Jobs act, regge l’accordo nel Pd
Civati si arrende: in pochi diremo no Tsipras: è barbarie, resistete Renzi: non basta più una piazza per la crisi di governo
di Alessandro Trocino Corriere 17.11.14
ROMA Anche Pippo Civati pare rassegnato: «Temo che la partita sia
chiusa. Ci sarà qualche no, il mio di sicuro, spero quello di Cuperlo,
Fassina e altri». Ma il Jobs act ha la strada spianata. Ieri è
cominciato l’esame in commissione Lavoro della Camera dei 480
emendamenti: l’obiettivo è chiudere entro giovedì e arrivare in Aula
venerdì. Matteo Renzi non recede e da Sydney incalza: «Basta con la
filosofia del piagnisteo». Sulle proteste spiega: «Rispetto chi scende
in piazza pacificamente, ma non sono più i tempi in cui bastava fare una
manifestazione per mettere in crisi un governo. La realtà convincerà
anche i più scettici ad arrendersi». Il premier accelera anche sulla
legge elettorale e ironizza: «Se per eleggere il Papa fosse stata usata
la legge elettorale del 2013, a San Pietro sarebbero usciti in quattro
vestiti di bianco dicendo: ho vinto io».
L’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, dopo le dure critiche dei
giorni scorsi, chiarisce la rotta: «La fiducia si vota, non possiamo
pensare che questo Paese possa andare in una fase di instabilità».
Quanto all’opposizione, spiega, «non bisogna immaginare queste aree come
una falange, è un’iniziativa in costruzione». Naturalmente la minoranza
dem non ha intenzione di smobilitare, come dimostrano gli attacchi di
Civati: «Non voto cose che ammiccano a destra, all’elettorato di
Berlusconi». A dar manforte alla sinistra pd arriva anche Alexis
Tsipras, leader del partito greco Syriza, che nel suo intervento a
Firenze alla giornata di incontri della sinistra, attacca il segretario
italiano: «Ue e Italia sono in pericolo a causa di un dogmatismo dovuto
all’austerità che può essere un suicidio, e sono messe in pericolo dal
fatto che il vostro premier è tornato indietro, mettendo nell’agenda
neoliberista i rapporti di lavoro». Tsipras invita all’unità e alla
lotta: «Radicalizzazione a sinistra vuol dire far proprio un programma
politico di resistenze contro la barbarie neoliberista. Questo lo
vediamo in Spagna, Grecia, Irlanda e anche in Italia, con le proteste
come lo sciopero generale della Cgil».
Ma, intanto, si procede con il Jobs act alla Camera. Cesare Damiano,
presidente pd della commissione, tra i protagonisti della mediazione, è
ottimista: «Se tutto fila liscio, si va spediti». Quanto ad altri
aggiustamenti: «Se c’è qualcosa che non mette in discussione l’impianto
della delega, si fa». Terreno minato, perché l’Ncd sembra intenzionato a
resistere, come spiega il capogruppo in commissione Sergio Pizzolante:
«I contenuti dell’articolo 18 sono quelli concordati tra il ministro
Poletti e il senatore Sacconi e non quelli interni al Pd. Le modifiche
al testo del Senato possono riguardare solo limitatissimi casi
assimilabili ai licenziamenti discriminatori». Riferimento alla novità
(rispetto al Senato) del reintegro per i licenziamenti disciplinari.
Fattispecie che sarà dettagliata solo nei decreti delegati (emanati dal
governo, dopo il via libera dato dal Parlamento con la legge delega).
Ieri è stato respinto un emendamento M5S che chiedeva la soppressione
della delega, con 23 voti contrari e 15 a favore. In commissione, il
governo conta su una maggioranza di 26 membri su 46 (21 pd, 2 ncd e 3
centristi). I 5 Stelle hanno contestato la maggioranza: Claudio
Cominardi ha definito i parlamentari «burattini nelle mani di Renzi».
Landini: “Renzi e i suoi non rispettano i lavoratori e così perdono elettori. Ma io non farò il politico”
Il leader Fiom: “Non manco di riguardo alle Camere, come dice il ministro Poletti. Semmai lo fa il governo che chiede di votare una legge delega in bianco per la riforma dei licenziamenti. Nessuno era arrivato a tanto” “I parlamentari rappresentano il loro partito, non possono sostituirsi al sindacato, anche se ex-sindacalisti Condanno le minacce a Taddei, ma non accetto lezioni da chi per primo non rispetta la democrazia”intervista di Luisa Grion Repubblica 17.11.14
ROMA A chi gli chiede di entrare in politica risponde che lui, segretario generale della Fiom, fa il sindacalista, ma «di un sindacato che rivendica un ruolo politico». E a chi lo accusa di non rispettare il lavoro del Parlamento così replica: «Non sono io, Maurizio Landini, a non rispettarlo. E’ il governo che non lo rispetta chiedendo di votare una delega in bianco sulla riforma del lavoro: nessun altro esecutivo era mai arrivato a tanto». In lui molti vedono la figura di riferimento della sinistra critica e la rilevazione Demos pubblicata da Repubblica assicura che mentre la popolarità del premier Renzi è in calo, la sua aumenta.
Landini, i sondaggi sono dalla sua parte, quando accetterà l’invito di chi la vuole in politica?
«Precisando che i sondaggi possono anche sbagliare - si è visto cosa hanno combinato sulle elezioni - rispondo che io non mi chiamo Matteo e non mi candido. Il mio mestiere è nel sindacato, un sindacato che il governo vorrebbe sminuire e confinare nelle aziende, ma che invece ha un ruolo politico e deve poter dire la sua, sul lavoro e non solo».
Non crede che, arrivati ad un certo punto, non ci si possa più tirare indietro? In lei molti vedono l’erede di Cofferati, che in politica ci è entrato.
«Abbiamo le nostre regole: chi ha fatto il segretario generale nella Cgil, nel sindacato non può più avere altri incarichi. Io sono segretario della Fiom, la mia strada non è finita».
Si sta proponendo come leader della Cgil?
«Io non mi propongo per nulla, non mi sono mai proposto, semmai ho accettato. La mia preoccupazione non è per cosa farò io fra tre anni, ma per cosa il governo sta facendo a questo Paese».
Qui secondo il ministro Poletti lei esagera, dice che non ha rispetto per il latrattare voro che il Parlamento ha fatto sul Jobs act.
«Non sono io a non avere rispetto. Siamo in presenza di un governo che chiede una delega in bianco di dubbia costituzionalità e che di fatto esenta il Parlamento del suo ruolo. Un governo che vuole cambiare il lavoro senza discuterne con le organizzazioni sindacali che rappresentano milioni di lavoratori, e senza tener conto di chi ha scioperato. Un governo che non è stato eletto dal popolo su questo programma, e un partito di maggioranza che non ha ancora capito che chi lo ha votato ora è contro di lui».
Fra chi la critica, c’è anche quella minoranza del Pd che il 25 ottobre era in piazza con Fiom e Cgil e che ora ha trovato una mediazione sulla riforma del lavoro. Non vi hanno rappresentato bene?
«Il punto è questo: il Parlamento non può per noi. I parlamentari rappresentano il loro partito, non possono sostituirsi al sindacato, anche se ex-sin dacalisti. E mi dispiace che non abbiano ancora capito che votando una delega in bianco, votano contro il Parlamento stesso. Noi invece rappresentiamo i lavoratori e lo dimostra il fatto che in piazza con noi e a scioperare con noi non c’erano solo gli iscritti e i simpatizzanti della Fiom e della Cgil: rifiutarci il confronto vuol dire ledere un principio della Costituzione».
Il premier non vi ha già risposto dicendo che il governo ascolta tutti e poi decide da solo?
«Renzi non solo non ascolta e non discute, ma non ha nemmeno capito che non ha più il consenso di chi lo ha votato. La verità e chi fa politica non capisce più cosa stia succedendo nel Paese: come non preoccuparsi del fatto che la metà degli italiani non vota più? Se metà del sindacato non sciopera io mi preoccupo».
Ecco parliamo di sciopero: stasera, sulla pubblica amministrazione, ci sarà un confronto a Palazzo Chigi fra governo e sindacati. Anche se riferita agli statali c’è stata un’apertura, non potevate aspettare l’esito dell’incontro prima di indicare la data del 5 dicembre?
«Qui si parla di un voto di fiducia sul Jobs act ancora prima che sulla legge di Stabilità, abbiano aspettato anche troppo».
Perché ha detto che la mediazione sull’articolo 18 è una presa in giro?
«Perché spiega alle imprese per filo e per segno, facendo gli esempi, come licenziare in modo ingiusto senza rischiare il reintegro e cavandosela con pochi soldi».
Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, e fra gli ideatori di quella mediazione, è sotto tutela. Che effetto le fa?
«Purtroppo in questo Paese c’è sempre un ritorno fra confitto sociale e minacce terroristiche. Condanno qualsiasi forma di violenza che leda la libertà di esprimersi e la democrazia e ricordo il ruolo che i lavoratori hanno avuto nella lotta al terrorismo. Ma non accetto lezioni da chi per primo questa democrazia non la rispetta, rifiutando il confronto e non lasciando spazio al conflitto di esprimersi».
Il leader Fiom: “Non manco di riguardo alle Camere, come dice il ministro Poletti. Semmai lo fa il governo che chiede di votare una legge delega in bianco per la riforma dei licenziamenti. Nessuno era arrivato a tanto” “I parlamentari rappresentano il loro partito, non possono sostituirsi al sindacato, anche se ex-sindacalisti Condanno le minacce a Taddei, ma non accetto lezioni da chi per primo non rispetta la democrazia”intervista di Luisa Grion Repubblica 17.11.14
ROMA A chi gli chiede di entrare in politica risponde che lui, segretario generale della Fiom, fa il sindacalista, ma «di un sindacato che rivendica un ruolo politico». E a chi lo accusa di non rispettare il lavoro del Parlamento così replica: «Non sono io, Maurizio Landini, a non rispettarlo. E’ il governo che non lo rispetta chiedendo di votare una delega in bianco sulla riforma del lavoro: nessun altro esecutivo era mai arrivato a tanto». In lui molti vedono la figura di riferimento della sinistra critica e la rilevazione Demos pubblicata da Repubblica assicura che mentre la popolarità del premier Renzi è in calo, la sua aumenta.
Landini, i sondaggi sono dalla sua parte, quando accetterà l’invito di chi la vuole in politica?
«Precisando che i sondaggi possono anche sbagliare - si è visto cosa hanno combinato sulle elezioni - rispondo che io non mi chiamo Matteo e non mi candido. Il mio mestiere è nel sindacato, un sindacato che il governo vorrebbe sminuire e confinare nelle aziende, ma che invece ha un ruolo politico e deve poter dire la sua, sul lavoro e non solo».
Non crede che, arrivati ad un certo punto, non ci si possa più tirare indietro? In lei molti vedono l’erede di Cofferati, che in politica ci è entrato.
«Abbiamo le nostre regole: chi ha fatto il segretario generale nella Cgil, nel sindacato non può più avere altri incarichi. Io sono segretario della Fiom, la mia strada non è finita».
Si sta proponendo come leader della Cgil?
«Io non mi propongo per nulla, non mi sono mai proposto, semmai ho accettato. La mia preoccupazione non è per cosa farò io fra tre anni, ma per cosa il governo sta facendo a questo Paese».
Qui secondo il ministro Poletti lei esagera, dice che non ha rispetto per il latrattare voro che il Parlamento ha fatto sul Jobs act.
«Non sono io a non avere rispetto. Siamo in presenza di un governo che chiede una delega in bianco di dubbia costituzionalità e che di fatto esenta il Parlamento del suo ruolo. Un governo che vuole cambiare il lavoro senza discuterne con le organizzazioni sindacali che rappresentano milioni di lavoratori, e senza tener conto di chi ha scioperato. Un governo che non è stato eletto dal popolo su questo programma, e un partito di maggioranza che non ha ancora capito che chi lo ha votato ora è contro di lui».
Fra chi la critica, c’è anche quella minoranza del Pd che il 25 ottobre era in piazza con Fiom e Cgil e che ora ha trovato una mediazione sulla riforma del lavoro. Non vi hanno rappresentato bene?
«Il punto è questo: il Parlamento non può per noi. I parlamentari rappresentano il loro partito, non possono sostituirsi al sindacato, anche se ex-sin dacalisti. E mi dispiace che non abbiano ancora capito che votando una delega in bianco, votano contro il Parlamento stesso. Noi invece rappresentiamo i lavoratori e lo dimostra il fatto che in piazza con noi e a scioperare con noi non c’erano solo gli iscritti e i simpatizzanti della Fiom e della Cgil: rifiutarci il confronto vuol dire ledere un principio della Costituzione».
Il premier non vi ha già risposto dicendo che il governo ascolta tutti e poi decide da solo?
«Renzi non solo non ascolta e non discute, ma non ha nemmeno capito che non ha più il consenso di chi lo ha votato. La verità e chi fa politica non capisce più cosa stia succedendo nel Paese: come non preoccuparsi del fatto che la metà degli italiani non vota più? Se metà del sindacato non sciopera io mi preoccupo».
Ecco parliamo di sciopero: stasera, sulla pubblica amministrazione, ci sarà un confronto a Palazzo Chigi fra governo e sindacati. Anche se riferita agli statali c’è stata un’apertura, non potevate aspettare l’esito dell’incontro prima di indicare la data del 5 dicembre?
«Qui si parla di un voto di fiducia sul Jobs act ancora prima che sulla legge di Stabilità, abbiano aspettato anche troppo».
Perché ha detto che la mediazione sull’articolo 18 è una presa in giro?
«Perché spiega alle imprese per filo e per segno, facendo gli esempi, come licenziare in modo ingiusto senza rischiare il reintegro e cavandosela con pochi soldi».
Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, e fra gli ideatori di quella mediazione, è sotto tutela. Che effetto le fa?
«Purtroppo in questo Paese c’è sempre un ritorno fra confitto sociale e minacce terroristiche. Condanno qualsiasi forma di violenza che leda la libertà di esprimersi e la democrazia e ricordo il ruolo che i lavoratori hanno avuto nella lotta al terrorismo. Ma non accetto lezioni da chi per primo questa democrazia non la rispetta, rifiutando il confronto e non lasciando spazio al conflitto di esprimersi».
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