lunedì 10 novembre 2014

La caduta del Muro di Berlino come "collasso": l'inconsistente ma fortunata favola della dissoluzione pacifica e spontanea del campo socialista


Evviva la democrazia che fa trionfare il bisogno di libertà sul totalitarismo. Oppure: evviva il potere costituente delle moltitudini. E' una tesi del tutto sbagliata - altrimenti il concetto stesso di Guerra Fredda non avrebbe senso alcuno - ma molto diffusa. Non tanto tra gli avversari ma soprattutto tra coloro che, a sinistra, gioirono e gioiscono della Restaurazione perché pensano che si siano aperte straordinarie possibilità. Inutile a questo punto lamentarsi dello smantellamento del Welfare: teniamoci la quel che abbiamo [SGA].

Mary Elise Sarotte: The Collapse: The Accidental Opening of the Berlin Wall, Basic Books

Risvolto
On the night of November 9, 1989, massive crowds surged toward the Berlin Wall, drawn by an announcement that caught the world by surprise: East Germans could now move freely to the West. The Wall—infamous symbol of divided Cold War Europe—seemed to be falling. But the opening of the gates that night was not planned by the East German ruling regime—nor was it the result of a bargain between either Ronald Reagan or George H.W. Bush and Soviet leader Mikhail Gorbachev. It was an accident.
In The Collapse, prize-winning historian Mary Elise Sarotte reveals how a perfect storm of decisions made by daring underground revolutionaries, disgruntled Stasi officers, and dictatorial party bosses sparked an unexpected series of events culminating in the chaotic fall of the Wall. With a novelist’s eye for character and detail, she brings to vivid life a story that sweeps across Budapest, Prague, Dresden, and Leipzig and up to the armed checkpoints in Berlin.
We meet the revolutionaries Roland Jahn, Aram Radomski, and Siggi Schefke, risking it all to smuggle the truth across the Iron Curtain; the hapless Politburo member Günter Schabowski, mistakenly suggesting that the Wall is open to a press conference full of foreign journalists, including NBC’s Tom Brokaw; and Stasi officer Harald Jäger, holding the fort at the crucial border crossing that night. Soon, Brokaw starts broadcasting live from Berlin’s Brandenburg Gate, where the crowds are exulting in the euphoria of newfound freedom—and the dictators are plotting to restore control.


«I meriti Usa? Sopravvalutati E con l’Urss si sbagliò tutto»di Ennio Caretto Corriere 10.11.14
Il titolo del libro, «Il collasso: l’accidentale apertura del muro di Berlino» (traduzione letterale), è intrigante, ma il contenuto lo è ancora di più. Il muro cadde, scrive l’autrice, la storica Mary Elise Sarotte, in seguito non all’intervento del presidente americano Ronald Reagan come creduto comunemente negli Stati Uniti ma agli errori dei leader comunisti tedeschi e alla rivolta dei berlinesi dell’Est. L’Occidente contribuì alla sua caduta, «ma essa fu frutto innanzitutto della complessa interazione tra Gorbaciov, gli incompetenti vertici della Germania orientale e l’opposizione interna». 


Che cosa avvenne esattamente a Berlino est quella notte di venticinque anni fa? 

«Che un membro del Politburo, Günter Schabowsky, un incapace, annunciò a una conferenza stampa televisiva serale che tutti i tedeschi orientali sarebbero stati subito liberi di viaggiare all’estero. Non era vero, ma i berlinesi si diressero in massa al muro e nessuno poté fermarli. La Germania dell’Est era praticamente in rivolta e il partito era impotente. Per la prima volta a Lipsia un mese prima la polizia aveva rinunciato a usare la forza contro una dimostrazione di protesta perché davvero enorme». 
Quale fu il merito dell’America nella caduta del muro? 
«Quello di avere contribuito a crearne i presupposti nel corso della guerra fredda appoggiando l’Europa occidentale e i dissidenti nell’impero sovietico e fornendo un modello di democrazia e di crescita economica ai Paesi comunisti. Ma la caduta del muro colse di sorpresa l’intero Occidente proprio perché non ne fu il diretto artefice. Lo ricordo bene perché allora studiavo e vivevo a Berlino». 
Ho sentito rivolgerle accuse di revisionismo storico… 
«Non mi considero una storica revisionista ma un’accademica. Ho scritto questo libro perché da anni quando presentavo il mio precedente libro ( «1989 , lo sforzo per creare l’Europa del dopo guerra fredda», ndr ), il pubblico mi chiedeva come mai fosse crollato il muro di Berlino. Mi resi conto che la storiografia concernente la fine della guerra fredda e il periodo successivo era in prevalenza memorialistica». 
Lei che operazione ha fatto? 
«Ho attinto agli archivi e ai documenti desecretati di recente da sei Paesi: le due Germanie, la Russia, l’America, l’Inghilterra e la Francia. Le rivoluzioni sono come le esplosioni: l’esplosivo non basta, ci vuole il detonatore. E il detonatore è locale. Noi americani tendiamo ad agire da soli e questo non lo capiamo. Quando andammo in Iraq nel 2003 qualcuno coniò lo slogan “da Berlino a Bagdad”. Non fu affatto la stessa cosa». 
Nel libro «1989» lei si concentra sugli eventi di quell’anno e del ’90 in Europa. 
«Sì, e il motivo è che perdemmo una grande occasione per costruire non solo una nuova Europa ma altresì un nuovo ordine mondiale. Anche allora esaminai molti documenti e giunsi a una conclusione diversa da quella generalmente accettata. L’amministrazione Bush senior collaborò con Gorbaciov soltanto a parole, ma in realtà emarginò la Russia dall’Europa. Fu un capolavoro di politica e diplomazia, ma certi successi contengono i semi di future crisi, quella ucraina per intenderci, come scrisse nelle sue memorie il segretario di Stato James Baker». 
Non avrebbero potuto rimediarvi Bill Clinton e Bush junior? 
«È una domanda a cui non so rispondere: la maggioranza dei loro documenti non è ancora desecretata. Posso però dire che non vi rimediarono e che con Putin non si ripresenterà un’occasione come quella di 25 anni fa. Nella sua testa, l’Urss non è morta, è morto il comunismo, ma la Russia mantiene la propria sfera d’influenza». 
Tempo fa lei scrisse che la fine delle due Germanie plasmò la posizione di Putin verso l’Occidente 
«Quando il muro di Berlino crollò e con esso crollò il comunismo Putin era a Dresda quale ufficiale del Kgb. Penso che non abbia mai superato il trauma della sconfitta di tutto ciò in cui credeva. È questo che preoccupa la cancelliera Merkel nella crisi ucraina. Lei può parlare in russo a Putin, che può parlarle in tedesco. Ma non sa se riuscirà a strappargli una soluzione politica». 

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