domenica 9 novembre 2014

La migrazione negli Usa dei matematici sovietici dopo la sconfitta dell'Urss

Cocktail di migrazioni felici
Uno studio sulla fine dell'Urss mostra come il trasferimento di molti matematici russi negli Usa provocò uno shock: la comunità si arricchì e al tempo stesso ne fu spiazzata

di Giorgio Barba Navaretti Il Sole Domenica 9.11.14

Il crollo del blocco sovietico ebbe un imprevisto effetto negativo: il calo della produttività scientifica dei matematici americani. Dopo il 1992 un migliaio di matematici dell'ex Unione Sovietica emigrò e in gran parte negli Stati Uniti. Fino a quel momento avevano vissuto dietro rigide barriere con pochissimi contatti con la comunità scientifica internazionale. Qualunque scambio con colleghi americani o europei era letto e filtrato dalle autorità, e in alcuni periodi della guerra fredda era elevato il rischio di venire imprigionati. Dunque, la matematica sovietica si sviluppò in direzioni in gran parte diverse dalla ricerca occidentale. L'arrivo dei ricercatori sovietici, alcuni molto bravi, arricchì molto il panorama scientifico americano che si sviluppò in ambiti e direzioni nuove. Ma ebbe allo stesso tempo l'effetto di impoverire la comunità scientifica locale. Soprattutto coloro che si occupavano di temi vicini a quelli dei colleghi ex-sovietici, vennero a poco a poco messi ai margini dell'attività scientifica. Gradualmente si trasferirono in istituzioni di profilo più basso e anche la ricerca dei loro allievi non ebbe gran fortuna. In sostanza, ci fu un forte spiazzamento dei matematici autoctoni.
Questa è la conclusione di un'approfondita analisi di uno dei massimi esperti mondiali di migrazioni, George Borjas e del suo co-autore Kirk Doran, costruita su una base di dati colossale che contiene informazioni sulle pubblicazioni matematiche degli ultimi settant'anni. Risultato molto interessante perché apparentemente (e vedremo dopo perché apparentemente) in contraddizione con l'evidenza di molti altri lavori precedenti e successivi, dove si dimostra come l'influsso di immigrati nella comunità scientifica occidentale abbia avuto un impatto estremamente positivo sull'output della ricerca e sulla crescita in generale. Soprattutto è sorprendente proprio relativamente al l'emigrazione degli scienziati russi. Questo è in effetti (con gli europei durante il nazismo e la Seconda guerra mondiale) uno dei pochi casi di trasferimento in massa di una comunità scientifica di grande qualità. Quasi un esperimento naturale che genera uno shock esterno e osservabile e dunque studiato da più parti. Ad esempio l'emigrazione russa in Israele è stata fondamentale per accelerare la specializzazione economica di quel Paese verso le tecnologie avanzate. Probabilmente oggi Israele non sarebbe una delle patrie mondiali dell'high tech se non ci fosse stato negli anni Novanta l'arrivo in massa di scienziati e personale altamente qualificato dall'Unione Sovietica in rovina.
Ovviamente l'impatto positivo degli immigrati altamente qualificati non è stato osservato solo nel caso russo. Un saggio uscito da poco nei working paper del National Bureau of Economic Research (Nber), dell'economista italiano Giovanni Peri (trapiantato all'Università della California a Davis) e dei suoi co-autori, Kevin Shih e Chad Sparber, dimostra come il salario e la produttività dei lavoratori qualificati e non nelle città americane sia stato, tra il 1990 e il 2010 fortemente influenzato dall'influsso di immigrati con un'elevata qualifica scientifica e tecnologica. L'influsso di questi immigrati ha permesso lo sviluppo di attività ad alta tecnologia che hanno garantito la prosperità di alcune città e non di altre. Risultato questo, in linea con i lavori più noti di un altro cervello italiano in America, Enrico Moretti (si veda il Domenicale del 29 settembre 2013) che dimostra chiaramente come la specializzazione in attività high tech abbia determinato il destino e la prosperità delle città americane.
E ancora, un altro saggio del Nber di un altro grande esperto di migrazioni, Richard Freeman, dimostra come la collaborazione tra scienziati di origini etniche diverse produca risultati molto migliori di quella tra studiosi della stessa etnia. Freeman studia oltre 2,5 milioni di paper pubblicati da autori residenti negli Stati Uniti. Nonostante le collaborazioni tra individui della stessa etnia siano più frequenti di quanto predirebbe la loro numerosità, i risultati (in termini di qualità e di impatto) delle loro pubblicazioni è inferiore. Insomma la diversità etnica migliora in modo molto significativo l'esito della ricerca.
Dunque come riconciliare questi risultati, ormai consolidati in letteratura e che continuano a essere confermati dalle pubblicazioni più recenti, con lo spiazzamento dei matematici americani indotto dai russi di Borjas?
Molto semplice. La diversità etnica favorisce la produzione scientifica attraverso due canali: la crescente eterogeneità delle idee e degli approcci e la concorrenza. I matematici americani spiazzati dai russi probabilmente non erano comunque di qualità molto elevata prima del crollo del blocco sovietico. La concorrenza dei nuovi arrivati li ha fatti uscire dal mercato. Esattamente lo stesso effetto di quando un'industria nazionale protetta si apre al commercio estero. L'aumento di produttività avviene anche attraverso la sostituzione di produttori domestici inefficienti con quelli esteri più efficienti. Gli immigrati russi hanno sì marginalizzato i loro colleghi americani, ma hanno migliorato la ricerca matematica negli Stati Uniti nel suo complesso.
E siccome la ricerca beneficia della prossimità fisica, scienziati altamente qualificati, provenienti da ogni parte del mondo, si concentrano in poche istituzioni e in poche città, che grazie a loro prosperano.
Il cerchio, insomma si chiude con una lezione anche per noi: poche istituzioni di alta qualità ma aperte a ricercatori di ogni parte del mondo.

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