giovedì 13 novembre 2014
Fu Stalin a invadere l'Italia durante la Seconda guerra mondiale: le ultime dal Corriere
Risvolto
Fondato su materiale inedito proveniente dagli archivi ex sovietici e
sulle testimonianze dei sopravvissuti, questo libro ricostruisce nella
sua completezza il destino dei soldati italiani fatti prigionieri dai
sovietici nella seconda guerra mondiale. Dal momento della cattura alle
massacranti marce del "davaj" verso i primi campi di raccolta nelle
retrovie, dalla vita nei lager al difficile e contrastato rimpatrio,
fino alla "contabilità" dei morti e dei dispersi: una ricostruzione
terribile, che con l'eloquenza spassionata dei fatti illumina un luogo
ancora vivo e dolorante della memoria italiana.
Non solo prigionieri ma ostaggi Soldati italiani in mano a Stalin
di Antonio Carioti Corriere 13.11.14
Volti esausti, da cui traspare uno sconsolato fatalismo: i soldati
italiani fotografati dopo la cattura da parte dei sovietici,
nell’inverno 1942-43, sono consapevoli di avere davanti a sé giorni
durissimi. E infatti il tasso di mortalità nelle loro file sarà
spaventoso, più elevato di quello dei tedeschi. Le immagini qui
pubblicate, insieme a molte altre, arricchiscono la nuova edizione del
libro I prigionieri italiani in Russia (il Mulino, pp. 495, e 29),
frutto di una minuziosa ricerca condotta da Maria Teresa Giusti negli
archivi di Mosca e di Roma. Ma l’apparato iconografico non è certo
l’unica parte nella quale il volume, in libreria da oggi, si presenta
ampliato e approfondito rispetto alla prima versione, edita nel 2003.
In questi anni Maria Teresa Giusti ha infatti proseguito il suo lavoro
di scavo, con risultati importanti. Per esempio ha scoperto una
direttiva, firmata dallo stesso Stalin nel giugno 1945, contenente
ordini dettagliati per lo sfruttamento dei prigionieri come manodopera
coatta. Le indicazioni dall’alto però cozzarono spesso con la
disorganizzazione delle strutture che avrebbero dovuto applicarle, a
partire dai campi di detenzione: qui, soprattutto all’inizio, regnavano
la negligenza e il caos, con effetti disastrosi. Lo stesso apparato
repressivo sovietico, il famigerato Nkvd, intervenne per migliorare le
condizioni dei militari reclusi, che morivano come mosche, ma spesso le
disposizioni rimasero sulla carta.
Di notevole interesse anche le novità sui prigionieri italiani a cui
vennero addebitati crimini di guerra. Da documenti sovietici risulta che
alcuni di loro non avevano compiuto affatto atrocità ed erano colpevoli
soltanto di comportarsi da fascisti convinti. Comunque vennero
trattenuti dal Cremlino dopo la fine della guerra, insieme al personale
diplomatico della repubblica di Salò catturato dall’Armata rossa in
Romania e Bulgaria, per essere usati come ostaggi, merce di scambio. E
il nostro governo dovette piegarsi: con un accordo del 1949 ottenne il
loro rimpatrio, ma dietro la consegna dei cittadini sovietici, donne e
bambini inclusi, che si erano rifugiati nel nostro Paese anche prima
della guerra, la cui sorte successiva si può facilmente immaginare.
C’è poi un’altra vicenda che Maria Teresa Giusti sottrae all’oblio:
quella dei militari italiani catturati e internati dai tedeschi dopo l’8
settembre, i cosiddetti Imi, che caddero nel 1944 in mano sovietica e
furono trattati, in modo del tutto arbitrario, come prigionieri di
guerra, anche se avevano rifiutato di arruolarsi nella Rsi, nonostante
l’Italia del Regno del Sud fosse ormai Paese cobelligerante al fianco
degli Alleati. Così circa 1.300 Imi, sopravvissuti ai lager di Hitler,
perirono in quelli di Stalin.
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