martedì 14 ottobre 2014

Ricordo semiserio di Krusciov


“Che posso dire?” Così 50 anni fa Krusciov venne deposto

Fu messo agli arresti il 13 ottobre 1964. Dopo la crisi dei missili il tramonto

di Paolo Garimberti Repubblica 14.10.14


QUANDO Krusciov morì, ucciso da un infarto a 77 anni, l’11 settembre 1971, Alberto Ronchey, allora mio direttore a La Stampa che era stato corrispondente dall’Urss nell’epoca krusceviana, mi ordinò di interrompere le vacanze e di tornare immediatamente a Mosca. «Devi essere lì in tempo per i funerali — mi disse — saranno un evento storico». In realtà furono funerali di bassissimo profilo, quasi clandestini. La bara fu portata a tutta velocità, con una discreta scorta di auto del Kgb, dalla dacia di Petrovo-Dalnye al cimitero di Novodievici. Breznev, Podgornyj e Kossighin, la trojka che sette anni prima, il 14 ottobre 1964, lo aveva defenestrato con altri congiurati da segretario del Pcus e da primo ministro, gli aveva negato l’onore della tumulazione nelle mura del Cremlino, il Pantheon dell’Urss: una sorta di legge del contrappasso per colui che aveva espulso Stalin dal mausoleo di Lenin.
Krusciov era diventato, come si diceva a Mosca, una “non persona”. La Pravda aveva dato la notizia della sua morte in un invisibile trafiletto, facendo infuriare Giancarlo Pajetta, il dirigente del Pci più legato a Krusciov, che alla prima occasione gettò una copia del giornale in faccia all’ambasciatore sovietico. Così a Novodievici, in quella plumbea giornata di settembre, c’era poca gente e ancor meno volti noti al di là di quello del poeta Evgenij Evtushenko. Fu il figlio Sergej a pronunciare un sobrio e lapidario elogio funebre: «Nikita Sergeevic, mio padre, è stato amato da alcuni, detestato da altri. Ma a nessuno è stato indifferente». Sergej aveva aiutato il padre, nell’esilio di Petrovo-Dalnye, a scrivere le sue memorie, trafugate clandestinamente in Occidente, grazie a Strobe Talbott, ex corrispondente da Mosca e più tardi consigliere di Bill Clinton. Khrushchev Remembers ( il titolo originale americano nel 1970) fu l’ultimo scandalo di una vita fatta di colpi di scena e di gesti teatrali. Quello della scarpa battuta sui banchi dell’Onu, il 12 ottobre 1960, è stata definita «un’icona del XX secolo». Eppure l’episodio è controverso, esattamente come il personaggio: non esistono prove documentali e la figlia adottiva Julia sostiene che è addirittura un falso, un tentativo di presentare il padre come un rozzo, ignorante gaffeur.
In effetti non era così. Nikita Sergeevic era un politico astuto, un manovratore abile e all’occorrenza senza scrupoli. Lo aveva dimostrato durante le purghe staliniane del 1937-38, quando aveva scalato tutte le posizioni di vertice nel partito comunista dell’Ucraina sostituendo, uno dopo l’altro, quelli che venivano falcidiati da processi e fucilazioni. E ancor più quando, alla morte di Stalin, nel 1953, si scatenò la lotta per la successione e Krusciov prima si alleò con Malenkov, Kaganovic, Molotov e Bulganin per eliminare, anche fisicamente, Lavrentij Berija, il potentissimo capo dei servizi segreti. Per poi scalzare i suoi alleati e diventare dapprima capo del Pcus e poi anche primo ministro. Ma anche sul piano internazionale Krusciov era tutt’altro che sprovveduto. James Reston, il celebre giornalista del New York Times, ricorda nelle sue memorie di aver incontrato nell’ambasciata americana a Vienna il giovane J. F. Kennedy appena reduce dallo storico incontro del 1961 con il leader sovietico. Reston racconta che Kennedy era umiliato e affranto dall’esito del faccia a faccia. «Mi ha fatto sentire uno sprovveduto», fu il commento del presidente. Al punto che il giornalista rinunciò «per compassione e senso patriottico» all’intervista concordata (altri tempi giornalistici). E lo schiaffo finale fu la costruzione del muro di Berlino: un secondo colpo alla mascella degli Stati Uniti dopo quello al mento dell’aprile dello stesso anno, quando l’Urss aveva battuto l’America nella gara spaziale inviando in orbita Jurij Gagarin.
Kennedy si prese la rivincita nell’ottobre del 1962, imponendo la resa a Krusciov nel braccio di ferro sui missili a Cuba. Per Nikita Sergeevic fu l’inizio della fine. Il suo trono aveva già cominciato a vacillare un anno prima, con il XXII congresso del Pcus, quando era riuscito a far approvare il nuovo Programma del partito e soprattutto a far votare la rimozione della mummia di Stalin, che giaceva accanto a quella di Lenin nel mausoleo della Piazza Rossa. Sembrava l’atto finale della destalinizzazione, iniziata nel XX congresso del 1956 con il famoso “rapporto segreto” sui crimini di Stalin, e al tempo stesso l’apoteosi del disgelo krusceviano. La pubblicazione sulla rivista Novyj Mir di Una giornata nella vita di Ivan Denisovic di Solgenitsin era stata salutata in Occidente come l’inizio di una nuova era, costellata dalle poesie di Evtushenko e di Voznesnski, dalle canzoni di Bulat Okudzhava, dalle opere di Anna Akhmatova e Boris Pasternak.
Invece Krusciov, con il suo fiuto e buonsenso contadini, aveva capito che la sua fortuna era al tramonto. Nel 1963, durante la visita a una mostra d’arte contemporanea al Maneggio, esplose in un fragoroso «questa è merda» di fronte alle opere esposte. Era troppo tardi per salvarsi dalla fronda dei boiardi del partito, ma anche dal malcontento popolare per la crisi economica e soprattutto i fallimenti dell’agricoltura. Aveva scontentato tutti, perfino l’ intelligencija che aveva liberalizzato. Richiamato con una scusa da una vacanza nella villa di Pitsunda, sul Mar Nero, fu messo agli arresti appena arrivato all’aeroporto di Vnukovo, il 13 ottobre 1964, e destituito il giorno dopo con l’accusa di «culto della personalità» e «attività volontaristiche». Fu teatrale anche nella resa: «Che cosa posso dire? — esclamò rivolto ai suoi accusatori, che avevano tutti fatto carriera sotto la sua protezione — Ho avuto quello che ho meritato!».

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