Risvolto
Per
la prima volta J. J. Abrams approda alla dimensione letteraria con un
romanzo d'amore, morte e mistero che vede due giovani studiosi sulle
tracce di un grande scrittore sparito nel nulla e del segreto del suo
ultimo romanzo. "La nave di Teseo" rivela tutte le ossessioni di Abrams,
e un modo unico di raccontarle.
Ha inventato la serie tv cult, ha fatto rinascere “Star Trek” e “Star Wars”. Ora il regista più creativo di Hollywood esordisce, a modo suo, anche nella letteratura “Il mio segreto? Ignorare il pubblico”
J. J. Abrams “Dimenticate Lost ho creato il libro a più dimensioni”
ENRICO FRANCESCHINI Repubblica 19 11 2014 © RIPRODUZIONE RISERVATA
LONDRA IL LIBRO più strano che vi capiterà di prendere in mano è opera dello scrittore meno stravagante che potreste incontrare. In effetti, Jeffrey Jacob (ma tutti lo chiamano J. J. — pronuncia Gei Gei) Abrams ha l’aspetto di un insegnante, magari di matematica, o piuttosto di un “nerd”, il secchione dello stereotipo americano. Eppure non solo è autore di un romanzo come non se n’erano mai visti.
È anche o meglio soprattutto un fantasmagorico creatore di storie per il cinema e la televisione, produttore, sceneggiatore e regista, autore di serie tv come Lost , è l’uomo che ha riportato al successo al cinema la saga Star Trek , che ha diretto action movie come Mission: Impossible I-II. E poi, naturalmente, c’è la settima, attesissima pellicola targata Guerre Stellari che uscirà il prossimo anno, dal titolo Star Wars - The Force Awakens . In questo crocevia di mondi fantastici, non c’è da stupirsi che negli Usa e in Gran Bretagna i critici lo definiscano il padrone dell’immaginario mondiale, l’erede di Steven Spielberg e George Lucas.
L’appuntamento con questo novello mago di Hollywood è nel luogo che di Hollywood ha preso il posto: i Pinewood Studios a nord di Londra. È qui che Abrams sta ultimando Star Wars. Harrison Ford, Carrie Fisher e le altre stelle del film si aggirano fra i capannoni seguiti da stuoli di truccatori e assistenti. Il regista dirige su due set contemporaneamente. E il cronista, per poterlo intervistare, attende inutilmente una pausa nella lavorazione, chiuso in uno dei trailer di lusso riservati alla troupe. Vita da movie star. C’è tutto il tempo di rituffarsi nel libro di J. J. (pubblicato in Italia da Rizzoli), che parafrasando una massima di Churchill si potrebbe definire un’avventura, avvolta in un giallo, dentro un mistero: S, come si intitola sulla sovracopertina (c’è però un altro titolo, La nave di Teseo , sulla copertina rigida interna), è un libro-oggetto bellissimo, un volume dalla carta volutamente ingiallita, finto antica, ricco di note, immagini, segreti. Al centro dell’intreccio c’è il libro stesso, che nella finzione un uomo e una donna si sono passati a vicenda nella biblioteca in cui l’hanno trovato, lasciando scritti a margine del testo dei messaggi su quasi ogni pagina; e al loro dialogo si aggiungono reperti che il lettore pesca infilati qui e là, una cartolina dal Brasile, una mappa, un foglio dattiloscritto, una lettera. Un gioco? Un rebus? Un puzzle? Non solo, perché arrivati in fondo la vicenda ha un senso, anzi un doppio o forse triplo senso (in perfetto stile Lost), capace di chiamare in causa l’amore, gli ideali, il significato dell’esistenza. Leggendo si fa sera. Finalmente terminano le riprese.
Stanco, Abrams ha fretta di tornare in albergo a Londra. Mi offre un passaggio sulla sua limousine e parliamo durante il viaggio.
Dove ha preso l’idea per un libro così insolito?
«All’aeroporto di Los Angeles, dove un giorno trovai sul tavolino di un caffè un romanzo lasciato lì da qualcuno. Dimenticato, pensavo, ma dentro c’era un messaggio: la richiesta di leggerlo e di passarlo nuovamente a un altro lettore. Ebbi un flash: i libri che trovavo da ragazzo nella biblioteca del college, con le sottolineature e gli appunti degli studenti che li avevano presi in prestito prima di me. L’ispirazione è partita da lì».
Come per i film, anche questo libro è frutto di un lavoro di squadra: c’è un co-autore, ci sono collaboratori, consiglieri… «Io ho creato il concetto, il romanziere Doug Dorst lo ha scritto, la casa editrice ci ha fornito altri supporti, siamo andati avanti così a scambiarci idee e manoscritto sino alla fine, un po’ come i due protagonisti della nostra storia. Se il lavoro di squadra funziona nel cinema, perché non nella narrativa?».
Esiste anche un ebook di S, ma l’impressione è che il progetto volesse difendere il libro- libro, il libro di carta.
«L’editore è stato bravissimo a confezionare una versione digitale. Ma l’effetto è comunque diverso. E ha ragione, l’intento era fare una battaglia per il libro cartaceo, per questo oggetto meraviglioso che alcuni giudicano obsoleto. Volevamo rinnovarlo e al tempo stesso salvarne la tradizione, dimostrando che con un libro di carta puoi fare tante cose, sporcarlo, scriverci scopra, strappare una pagina, infilarci dentro una foto, che non puoi fare con un ebook».
Quale è il segreto di una storia che funziona, che cattura l’attenzione del grande pubblico?
«Non puoi sapere prima se il pubblico sarà grande o piccolo.
Ma un segreto forse c’è o almeno è il mio: metterci cuore, passione. Nessuno può sedersi a tavolino e scrivere un romanzo o un film con gli ingredienti sicuri del successo, perché quegli ingredienti cambiano in continuazione ».
Ma uno dei mantra di Hollywood era che niente ha successo come il successo.
«È stato vero nella Hollywood dei tempi d’oro ma poi il cinema e l’industria dell’intrattenimento di massa sono rimasti prigionieri della formula, continuando a ripetere sempre le stesse storie, gli stessi personaggi, gli stessi cliché. Oggi si fanno meno film, costano troppo e devono guadagnare moltissimo, perciò ci sono enormi interessi in gioco e si è perso il gusto di rischiare, provare strade nuove, far correre la fantasia».
Al cinema, non in televisione.
«I serial tv da Lost a Trono di spade, da Girls a True detective, sono diventati in questi anni la migliore espressione creativa proprio perché rischiano. E possono rischiare perché costano meno di un film. Nessuna di queste storie avrebbe visto la luce al cinema. Ma io spero che il cinema capisca la lezione della tv e torni a usare la fantasia anche sul grande schermo».
L’America è in declino politico ed economico, ma il soft power del suo intrattenimento di massa continua a dominare il mondo: perché?
«È stato a lungo così, ma non sono più d’accordo con questa affermazione. La globalizzazione fa circolare idee e talenti. Il web e le nuove tecnologie permettono di fare cinema anche con pochi mezzi. L’America non regnerà più suprema neppure nel campo dell’intrattenimento. Vedo registi e autori formidabili in Cina, Corea, Iran».
Chi sono stati i suoi modelli letterari, televisivi, cinematografici?
«Rod Serling con Ai confini della realtà . Stephen King. Più tardi Graham Greene, Fitzgerald, Chandler. E al cinema due su tutti, Spielberg e Lucas».
Dicono che lei sia il loro erede.
«Non scherziamo. Li conosco e so che non possono avere eredi ».
Pensa che la nuova Hollywood sia davvero a Londra?
«Qui ci sono grandissime qualità tecniche e strutture di primo piano. In più si parla inglese e ci danno incentivi fiscali imbattibili. A Los Angeles non si fanno più film e sempre meno anche serial tv. Se la California non fa qualcosa, Hollywood diventerà un parco divertimenti».
Nel frattempo la limousine è arrivata a destinazione. Chiedo se posso filmare un’ultima domanda per il nostro sito: J. J. acconsente, controlla le luci all’interno della vettura, quindi vuole rivedere il video fatto col telefonino. Sorride: il mago di Hollywood approva. Poi scende e s’infila tra i paparazzi al Chiltern Firehouse, l’ex-stazione dei pompieri trasformata nell’hotel più cool della città. Io completo la giornata da movie star facendomi portare a casa dalla sua limousine.
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