Grothendieck verso l’astratto andata e ritorno
di Piergiorgio Odifreddi Repubblica 30.11.14
IL 13 novembre scorso è morto Alexander Grothendieck, considerato uno dei più importanti e influenti matematici della seconda metà del Novecento. I media si sono concentrati sugli aspetti folcloristici della sua vita, presentandolo come l’esempio archetipico del binomio “genio e sregolatezza”: anche perché sarebbe stato difficile descrivere in parole semplici le nozioni da lui introdotte.
Grothendieck è stato infatti il campione dell’astrattezza e dell’astrazione, che pure la scuola francese aveva portato a livelli stratosferici. A partire dagli anni ’30 il fantomatico gruppo Bourbaki aveva infatti già prodotto i monumentali Elementi di matematica , che dispiegarono le ali dei professionisti, ma tarparono quelle degli studenti di mezzo mondo, imponendo la “nuova matematica” nelle scuole.
Fu così che ai ragazzi si ammannirono insiemi invece di numeri, e spazi vettoriali invece di geometria, generando più confusione che comprensione. Perché l’astrazione, in matematica come in musica e pittura, dev’essere il punto d’arrivo, e non quello di partenza. Se ne accorse lo stesso Grothendieck, che dopo aver creduto di poter risolvere i grandi problemi generalizzandoli selvaggiamente, fu sorpassato dai propri allievi e scaricò su di essi la propria furia, per nulla astratta e molto concreta, in una sorta di tardivo ripensamento.
L’enigma del più grande matematico del mondoÈ morto in Francia Alexander Grothendieck. Aveva 86 anni, da quasi venti viveva da eremita. Rifiutò una medaglia Fields e chiese che i suoi studi fossero bruciatiBRUNO ARPAIA Repubblica 15 11 2014
A NESSUN matematico, neppure di quart’ordine, c’è bisogno di spiegare chi era Alexander Grothendieck: lo sa. Nessun cultore dei numeri e della geometria ignora, infatti, che l’eccentrico e geniale ottantaseienne morto ieri all’ospedale di Saint-Girons, nell’Ariège, non lontano da Lasserre, il villaggio di duecento anime nel quale si era ritirato e nascosto fin dal 1991, è stato il più grande matematico del Ventesimo secolo, le cui idee, come ha detto Pierre Deligne, uno dei suoi allievi, «sono penetrate nell’inconscio» degli studiosi di questa disciplina. I suoi pari spesso lo paragonano a Einstein, con il quale Grothendieck condivide il mediocre profitto scolastico.
di Piergiorgio Odifreddi Repubblica 30.11.14
IL 13 novembre scorso è morto Alexander Grothendieck, considerato uno dei più importanti e influenti matematici della seconda metà del Novecento. I media si sono concentrati sugli aspetti folcloristici della sua vita, presentandolo come l’esempio archetipico del binomio “genio e sregolatezza”: anche perché sarebbe stato difficile descrivere in parole semplici le nozioni da lui introdotte.
Grothendieck è stato infatti il campione dell’astrattezza e dell’astrazione, che pure la scuola francese aveva portato a livelli stratosferici. A partire dagli anni ’30 il fantomatico gruppo Bourbaki aveva infatti già prodotto i monumentali Elementi di matematica , che dispiegarono le ali dei professionisti, ma tarparono quelle degli studenti di mezzo mondo, imponendo la “nuova matematica” nelle scuole.
Fu così che ai ragazzi si ammannirono insiemi invece di numeri, e spazi vettoriali invece di geometria, generando più confusione che comprensione. Perché l’astrazione, in matematica come in musica e pittura, dev’essere il punto d’arrivo, e non quello di partenza. Se ne accorse lo stesso Grothendieck, che dopo aver creduto di poter risolvere i grandi problemi generalizzandoli selvaggiamente, fu sorpassato dai propri allievi e scaricò su di essi la propria furia, per nulla astratta e molto concreta, in una sorta di tardivo ripensamento.
L’enigma del più grande matematico del mondoÈ morto in Francia Alexander Grothendieck. Aveva 86 anni, da quasi venti viveva da eremita. Rifiutò una medaglia Fields e chiese che i suoi studi fossero bruciatiBRUNO ARPAIA Repubblica 15 11 2014
A NESSUN matematico, neppure di quart’ordine, c’è bisogno di spiegare chi era Alexander Grothendieck: lo sa. Nessun cultore dei numeri e della geometria ignora, infatti, che l’eccentrico e geniale ottantaseienne morto ieri all’ospedale di Saint-Girons, nell’Ariège, non lontano da Lasserre, il villaggio di duecento anime nel quale si era ritirato e nascosto fin dal 1991, è stato il più grande matematico del Ventesimo secolo, le cui idee, come ha detto Pierre Deligne, uno dei suoi allievi, «sono penetrate nell’inconscio» degli studiosi di questa disciplina. I suoi pari spesso lo paragonano a Einstein, con il quale Grothendieck condivide il mediocre profitto scolastico.
E anche l’indipendenza di pensiero, la potenza immaginativa e una stupefacente capacità di lavoro. Faticano, invece, a trovargli un equivalente tra i grandi matematici: secondo loro, né Hilbert, né Cantor, né Poincaré, né André Weil possono dirsi esattamente alla sua altezza. Noi profani dobbiamo fidarci. Tuttavia, a giudicare dai riconoscimenti ottenuti, il suo talento sembra immenso: nel 1966 ottiene la medaglia Fields (il Nobel dei matematici, assegnata ogni quattro anni), nel 1977 gli viene attribuita la medaglia Émile Picard, dell’Accademia delle Scienze francese, poi, nel 1988, vince il premio Crafoord dell’Accademia di Svezia. Lui, se ne frega: la medaglia Fields la rivende e trasferisce il denaro al governo del Vietnam del Nord nel pieno della guerra contro gli Usa; la seconda la trasforma in uno schiaccianoci «molto efficace», come dirà a un amico; il terzo, coronamento di qualunque carriera, semplicemente lo rifiuta.
Ma, a quel punto, la svolta radicale della sua vita è già av-venuta da un pezzo: a contatto con gli “arrabbiati” del maggio francese, infatti, ha lasciato l’insegnamento e ha smesso di pubblicare, per la costernazione di tutto il mondo scientifico, abituato alle performance e alle invenzioni matematiche del genio venuto dal nulla, dell’apolide naturalizzato francese soltanto nel 1971, quando era sicuro che nessuno l’avrebbe più chiamato a fare il servizio militare.
Grothendieck era nato, infatti, nel 1928 a Berlino da un padre fotografo e da una madre giornalista che, nel 1933, per sfuggire al nazismo, lasciano il figlio a un amico e si trasferiscono in Francia, per poi prendere parte alla guerra civile spagnola nelle milizie anarchiche. È solo nel 1939 che l’undicenne Alexander li raggiunge nel sud della Francia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, però, il primo ministro francese Daladier decide di trasferire gli esuli tedeschi antinazisti, insieme ai “sospetti” di ogni risma, in terribili campi d’internamento. Vi finiscono Walter Benjamin, Hannah Arendt, Arthur Koestler… E la famiglia Grothendieck. Il padre sarà poi mandato ad Auschwitz, dove morirà, e Alexander e la madre nel campo di Rieucros. Lì, però, i ragazzi possono andare a scuola, e Grothendieck farà il liceo a Mende, a tre chilometri dal campo. Bravo studente, ma non brillante, si metterà in luce soltanto quando, per la tesi di laurea all’università di Montpellier, verrà mandato a Parigi e poi a Nancy. Incaricato di seguirlo è Jean Dieudonné: un po’ per gioco, un po’ per metterlo alla prova, il grande matematico gli sottopone quattordici problemi irrisolti da molti anni e gli dice di provare a sviscerarne almeno uno. Pochi mesi dopo, il giovane Grothendieck si ripresenta dal professore: li ha risolti tutti, e in maniera fortemente innovativa.
I vent’anni che seguono, tra il 1950 e il 1970, sono quelli della sua massima produttività scientifica, sebbene, essendo un apolide, sia complicato trovargli un posto statale. Risolverà il problema un’istituzione privata, l’Ihes. Lì Grothendieck scrive i suoi Elementi di geometria algebrica , che rivoluzionano gli studi matematici così come lo spazio tempo einsteiniano ha rivoluzionato la nostra stessa idea di mondo, descrivendo con precisione estrema spazi esotici in cui aritmetica e geometria sono un tutt’uno. Fonda la geometria algebrica, formula la “teoria dei fasci”, inventa il concetto matematico di schema che generalizza il concetto di “varietà algebrica”. Come ha scritto Luca Barbieri Viale, «il profano che si accosta all’opera di Grothendieck dovrà abbandonare il senso comune che guarda al matematico come un problem solver e provare veramente a guardare la matematica come un’arte e il matematico come un artista».
Il Sessantotto verrà a spezzare quest’incantesimo: Grothendieck si ritira dall’insegnamento, abbandona la comunità scientifica e fonda Survivre et vivre, un’associazione che si batte per l’ecologia radicale. Poi, per qualche altro anno, torna a insegnare a Montpellier, scrivendo e lavorando molto, ma senza mai pubblicare nulla né frequentando i colleghi, finché, nel 1988, il suo ultimo atto pubblico è il rifiuto del premio Crafoord. Alexander Grothendieck vive già da tempo come un eremita, ma nel 1991 va oltre: sparisce. Prima di far perdere le sue tracce, affida 20mila pagine di appunti e di lavori conclusi a un amico, con l’ordine di distruggerli: sono cinque scatoloni che resteranno per anni in un garage prima di essere affidati all’Università di Montpellier. L’ultimo segno di vita di Grothendieck si materializza quattro anni fa: ai curatori del sito www.grothendieckcircle.org, che aveva pubblicato studi su di lui e alcuni suoi testi, arriva un biglietto brusco in cui il grande matematico ingiunge di far scomparire dalla circolazione ogni sua opera e ogni suo scritto. E ai responsabili del sito non resta altra scelta che obbedire.
Per fortuna l’amico a cui aveva affidato le 20mila pagine di appunti si è comportato come Max Brod con Kafka, e non ha distrutto i suoi inediti. E forse adesso i suoi eredi, penetrando finalmente in quella casetta sperduta sui contrafforti dei Pirenei dove nessuno poteva mettere piede da più di vent’anni, troveranno altri appunti e scartafacci. Ci vorrà del tempo, molto, per sviscerarli tutti. E per aggirarsi insieme ad Alexander Grothendieck nei meravigliosi spazi che ha studiato, descritto e inventato. Per addentrarsi nella sua storia romanzesca. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Grothendieck, storia di un matematico ribelle
Corriere 3.12.14
La
creatività è sempre eversiva. Comporta la messa in discussione delle
tesi consolidate, l’esplorazione rischiosa di territori nuovi. Vale
anche e soprattutto per la scienza: lo dimostra la figura geniale e
indocile di Alexander Grothendieck, considerato l’«Einstein della
matematica».
A lui, scomparso in Francia lo scorso 13 novembre, il
«Corriere della Sera» ha dedicato un libro a più voci, con introduzione
di Giulio Giorello, che va in edicola sabato 6 dicembre al prezzo di e
6,90 più il prezzo del quotidiano. Il titolo è Matematica ribelle. Le
due vite di Alexander Grothendieck . Racconta la vicenda di un ragazzo
ebreo profugo e perseguitato, il cui padre era stato ucciso ad
Auschwitz, che diventa nel dopoguerra un eccezionale pioniere degli
studi matematici.
Il genio di Grothendieck è universalmente
riconosciuto, ma la gloria accademica non fa per lui: nel 1966 rifiuta
la Medaglia Fields, il Nobel della matematica, e poi altri premi
prestigiosi, rompe con i colleghi, si dedica alla militanza ecologista e
pacifista, infine decide di vivere da eremita, votato alla meditazione
spirituale.
Una rivolta di cui il libro del «Corriere» esplora le
origini e ripercorre le tappe, gettando uno sguardo anche su altre
figure di scienziati ribelli.
Alexander Grothendieck l’Einstein della matematica
Domenica 7 Dicembre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Gli Zar, il nazismo, la guerra fredda, gli hippie... Nel caso di Alexander Grothendieck, lo studioso scomparso in Francia il 13 novembre, cui il «Corriere della Sera» dedica il volume Matematica ribelle , non si rischia il cliché: dire che ha attraversato le tempeste del Novecento è un puro dato biografico. Era nato nel 1928 a Berlino; ma la storia era iniziata prima, con una rivoluzione. Suo padre era un anarchico ebreo fuggito dalla Russia. Sua madre una giornalista già sposata, che diede il cognome al figlio illegittimo. Con l’avvento di Hitler, i genitori lo abbandonarono per sei anni presso un pastore protestante, fuggendo in Francia e unendosi agli antifranchisti spagnoli nella guerra civile.
Alexander li ritrovò nel 1939, poi il padre fu inghiottito da Auschwitz. Grothendieck portò avanti gli studi: da Montpellier fino a Nancy, con Laurent Schwartz. Dimostrò un talento eccezionale, rivoluzionò la matematica. Ma nel 1966 rifiutò la prestigiosa Medaglia Fields per non ritirarla nell’odiata Urss. Era l’inizio della svolta che, da genio della ricerca, considerato «l’Einstein della matematica», l’avrebbe trasformato in avversario accanito della comunità accademica. Nel 1970 uscì sbattendo la porta dall’Institut des Hautes Études Scientifiques, quando scoprì che era finanziato dal ministero della Difesa.
Ossessionato dall’idea che i propri studi potessero essere utilizzati per finalità belliche, fondò una comune hippie e si dedicò a ricerche spirituali. Dal 1991 tagliò ogni rapporto con l’esterno e vietò la pubblicazione delle sue 20 mila pagine di appunti. Al di là dei suoi studi e delle sue intuizioni, è la vita di Grothendieck ad aver incarnato lo spirito autentico del matematico, che comporta il rigore e non ammette contraddizioni.
Errico Buonanno
Da piccolo ebreo perseguitato a pioniere della matematica Poi il rifiuto dei premi, la rivolta, la scelta dell’isolamento di Stefano Montefiori Corriere 9.12.14
Alexander Grothendieck, il genio della matematica morto a 86 anni il 13 novembre scorso, è stato un immenso scienziato, ma aveva ripudiato la scienza. Dalla Berlino dei rifugiati anarchici russi alla vita da eremita in un paesino dei Pirenei, passando per i campi di prigionia, il maggio del 1968 e la rivoluzione hippie, Grothendieck ebbe una vita tormentata e talvolta avventurosa, ma non usò mai le formule per rifugiarsi lontano dalla realtà. Come illustra il libro Matematica ribelle , in edicola con il «Corriere», preferì piuttosto rinunciare alla ricerca, quando ebbe la sensazione che il suo genio avrebbe avuto conseguenze pratiche incontrollabili, attraverso usi in campo militare che giudicava possibili e ignobili.
Alexander nacque il 28 marzo 1928 a Berlino, dove visse fino al 1933 con la mamma giornalista Hanka, il papà anarchico russo Sascha e Maidi, la sorella da parte di madre. Fu un periodo decisivo per la costruzione della sua personalità, e in positivo: «I primi cinque anni della mia vita rappresentano un privilegio di enorme valore. Dedicavo un’ammirazione e un amore sconfinati sia a mio padre che a mia madre», scrive nella sua monumentale autobiografia — pubblicata nel 1987 in tiratura confidenziale, ma oggi disponibile su Internet — Récoltes et semailles («Raccolti e semine»).
L’incanto venne interrotto dall’ascesa al potere dei nazisti, ma ancora di più dalla reazione dei suoi genitori: decisero di lasciare i bambini in Germania, e di trasferirsi in Francia. Poi parteciparono alla guerra civile in Spagna. Alexander raggiunse la madre solo nel 1939, quando restare in Germania da figlio di padre ebreo era ormai impossibile. Dopo l’occupazione nazista della Francia, suo padre venne deportato e morì ad Auschwitz. Al liceo Cévenol di Chambon-sur-Lignon il pastore Trocmé cercava di salvare quanti più studenti ebrei fosse possibile. «La polizia locale ci avvertiva quando stava per arrivare una retata della Gestapo — ricorda Grothendieck —, e allora andavamo a nasconderci nei boschi per una notte o due, in piccoli gruppi, senza renderci conto fino in fondo che non era un gioco, ma che si trattava della nostra pelle».
Alexander ottiene il diploma di Baccalauréat e va a Montpellier a studiare, finalmente, matematica all’università. Poi a Parigi, e infine a Nancy, dove incontra Laurent Schwartz, il più grande matematico del tempo. Qui arriva l’aneddoto che non può mancare nella biografia di un genio. «Io e Jean Dieudonné (altro grande matematico, ndr ) avevamo 14 problemi che non riuscivamo a risolvere — raccontò Schwartz —. Dieudonné propose a Grothendieck di sceglierne uno e di pensarci su. Pensavamo fosse uno spunto per anni di lavoro, ma dopo poche settimane Grothendieck tornò da noi con la soluzione di oltre la metà! Eravamo stupefatti».
All’inizio degli anni Cinquanta Grothendieck è già una star indiscussa nella sia pur ristretta cerchia dei matematici. La sua personalità deborda di energia e di talento, gli allievi sono increduli. «Aveva un ritmo infernale — racconta Michel Demazure, che sostenne la sua tesi con Grothendieck —. Si dedicava alla matematica da 16 a 18 ore al giorno, per lui tutto era legato: il percorso era altrettanto importante del traguardo. Il suo motto era nessuna concessione, nessuna economia, nessuna scorciatoia!».
Nel 1957 la morte della madre Hanka: Grothendieck cade in depressione per mesi. Il rapporto con lei, il ricordo di quei primi cinque anni di vita felici, sono stati fondamentali per il carattere del grande matematico, che combatterà tutta la vita con il paragone irraggiungibile di quel paradiso perduto.
La svolta nella sua carriera arriva grazie all’iniziativa e alla visione di Léon Motchane, un industriale di origine russa che fonda in Francia l’Institut des hautes études scientifiques (Ihes) sul modello dell’Institute for Advanced Study creato negli anni Trenta a Princeton per permettere ad Albert Einstein di proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti.
All’Ihes Grothendieck, Dieudonné e Jean-Pierre Serre animano un seminario matematico passato alla storia, per l’ambizione di fondere geometria algebrica, aritmetica e topologia algebrica. Nel 1966 a Grothendieck viene attribuita la Medaglia Fields, sorta di premio Nobel per la matematica. Il figlio di un anarchico russo dovrebbe andare a Mosca, al Congresso mondiale delle matematiche, per ritirare il premio, ma rinuncia «per protesta contro il trattamento inflitto dai sovietici agli scrittori dissidenti Sinjavskij e Daniel».
Nel 1970 Grothendieck abbandona l’Ihes, luogo dei suoi trionfi: ha scoperto per puro caso che è finanziato in parte dal ministero della Difesa francese. Il contributo dei militari è limitato, pari all’incirca al 5 per cento del bilancio dell’Istituto. Ma questo basta a convincere Grothendieck che deve abbandonarlo, se non vuole tradire i suoi principi. È un grande punto di non ritorno.
Se le intuizioni di Albert Einstein hanno portato alla bomba atomica, Grothendieck si rifiuta di correre lo stesso rischio e abbandona le ricerche teoriche nella matematica. Si dedica sempre di più alla spiritualità, alla meditazione. Fonda una comune nella sua casa nel Sud della Francia, diventa un guru per decine di giovani che cercano modi di vita vicini alla natura e lontani dal consumismo.
Al maggio 1988 risale la sua ultima apparizione, perché l’Accademia reale delle scienze di Svezia gli attribuisce l’importante premio Crafoord. Lui, naturalmente, rifiuta l’onorificenza e la somma consistente che la accompagna, perché «lo stipendio da professore è più che sufficiente per i miei bisogni materiali». Più tardi, nel 1991, a 63 anni, Grothendieck sparisce dalla vita pubblica. Si ritira in un paesino dei Pirenei, Lasserre, lontano da tutti, ossessionato dalla paura che i suoi lavori vengano travisati, copiati, destinati a scopi inaccettabili. Il 3 gennaio 2010 scrive di suo pugno una lettera all’allievo Jean Malgoire, nella quale chiede che le migliaia di pagine delle sue ricerche, ancora inedite, restino tali.
Ora che Grothendieck è morto, il suo tesoro, 20 mila pagine di appunti, giace in uno sgabuzzino della facoltà di Montpellier. Una giuria di eminenti matematici potrebbe dichiararlo «patrimonio nazionale», in modo da metterlo a disposizione della comunità scientifica. Ma bisognerebbe decifrare quelle formule. «Ci vorranno cinquant’anni — dice il suo allievo Michel Demazure — o un altro Grothendieck».
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