sabato 1 novembre 2014
Emanuele Severino: la Tecnica di rimuovere il conflitto politico-sociale e di indurre rassegnazione
Nominare il modo di produzione, ma neutralizzare subito subito questa bestemmia socialmente insopportabile trasfigurandolo in "destino" [SGA].
La tecnica guida del mondo sostituirà tutte le ideologie
Qualsiasi governo è destinato ad essere superato dal potere dell’innovazione
di Emanuele SAeverino Corriere 1.11.14
Alcuni
mesi fa ho pubblicato sul «Corriere della Sera» un articolo: Il destino
della tecnica, battere le ideologie (29 luglio). Il suo destino è cioè
di porsi alla guida dei popoli: diventare tecnocrazia. Il presidente
Renzi ha ribadito, anche in questi giorni, il suo rifiuto della
tecnocrazia nostrana ed europea e il primato della politica. Nei due
casi, che sembrano contraddirsi, la parola «tecnocrazia» ha però un
significato profondamente diverso. Avevo chiarito l’equivoco anche alla
fine del governo Monti («Corriere», 19 gennaio 2013), che voleva essere
«governo tecnico» proprio nel senso a cui Renzi si riferisce volendosene
però distanziare. La tecnica destinata a dominare il mondo è
abissalmente diversa dalla tecnica dei «governi tecnici». La politica
diventerebbe grande politica se lo capisse.
Il capo del governo dice
di non interessarsi delle «ideologie», ma di voler risolvere i problemi
concreti dell’economia e della società italiana. Ma uno dei tratti
caratteristici della tecnica che i «governi tecnici» si propongono di
valorizzare è appunto questo: il disinteresse per la gestione ideologica
dei problemi. Il disinteresse di Renzi procede dunque in direzione di
quella gestione tecnologica dei problemi alla quale egli crede di
voltare le spalle.
Ma a questo punto va anche detto che sia un
«governo tecnico» come quello di Monti (o quello che si ritiene oggi
dominante in Europa), sia un «governo politico-non tecnico», come quello
che Renzi intende promuovere, sono chiaramente e robustamente
ideologici. C’è bisogno di ricordare che anche il capitalismo è
un’ideologia? Sì, nonostante tutto ce n’è un gran bisogno! Il
capitalismo non è la «legge naturale eterna» dei rapporti economici.
Nonostante la crisi attuale, esso è l’ideologia vincente in grandi aree
del Pianeta, ma non per questo i suoi principi (ad esempio autonomia e
libertà dell’individuo, proprietà privata, uso della merce per aumentare
il profitto, dipendenza dei consumi della gente e della ricchezza delle
nazioni dall’iniziativa privata) sono verità assolute.
Ebbene, sia i
«governi tecnici», sia i governi «politici non tecnici» oggi in
circolazione si propongono di adottare le misure più idonee per guarire
il capitalismo dalla malattia che lo sta affliggendo: per guarire ciò
che è percepito come la dimensione che da ultimo determina e configura i
rapporti sociali e la stessa sorte dei governi. Che quindi — siano di
destra oppure di sinistra — si combattono in famiglia. L’ideologia
capitalistica stabilisce pertanto anche il modo in cui la tecnica deve
essere usata e usata anche dai «governi tecnici». Sì che, in quanto
regolata dal capitalismo, anche la tecnica è un’ideologia.
In
Italia, poi, tutti quei tipi di governo sono chiaramente e robustamente
delle ideologie anche perché, oltre ad esser guidati dall’economia di
mercato, sentono fortemente l’influenza dell’ideologia della Chiesa
cattolica. Se poi si rifiuta la tecnocrazia e si vuole che alla guida
della società stia la politica, allora il carattere ideologico
dell’esecutivo cresce ulteriormente, perché la politica stessa (la
politica come «arte» politica) è ideologia. Ho osservato altre volte che
un agire economico è capitalistico solo se, oltre ad un insieme di
altri fattori, è un agire a rischio (tanto che nel rischio la scienza
economica individua uno dei principali motivi che giustificano il
profitto e la sua entità); e il rischio caratterizza in modo essenziale
anche la decisione di credere in un’ideologia. Ma quanto si sta dicendo
del carattere rischioso dell’intrapresa capitalistica va detto anche
della politica in quanto tale. Il politico rischia come l’imprenditore.
Le sue decisioni non sono garantite da una competenza tecno-scientifica,
anche se la tecno-scienza fornisce alla politica i mezzi con cui essa
può realizzare le proprie decisioni. Sono decisioni a rischio; quindi
eminentemente ideologiche.
Si può osservare che queste
considerazioni sono ben poco utili a risolvere i problemi attuali, come
ad esempio quello della regolamentazione del lavoro. Ma se i popoli non
pensano di essere alla fine della loro esistenza, allora, ancora più
decisivi dei «problemi attuali» e «concreti» sono quelli relativi alla
direzione verso cui il mondo sta andando. Appunto rispetto a questo tema
si fa avanti il carattere decisivo della differenza abissale tra la
tecnica quale oggi si presenta sul Pianeta e ciò che essa è destinata a
diventare: tecnocrazia.
Un termine, questo, da intendere tuttavia in
senso del tutto diverso da quello in cui la tecnocrazia è stata
concepita a partire da Saint-Simon, e poi da Thorstein Veblen fino alle
analisi curate da Hansfried Kellner e da Frank W. Heuberger. In queste
prospettive si ignora l’inevitabilità del processo (indicato anche in
quei miei articoli) in cui la tecnica, da mezzo delle ideologie che
intendono servirsene per realizzare i loro scopi, diventa il loro scopo e
dunque le domina — una tematica, questa, che è stata apprezzata anche
da Fabrizio Pezzani, professore di Programmazione e controllo nelle
pubbliche amministrazioni all’Università Bocconi ( È tutta un’altra
storia , Università Bocconi Editore, 2013).
Inoltre, le forme di
sapienza della tradizione obiettano alla tecnocrazia quale è comunemente
intesa che non tutto ciò che essa può fare è lecito farlo; e la
tecnica, come tale, non possiede oggi una risposta capace di risolvere
l’obbiezione. Infatti la risposta adeguata presuppone che la tecnica sia
capace di ascoltare e di capire la voce dell’essenza (peraltro
tendenzialmente nascosta) della filosofia degli ultimi due secoli, che
mostra l’impossibilità dell’esistenza di Limiti assoluti all’agire umano
e quindi all’agire tecnico — giacché solo la filosofia, non la scienza,
può mostrare tale impossibilità e autorizzare la destinazione della
tecnica al dominio.
Va richiamato anche un ulteriore motivo di tale
destinazione. La gestione della produzione industriale è ideologica
(capitalistica o spuria come quella cinese o araba). Servendosi della
tecnica per realizzare i propri scopi, tale gestione sta distruggendo la
Terra. Oggi si riconosce che questo è il pericolo maggiore per
l’umanità. Ma la gestione ideologica dell’economia, distruggendo la
Terra, distrugge se stessa. Quindi o va incontro all’autodistruzione,
oppure, per evitarla, assume come scopo la capacità della tecnica di
produrre energie alternative non inquinanti. Rinuncia cioè ai propri
scopi. E anche in questo caso va incontro all’autodistruzione.
Alla
guida dell’agire del mondo si pone la tecnica, l’ideologia vincente che
sostituisce il capitalismo alla guida del mondo e ha come scopo
l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi. L’ultimo
Dio.
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