco­no­mico incen­trato sul dio denaro ha anche biso­gno di sac­cheg­giare la natura…per soste­nere il ritmo fre­ne­tico del con­sumo». Ma «il creato non è una pro­prietà di cui pos­siamo disporre a nostro pia­cere; e ancor meno è una pro­prietà solo di alcuni, di pochi. È un dono di cui dob­biamo pren­derci cura» uti­liz­zan­dolo a bene­fi­cio di tutti. 
«Dob­biamo cam­biare – dice il papa — dob­biamo rimet­tere la dignità umana al cen­tro e su quel pila­stro vanno costruite le strut­ture sociali alter­na­tive di cui abbiamo biso­gno». Ed ecco allora un elenco delle virtù che cam­biano il mondo: «Va fatto con corag­gio, ma anche con intel­li­genza. Con tena­cia, ma senza fana­ti­smo. Con pas­sione, ma senza vio­lenza. E tutti insieme, affron­tando i con­flitti senza rima­nervi intrap­po­lati»; e pra­ti­cando «una cul­tura dell’incontro, così diversa dalla xeno­fo­bia, dalla discri­mi­na­zione e dall’intolleranza». Si tratta di una lotta al tempo stesso glo­bale e locale: nasce dai rap­porti di pros­si­mità, ma abbrac­cia tutto il pia­neta: «So che lavo­rate ogni giorno in cose vicine, con­crete, nel vostro ter­ri­to­rio, nel vostro quar­tiere, nel vostro posto di lavoro: ma vi invito anche a con­ti­nuare a cer­care que­sta pro­spet­tiva più ampia, che i vostri sogni volino alto e abbrac­cino il tutto!». 
L’autonomia dei movimenti 
Seguono alcune rac­co­man­da­zioni rela­tive all’organizzazione e alla ricon­fi­gu­ra­zione della demo­cra­zia: «Non è mai un bene rac­chiu­dere il movi­mento in strut­ture rigide… e lo è ancor meno cer­care di assor­birlo, di diri­gerlo o di domi­narlo; i movi­menti liberi hanno una pro­pria dina­mica, dob­biamo cer­care di cam­mi­nare insieme». E «i movi­menti popo­lari espri­mono la neces­sità urgente di rivi­ta­liz­zare le nostre demo­cra­zie. È impos­si­bile imma­gi­nare un futuro per la società senza la par­te­ci­pa­zione come pro­ta­go­ni­ste delle grandi mag­gio­ranze e que­sto pro­ta­go­ni­smo tra­scende i pro­ce­di­menti logici della demo­cra­zia for­male. La pro­spet­tiva di un mondo di pace e di giu­sti­zia dura­ture… esige che noi creiamo nuove forme di par­te­ci­pa­zione che inclu­dano i movi­menti popo­lari e ani­mino le strut­ture di governo locali, nazio­nali e inter­na­zio­nali con quel tor­rente di ener­gia morale che nasce dal coin­vol­gi­mento degli esclusi… con animo costrut­tivo, senza risen­ti­mento, con amore». 
Mi sono limi­tato a pochi com­menti. E ho ben poco da aggiun­gere. (www.guidoviale.it)


La missione evangelica del papato contro la povertà 
Papa Bergoglio. Un papato tra continuità e discontinuità. Una teologia da sempre attenta alla povertà e alle battaglie contro di essa

Alessandro Santagata, 31.10.2014 

Anche un discorso eccle­sia­stico può non aver biso­gno di ese­geti. Non neces­sita di un’interpretazione, per esem­pio, il discorso di papa Fran­ce­sco ai movi­menti popo­lari riu­niti in Vati­cano: un appello chiaro e forte alla lotta dei poveri con­tro l’ingiustizia. Può essere utile invece inqua­drare le parole papali nella sto­ria recente del cat­to­li­ce­simo e nel con­te­sto del pen­siero di Bergoglio. 
In primo luogo, è bene sgom­brare il campo dagli equivoci. 
Non ci sono novità dot­tri­nali nel discorso ai movi­menti. Niente che non si possa leg­gere nelle enci­cli­che sociali degli ultimi venti anni, ovvero da quando la chiesa ha ini­ziato a fare i conti con la glo­ba­liz­za­zione neoliberista. 
Basta pren­dere in mano la Cen­te­si­mus annus di Gio­vanni Paolo II per tro­vare una con­danna duris­sima delle con­di­zioni del Terzo mondo e del pen­siero unico capi­ta­li­sta post-’89. Nella Cari­tas in veri­tate papa Ratzin­ger aveva dedi­cato alcune pagine pro­fonde dal punto di vista teologico-filosofico al biso­gno di coniu­gare la carità con la «la verità di un giu­sto vivere sociale». 
Se oggi per­ce­piamo una svolta nell’atteggiamento della chiesa, i motivi vanno ricer­cati altrove. 
Che Ber­go­glio avrebbe fatto della povertà il cen­tro del suo pon­ti­fi­cato lo si capiva già dalla scelta del nome di Fran­ce­sco, da lui moti­vata nell’indicazione pro­gram­ma­tica di una «Chiesa povera e per i poveri» (una dichia­ra­zione che richia­mava alla mente quella di Gio­vanni XXIII in occa­sione dell’apertura del Con­ci­lio Vati­cano II). Con quel gesto, nuovo e dirom­pente nella sim­bo­lo­gia eccle­siale, il papa ha inse­rito la pro­pria mis­sione nel solco del pau­pe­ri­smo cri­stiano: dal pove­rello d’Assisi ai «pro­feti» dell’età con­tem­po­ra­nea (Char­les de Fou­cauld, Gau­thier, Dos­setti, ecc). Non era affatto scon­tato che que­sta scelta avrebbe por­tato effet­ti­va­mente anche a un cam­bio di para­digma come hanno mostrato invece gli eventi successivi. 
Dopo l’omelia per l’intronizzazione, inte­ra­mente dedi­cata alla difesa del Creato, il primo segnale impor­tante di discon­ti­nuità discor­siva è venuto dall’esortazione apo­sto­lica Evan­ge­lii Gau­dium, il mani­fe­sto pro­gram­ma­tico del pontificato. 
Vi si pos­sono ritro­vare i punti car­dini del pen­siero sociale di Fran­ce­sco, gli stessi del discorso ai movi­menti: difesa della terra e dei beni comuni, tutela del lavoro, rivi­ta­liz­za­zione della demo­cra­zia civile e sociale con­tro la nuova guerra mon­diale cau­sata dai mercati. 
Si tratta di un discorso per molti aspetti debi­tore delle teo­lo­gie della libe­ra­zione, che Ber­go­glio cono­sce attra­verso il fil­tro della teo­lo­gia argen­tina (Gera, Far­rell, Scan­none, ecc), ma alle quali pre­fe­ri­sce il più recente «Docu­mento di Apa­re­cida», incen­trato sulla cate­go­ria della «pietà popo­lare». Riguardo alle con­se­guenze di que­sta impo­sta­zione, l’impegno per una chiesa povera, per esem­pio, è diven­tato il motore di un rin­no­va­mento interno volto a sanare le con­trad­di­zioni più stri­denti (l’organizzazione della Curia romana, la gestione dello Ior, ecc). 
Al livello del lin­guag­gio pasto­rale, la mis­sione con­tro la povertà degli ultimi ha preso il posto della bat­ta­glia con­tro la deriva antro­po­lo­gica dell’Occidente e per la difesa dei valori «non nego­zia­bili», scom­parsi o quasi dalle ome­lie e dai discorsi del papa. 
Ora, come è emerso anche dall’ultimo Sinodo dei vescovi, siamo di fronte a un per­corso com­plesso, che incon­tra resi­stenze e che con­serva al pro­prio interno ele­menti di forte con­ti­nuità con la sta­gione pre­ce­dente: basti pen­sare alle dif­fi­coltà che le chiesa incon­tra ancora oggi nel for­mu­lare una rifles­sione sulle fami­glie e sulla ses­sua­lità al passo con le richie­ste della mag­gio­ranza dei credenti. 
Tut­ta­via, al di là delle incer­tezze che ancora avvol­gono que­sti inter­venti, la svolta è già nei fatti per­ché gli ele­menti che com­pon­gono il discorso pub­blico (la pasto­rale) non sono più gli stessi come ormai è sotto gli occhi di tutti. 
Ecco allora che il discorso del 28 otto­bre ai car­to­ne­ros, ai Sem Terra e ai movi­menti popo­lari pre­senti in Vati­cano col­pi­sce e con­vince non sola­mente per la scelta degli inter­lo­cu­tori, per chi lo pro­nun­cia (un vescovo che le peri­fe­rie le ha vis­sute in prima per­sona) e per i con­te­nuti radi­cali di certi pas­saggi, ma soprat­tutto per­ché suona, anche a chi non crede, come vero, cre­di­bile e non come l’ennesima pre­dica «di appen­dice» a una realtà eccle­siale chiusa in difesa della pro­pria diversità. 
Quando il papa afferma che «esi­gere terra, casa e lavoro è la dot­trina della chiesa» segna uno scarto con le pra­ti­che pre­ce­denti di ricom­po­si­zione del campo reli­gioso. Al tempo della «fine delle società» (per ripren­dere la nota for­mula del socio­logo fran­cese Alain Tou­raine), torna all’essenzialità del Van­gelo e lan­cia una pro­po­sta pasto­rale che parla agli ultimi, alle vit­time della crisi eco­no­mica e del neo­li­be­ri­smo tanto nei paesi del sotto-sviluppo, quanto nell’Europa unita. 
La capa­cità per­for­ma­tiva di que­sto tipo di discorso dovrebbe far riflet­tere chi con­si­dera quelle del lavoro, dei diritti e della giu­sti­zia sociale cate­go­rie poli­ti­che del secolo scorso.

Joao Pedro Stedile “Noi marxisti con il Papa per fermare il diavolo”
Parla il leader dei Sem Terra Viva Gramsci. Il dirigente contadino, di formazione marxista, organizzatore dell’incontro in Vaticano dove ha proposto di canonizzare Sant’Antonio... Gramscidi Salvatore Cannavò il Fatto 3.11.14
Joao Pedro Stedile guarda la prima pagina del Fatto in cui si vede Maurizio Landini fronteggiare la polizia. “Un leader sindacale senza cravatta? Davvero? ”. La battuta sintetizza molto profilo e storia di questo dirigente, ormai di levatura internazionale, del movimento “campesino”. Il Movimento Sem Terra è un’organizzazione fondamentale in Brasile, immortalata dalle storiche immagini Sebastião Salgado e con una storia trentennale fatta di vittorie e sconfitte ma sempre in primo piano nell’organizzazione dei contadini. Stedile ne è il dirigente più importante. Lui, la cravatta non l’ha mai portata e ha sempre concepito il suo ruolo come portavoce di una realtà povera ma in cerca della propria emancipazione.
Marxista, legato alla storia della teologia della liberazione, è stato uno degli organizzatori dell’Incontro mondiale dei movimenti popolari che si è svolto in Vaticano la settimana scorsa. In una delle sessioni di quel dibattito, svoltosi tra le volte suggestive dell’aula del Vecchio Sinodo, ha suggerito ai porporati presenti di canonizzare anche “sant’Antonio... Gramsci”. I Sem Terra, l’imponente organizzazione che dirige, circa 1,5 milioni di aderenti, hanno una storia antica di occupazioni di terre, di lotte e conflitti anche aspri. Ma coltivano anche un rapporto “laico” con il potere o, come lui spiega, di “autonomia assoluta”. Per cui, alle scorse elezioni brasiliane, pur non impegnandosi molto nel primo turno elettorale hanno poi sostenuto Djilma Roussef al secondo. Venuto in Italia per l’incontro in Vaticano, ha effetuato un giro di incontri per la penisola presentando il libro La lunga marcia dei senza terra (Emi edizioni), di Claudia Fanti, Serena Romagnoli e Marinella Correggia. Sabato pomeriggio, poi, è andato a visitare la Rimaflow, a Trezzano sul Naviglio, fabbrica recuperata, che Stedile, davanti a trecento persone ha battezzato “ambasciatore dei Sem Terra a Milano”.
Come è nato l’incontro in Vaticano?
Abbiamo avuto la fortuna di avere rapporti con i movimenti sociali dell’Argentina, amici di Francesco con cui abbiamo iniziato a lavorare all’incontro mondiale. Così abbiamo riunito cento dirigenti popolari di tutto il mondo senza confessioni religiose. La maggior parte non erano cattolici. Un incontro molto profittevole.
Lei è di formazione marxista. Che giudizio dà del Papa e dell'iniziativa vaticana?
Il Papa ha dato un grande contributo, con un documento irreprensibile, più a sinistra di molti di noi. Perché ha affermato temi di principio importanti come la riforma agraria che non è solo un problema economico e politico ma morale. Di fatto ha condannato la grande proprietà. La cosa importante è la simbologia: in 2000 anni nessun Papa ha mai organizzato una riunione di questo tipo con dei movimenti sociali.
Lei è stato uno dei promotori dei Forum sociali nati a Porto Alegre. C'è una sostituzione simbolica da parte del Vaticano rispetto alla sinistra?
No, credo che Francesco abbia avuto la capacità di porsi correttamente di fronte ai grandi problemi del capitalismo attuale come la guerra, l’ecologia, il lavoro, l’alimentazione. E ha il merito di aver avviato un dialogo con i movimenti sociali. Non credo ci sia sovrapposizione ma complementarietà. In ogni caso mi assumo l’autocritica, come promotore del Forum sociale, del suo esaurimento e della sua incapacità a creare un’assemblea mondiale dei movimenti sociali. Dall’incontro con Francesco nascono due iniziative: formare uno spazio di dialogo permanente con il Vaticano e, indipendentemente dalla Chiesa ma approfittando della riunine di Roma, costruire nel futuro uno spazio internazionale dei movimenti del mondo.
Per fare cosa?
Per contrastare il capitale finanziario, le banche, le grandi multinazionali. I “nemici del popolo” sono questi. Come direbbe il Papa, questo è il diavolo. Anche se l’inferno lo viviamo noi. I punti tracciati dall’incontro di Roma sono molto chiari: la terra, perché l’alimento non sia una merce ma un diritto; il diritto di ogni popolo ad avere un territorio, un proprio paese, si pensi ai curdi di Kobane o ai palestinesi; un tetto dignitoso per ognuno; il lavoro come diritto inalieanbile.
I Sem Terra organizzano corsi di formazione su Gramsci e Rosa Luxemburg. Nessun problema a lavorare con il Vaticano?
Noi viviamo in una crisi epocale. Le ideologie del secondo dopoguerra sono sprofondate. La gente non si sente più rappresentata. Eppure questa crisi offre anche opportunità per il cambiamento a condizione che nessuno si presenti con la soluzione pronta in tasca. Servirà un processo, di movimento di partecipazione popolare. E chiunque disposto a partecipare va incluso.
In Brasile avete sostenuto l'elezione di Djilma Roussef. Qual è il giudizio sul governo del Pt e sul suo futuro?
L'autonomia è per noi un valore importante. Il Pt ha gestito il potere con una linea di “neo-sviluppismo”, più progressista del neoliberismo ma basata su un patto di conciliazione tra grandi banche, capitale finanziario e settori sociali più poveri. L’operazione di redistribuzione del reddito ha favorito tutti ma soprattutto le banche. Ora, però, questo patto non funziona più, le attese popolari sono cresciute. L’istruzione universitaria, ad esempio, ha integrato il 15% della popolazione studentesca ma l’85% che resta fuori preme per entrare. Solo che per rispondere a questa richiesta servirebbe almeno il 10% del Pil e per reperire risorse di quelle dimensioni si romperebsemblea costituente per la riforma della politica. La forza del popolo non è in Parlamento
Qual è la situazione del Movimento Sem Terra oggi?
La nostra idea, all'inizio, era di realizzare il sogno di ogni contadino del XX secolo: la terra per tutti, battere il latifondo. Ma il  capitalismo è cambiato, la concentrazione della terra significa anche la concentrazione delle tecnologie, della produzione, delle sementi. È inutile occupare le terre se poi si producono Ogm. Non è più sufficiente ripartire la terra ma occorre un’alimentazione per tutti e un’alimentazione sana e di qualità. Oggi puntiamo a una riforma agraria integrale e la nostra lotta riguarda tutti. Per questo occorre un’ampia alleanza con gli operai, i consumatori e anche con la Chiesa. Siamo alleati di chiunque desidera il cambiamento.

Nessun commento: