Paolo Bertinetti La Stampa 16 11 2014
Gente di Dublino, il più «leggibile» dei capolavori di James Joyce, fu pubblicato cento anni fa, nel 1914, dopo essere stato respinto da uno stuolo di case editrici per auto-censura. Al punto che un paio di anni prima un editore che aveva accettato di pubblicare il libro all’ultimo ci ripensò e distrusse tutte le copie appena stampate prima che uscissero dalla tipografia.
I quindici racconti di Gente di Dublino, pur essendo in sé autonomi, fanno parte di una struttura unitaria, che in sequenza muove dall’infanzia all’adolescenza e poi alla maturità. Furono scritti entro il 1904, l’anno in cui Joyce conobbe Nora Barnacle, una ragazza sorprendentemente disinibita, cameriera d’albergo, e con cui, in quello stesso anno, se ne andò via dall’Irlanda.
Con Gente di Dublino Joyce disse che voleva «scrivere un capitolo della storia morale del suo paese», scegliendo «Dublino come scena perché quella città gli sembrava essere il centro della paralisi». E’ una paralisi che attanaglia molti dei personaggi, combattuti tra desiderio e rinuncia, tra sogno e rassegnazione; come la patetica Evelina, che, al porto, con le mani aggrappate alla cancellata, non ha la forza di seguire il giovane marinaio che aveva prenotato per loro due il viaggio per Buenos Aires. In questi racconti Joyce adotta uno stile asciutto, improntato alla massima economicità e precisione realistica, «neutro», volutamente estraneo a ogni pretesa di giudizio, ma con la capacità di illuminare il senso profondo di un’esistenza attraverso il momento rivelatore, che, rubando la parola al linguaggio religioso, Joyce definì come epifania, cioè «la rivelazione improvvisa dell’essenza di una cosa».
Dallo sguardo perso nel vuoto della moglie dopo una festa, Gabriel, il protagonista dell’ultimo racconto, «I morti», intuisce che dietro di esso si nasconde un qualche dolore segreto. E’ l’amore giovanile per un ragazzo, gli confessa la donna, che molti anni prima «morì d’amore per lei». Nelle ultime bellissime righe di un racconto di assoluta perfezione, Gabriel guarda la neve che scende copiosa sulla città, sulle campagne, su tutta l’Irlanda, sui vivi e sui morti. Così sia.
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