sabato 1 novembre 2014

Il dibattito sull'architettura negli anni Sessanta e Settanta


L’architettura si reinventa 

Mostre. «Beyond Environment» è il titolo della mostra curata da Emanuele Piccardo e Amit Wolf al Los Angeles Contemporary Exhibitions. Al centro, il rapporto tra arte e sperimentazione architettonica durante gli anni ’60, il focus è su Gianni Pettena

Luca Guido, il Manifesto 1.11.2014 

Beyond Envi­ron­ment, ovvero «Oltre l’ambiente», è il titolo della mostra curata da Ema­nuele Pic­cardo e Amit Wolf al Los Ange­les Con­tem­po­rary Exhi­bi­tions (in corso fino al 9 novem­bre). Il tema gene­rale è il rap­porto tra arte e spe­ri­men­ta­zione archi­tet­to­nica durante gli anni ’60 del secolo scorso, quando ci si inter­ro­gava, in maniera pro­vo­ca­to­ria e irri­ve­rente, sulla neces­sità di tener conto di una serie di fat­tori «ambien­tali» che fino ad allora erano stati estro­messi dall’immaginario arti­stico e dal pro­getto di archi­tet­tura. Così, arti­sti ed archi­tetti comin­ciano a guar­dare alla città e alla natura in maniera inno­va­tiva, pen­sando al corpo umano e al dive­nire delle sue azioni, al clima e agli odori, alla mor­bi­dezza e all’effimero, agli stati fisici dei mate­riali uti­liz­zati, intra­ve­dendo poten­zia­lità espres­sive e imma­gi­nando di rea­liz­zare opere attrez­zate per cap­tare tali valori.
Pic­cardo e Wolf met­tono a con­fronto le espe­rienze ame­ri­cane di tre grandi arti­sti come Robert Smi­th­son, Allan Kaprow e Gor­don Matta-Clark con quelle dei pro­ta­go­ni­sti della cosid­detta Supe­rar­chi­tet­tura (1963 –1973), un ete­ro­ge­neo movi­mento di archi­tetti ita­liani in bilico tra cul­tura Pop e l’avventura del radi­cal design.
In par­ti­co­lare, la mostra pre­senta al pub­blico una sorta di com­pa­ra­zione tra il lavoro di Kaprow, uno dei primi spe­ri­men­ta­tori dell’happening, e quello di Gianni Pet­tena che, a dif­fe­renza di altri «supe­rar­chi­tetti», ebbe modo di con­fron­tarsi in prima per­sona con le ricer­che della Land art e della Per­for­ming art. Ma indi­vi­duare aspetti comuni non signi­fica testi­mo­niarne l’identità. Men­tre i lavori di Pet­tena, per quanto dirom­penti, riman­gono sem­pre legati all’ambito urbano, o mediati da pre­senze archi­tet­to­ni­che, le ricer­che arti­sti­che ame­ri­cane met­tono in crisi le moda­lità espo­si­tive dell’arte e il suo ruolo nella società, intro­iet­tando la cul­tura dell’envi­ron­ment nelle pra­ti­che intel­let­tuali.
Le prime occa­sioni in cui Pet­tena ebbe modo di riflet­tere su que­sti temi gli ven­nero offerte dalle gal­le­rie d’arte, luo­ghi gra­zie ai quali com­pletò e poté espan­dere la sua for­ma­zione di archi­tetto. È durante la per­for­mance Asphalt Run­down (1969), atten­ta­mente docu­men­tata in mostra dagli affa­sci­nanti scatti di Clau­dio Abate, che­Pet­tena incon­trò Smi­th­son, invi­tato all’Attico di Fabio Sar­gen­tini, a Roma.
In un momento in cui l’università sof­friva la pro­pria arre­tra­tezza didat­tica, la colata bitu­mi­nosa rea­liz­zata da Smi­th­son in una cava sulla Lau­ren­tina, rap­pre­sen­tava l’avvento di un nuovo ciclo arti­stico e, allo stesso tempo, uno sti­molo a svin­co­larsi dai luo­ghi – e dai modi — tra­di­zio­nali di una società inca­pace di rin­no­varsi.
Nei primi anni ’70, durante il suo sog­giorno ame­ri­cano, Pet­tena divenne l’anello di con­giun­zione tra le nuove ricer­che arti­sti­che e le istanze espresse da una nascente gene­ra­zione di archi­tetti, non più vin­co­lata ai ristretti ambiti disci­pli­nari.
Pro­gram­ma­ti­ca­mente, Pet­tena instaurò una serie di dia­lo­ghi idea­liz­zati con Kaprow, ricor­rendo anch’egli alle pra­ti­che dell’happening con gli stu­denti. Lo dimo­strano i lavori inti­to­lati Ice House I e II (1971) che l’architetto rea­lizzò a Min­nea­po­lis e che richia­ma­vano alla mente la per­for­mance Fluids (1967) di Kaprow. In tutti e tre i casi, si trat­tava di costru­zioni di ghiac­cio. Tut­ta­via, se Pet­tena ebbe biso­gno di un edi­fi­cio pre­e­si­stente da con­te­stare, con­cen­tran­dosi sulla forma archi­tet­to­nica finale, Kaprow rivolse la sua atten­zione all’azione arti­stica, creando un nuovo envi­ron­ment alter­na­tivo al con­te­sto, per quanto iro­nico e tran­si­to­rio.
L’allestimento pro­get­tato dal col­let­tivo di archi­tetti Pen­ta­gon è stato pen­sato appo­si­ta­mente per accom­pa­gnare ideal­mente i visi­ta­tori lungo que­sto sen­tiero. Sono stati creati una serie di envi­ron­ment che ani­mano lo spa­zio della gal­le­ria e in cui sono col­lo­cati mate­riali ine­diti ritro­vati negli archivi del Getty Research Insti­tute. Si tratta dell’immagine di una barba rove­sciata, parte dello score dei 18 Hap­pe­nings in six parts (1959) e il video di un hap­pe­ning inti­to­lato Sca­les (1971), entrambe opere di Kaprow; e, infine, la per­for­mance del Living Thea­tre (1969), rea­liz­zata presso la disco­teca Space Elec­tro­nic di Firenze. La disco­teca pro­get­tata dal gruppo 9999 è un luogo caro ai supe­rar­chi­tetti, poi­ché inteso quale spa­zio di coin­vol­gi­mento sen­so­riale atto a ospi­tare ogni tipo di spe­ri­men­ta­zione musi­cale e arti­stica.
Nel libro, che com­pleta il pro­getto di ricerca di Pic­cardo e Wolf, ven­gono poi ana­liz­zati alcuni aspetti non regi­strati dai nume­rosi mate­riali espo­sti. In par­ti­co­lare, gli autori fanno rife­ri­mento ai ter­mini un-artist e anar­chi­tetto, rie­vo­cando le pro­vo­ca­to­rie defi­ni­zioni di Kaprow, Matta Clark e Pet­tena.
Non si trat­tava sem­pli­ce­mente di sta­bi­lire un con­tatto con­sa­pe­vole con gli spazi della natura o della città, ribal­tan­done la per­ce­zione, ma di rifon­dare com­ple­ta­mente ambiti disci­pli­nari che sem­bra­vano inca­paci di stare al passo con la società.

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