domenica 2 novembre 2014

Ancora porco! Una storia del maiale

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Michel Pastoureau: Il maiale. Storia di un cugino poco amato, Ponte alle Grazie 


Risvolto

«Del maiale non si butta via niente»: raramente proverbio è così vero. Da quando l’uomo ha iniziato ad addomesticarlo, tra il VII e il VI millennio a.C., il maiale si è rivelato una preziosa fonte di ricchezza: la sua carne è sinonimo di scorpacciata, il suo sangue e le budella sono usate per sanguinacci e salsicce, il grasso per le candele, la pelle e i tendini per fare corde di strumenti musicali, le setole spazzole e pennelli. Ciononostante, nel corso dei secoli il maiale ha conosciuto alterne fortune, che lo hanno visto animale degno di essere sacrificato agli dèi in Egitto e in Grecia, trasformato poi in simbolo di lussuria per colpa del manto rosa che lo fa sembrare nudo e addirittura condannato davanti a tribunali in piena regola con l’accusa di infanticidio.
Un destino di alti e bassi, quello di questo nostro "cugino poco amato", che attraverso lo sguardo di Michel Pastoureau diventa lo specchio della mutevole storia culturale e sociale dell’uomo, una riflessione colta e prosaica su un rapporto ambivalente e sempre passionale tra noi e l’animale biologicamente a noi più affine, a cui è sempre più legata la nostra sopravvivenza. 


L’evoluzione del maiale 
Nati selvatici, sono stati addomesticati dopo le pecore, le capre e alcuni ruminanti. Il grande storico delle idee francese Michel Pastoureau rivela miti e riti dei suini
2 nov 2014  Il Sole 24 Ore Di Michel Pastoureau 

L’addomesticamento del maiale, che risale al VII o al VI millennio avanti Cristo è legato alla sedentarizzazione dell’uomo. È un fenomeno socioeconomico, prima ancora che biologico. Di conseguenza riguarda l’uomo oltre che il maiale: fino a quando gli uomini sono stati nomadi, i maiali sono rimasti selvatici. Essendo incapaci di transumare vennero addomesticati dopo le pecore, le capre e alcuni ruminanti come le renne e gli zebù.
Dunque il maiale non è il più antico amico dell’uomo: l’hanno preceduto il cane, gli ovini, i caprini e certi bovini (secondo una cronologia che suscita ancora molte controversie). Tuttavia è uno degli animali il cui allevamento si è diffuso più velocemente e abbondantemente fin dalla comparsa dell’agricoltura. La facilità di nutrirlo (mangia più o meno di tutto), la ricchezza della sua carne e del suo grasso nonché la sua rapidità nel riprodursi giustificano questa precoce estensione in vaste aree del Vecchio Mondo. Resta il problema di capire da dove venga il maiale domestico. Stando a Buffon e Lamarck, i naturalisti lo fanno risalire al porco selvatico, cioè al cinghiale. 
Quest’ultimo è comparso – per quanto ne sappiamo – durante l’era terziaria, nel Miocene, ovvero una trentina di milioni d’anni fa, ma è probabile che la famiglia dei Suidi, di cui fa parte, lo preceda di un’altra ventina di milioni di anni. Infatti i primi cinghiali si suddividono già in due «razze»: Sus scrofa in Europa e Sus vittatus nell’Asia orientale. A lungo si è pensato che entrambe avessero dato vita alle razze di maiale domestico dell’Europa e dell’Asia, ma oggi non ne siamo più tanto sicuri, e gli zoologi sembrano indirizzarsi verso una separazione più netta, fin dalla Preistoria, tra il cinghiale propriamente detto, nelle sue differenti varietà, e gli antenati sconosciuti del maiale domestico. Benché gli incroci fra questi due animali siano avvenuti molto presto – come ancor oggi avviene in Corsica e altrove – in origine si sarebbe forse trattato di due specie diverse, entrambe appartenenti alla famiglia dei Suidi come il facocero africano o il pecari americano. Tutti questi animali hanno in comune un corpo ricoperto di setole dure e dritte, una coda sottile e arrotolata, canini molto sviluppati e quattro dita di cui solamente due appoggiano a terra, essendo le altre in parte atrofizzate. È possibile datare gli inizi dell’addomesticamento del maiale grazie ai resti ossei. L’analisi dei frammenti d’osso e dei denti permette di conoscere l’età e il sesso dei soggetti abbattuti per essere mangiati. 
Ne emerge che a partire dal VII millennio avanti Cristo (nel Turkestan e in Asia minore) o nel VI millennio avanti Cristo (in certe regioni dell’Asia orientale) i maschi venivano uccisi prima delle femmine – che venivano tenute in serbo per la riproduzione –, in genere all’inizio dell’inverno quando diventava difficile nutrirli. Lo studio delle mascelle evidenzia la rimozione dei canini e l’esame osteologico consente di stabilire se l’animale sia stato castrato, dal momento che nel suino, come in tutti i mammiferi, la castrazione modifica la composizione delle ossa. Queste tre pratiche – la macellazione precoce dei maschi, la rimozione dei canini e la castrazione – attestano con certezza l’addomesticamento, rendendo possibile la definizione di una (relativa) cronologia e di una (più solida) geografia sulla base dei siti preistorici o protostorici in cui sono stati effettuati gli scavi. In nessun caso si è trovata traccia di addomesticamento prima del VII millennio avanti Cristo. Nell’animale, l’addomesticamento comporta alcune modifiche anatomiche. La corporatura in generale si riduce, così come si accorciano i denti, il muso e gli arti, e i piedi si fanno più massicci. Ne consegue che l’animale risulta meno minaccioso e più facile da sorvegliare. 
Si suppone che siano state necessarie fra le venti e le venticinque generazioni di suini – all’incirca un secolo – per passare dall’animale selvatico a quello domestico, ma è difficile essere precisi in proposito. Tanto più che il cinghiale, che sia o meno l’antenato del maiale domestico, si è da tempo accoppiato con la scrofa domestica procreando degli ibridi. I due animali sono infatti conspecifici e interfecondi. Simili incroci, che venivano evitati alle origini dell’addomesticamento, furono in seguito incoraggiati da alcuni allevatori per rinforzare questa o quella razza di maiale domestico. Restif de la Bretonne (1734-1806), per esempio, racconta come, durante la sua infanzia in Bassa Borgogna, le scrofe venissero portate nel bosco non solo perché si nutrissero di ghiande, ma anche perché fossero fecondate dai maiali selvatici. 
A partire dal III millennio avanti Cristo, il maiale è presente lungo tutto il bacino mediterraneo, forse con l’eccezione del Maghreb, ma il suo status e i suoi rapporti con l’uomo variano molto a seconda delle regioni e delle culture, e perfino nell’ambito della medesima società, se si considera un lasso di tempo più lungo. Esemplare, a riguardo, è il caso egiziano. Disprezzato dai popoli nomadi del deserto, il maiale viene allevato e consumato dagli agricoltori stanziali della valle del Nilo. Quanto meno fino alla metà del II millennio avanti Cristo, poiché in seguito, nell’alimentazione quotidiana, si verifica un progressivo abbandono della carne di porco, animale che viene riservato al culto di Osiride, a cui è dato in sacrificio: ormai lo si mangia solo nei giorni di luna piena. 
In seguito, il discredito nei suoi confronti continua a crescere: il consumo della sua carne, considerata impura, cessa completamente, e da animale offerto a Osiride, dio del Nilo e della vegetazione, il porco diventa l’attributo di Seth, il dio demoniaco della mitologia egizia, rappresentato talvolta come un maiale nero che divora la luna. Quello dell’Egitto non è un caso isolato. Parecchi popoli del Vicino Oriente, in epoche diverse, considerano il maiale come un animale impuro e tabù: gli Ebrei, certamente, ma anche i Fenici, i Cananei, i Cretesi, più tardi gli Etiopi e gli Indiani. Simili tabù non prendono piede nel mondo greco, dove fin dall’epoca arcaica l’allevamento suino costituisce una grande ricchezza. Il maiale è allo stesso tempo un animale da sacrificare agli dei e da mangiare abitualmente. 
La sua carne è più apprezzata di quella del montone (allevato soprattutto per la lana) o di quella del bovino (destinato ai lavori agricoli). Come, in seguito, ai Romani, ai Germani e ai Galli, anche ai Greci piace molto la carne di maiale. Ma quest’ultimo, insieme alla capra, è anche l’animale che più spesso viene offerto alle divinità, e in particolar modo a Demetra, dea dell’agricoltura, di cui avrebbe un tempo saccheggiato i raccolti. Intere mandrie vengono allevate per fungere da vittime sacrificali. Il sacrificio è sempre cruento – vengono immolate unicamente bestie vive – e sancisce le occasioni in cui la religione concede di mangiare carne. Al sacrificio si accompagnano alcuni rituali culinari, parte integrante del cerimoniale religioso, al termine dei quali la carne dell’animale immolato viene consumata sul posto o altrove. Chi ne mangia viene purificato e rinforzato dalla sua energia vitale. Così, religione e alimentazione risultano strettamente associate.

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