sabato 15 novembre 2014

La seconda parte del romanzo storico di Hilary Mantel sulla Rivoluzione francese

Hilary Mantel: Un posto più sicuro. La storia segreta della rivoluzione, parte seconda, Fazi

Risvolto
Dopo la caduta della Bastiglia, in una Parigi divenuta campo di battaglia su cui scorre il sangue dei linciaggi e delle esecuzioni sommarie, la giovane generazione di rivoluzionari si trova all’improvviso sulla soglia della fama e del potere: Camille Desmoulins la cui effigie è stampata sui piatti di porcellana e sui ventagli, impegna la sua penna caustica per incitare alla ribellione; Danton, acclamato padre della patria, viene eletto al servizio della città e cerca di imporre le leggi rivoluzionarie; Robespierre, amato dagli strati popolari, continua imperterrito la sua opera, circondato sia dallo sconcerto degli amici sia dalla più profonda diffidenza dei colleghi deputati per il suo disprezzo del denaro e la fede incrollabile nelle proprie idee.
Né il corpo dei regnanti né i luoghi in cui abitano son più sacri.
La tanto agognata repubblica è sempre più vicina.
Ma nessuno sa ancora quale sarà il prezzo da pagare. 



“Per cambiare il mondo servono i Robespierre” 

Dopo la Bastiglia, sangue, ghigliottine, ideali, complotti: “Dalle sofferenze di quei giorni, la gioia della nostra libertà”

Michela Tamburrino Tuttolibri 15 11 2014

Se Hilary Mantel non fosse la grande scrittrice che è, sarebbe l’incarnazione perfetta di un’eroina contemporanea, dunque materiale privilegiato per un romanzo. Uno dei suoi romanzi. E la storia di Mantel, infarcita di dolori, abbandoni, viaggi, ritorni, malattie, eccessive magrezze ed eccessive grassezze, una famiglia povera e scombinata, e infine la fama, è una storia da antologia. Quanto la sua scrittura che ha sperimentato con successo quella forma ibrida di narrativa storica, non saggistica e non narrativa, una terra di pionieri dove la legge è lì per essere violata. Ma anche un porto sicuro perché quando si è avventurata nel contemporaneo dando del manichino a Kate Middleton e fanta-ipotizzando l’assassinio di Margareth Thatcher, ad essere decapitata è stata lei, Hilary Mantel. Fraintendimento dei detrattori è stato il verdetto e per tanto clamore la Nostra si è pure divertita. Giusto aplomb della più grande scrittrice inglese vivente, vincitrice di due Man Booker Prize per Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia (che fanno parte della trilogia dedicata alla dinastia dei Tudor) per Time, tra le 100 donne più influenti del 2013. È uscito da pochi giorni in l’Italia il secondo capitolo della sua storia sulla rivoluzione francese: Un posto più sicuro. La storia segreta della rivoluzione. Seconda parte. Un potente affresco dell’evento fondante della società moderna. Siamo alla caduta della Bastiglia, in una Parigi divenuta un campo di battaglia, le giovani generazioni di rivoluzionari si trovano alle soglie della fama e del potere. Ci sono Camille Desmoulins che con la sua penna sprona alla ribellione, (tra i più cari alla Mantel, il più avventato, ambiguo e arguto, facile da immaginare in quanto scrittore) Danton, acclamato padre della patria, Robespierre amato dal popolo e guardato con sconcerto dagli amici. La Repubblica tanto attesa è sempre più vicina. Ma ancora nessuno sa quale prezzo si dovrà pagare. 
I rivoluzionari che tanto piacciono alla Mantel, giovani, spinti dalle province alla capitale proprio come lei e come lei forniti di estrema ambizione, vengono raccontati come in sequenze cinematografiche a distanza ravvicinata. L’autrice è lì con loro e porta il lettore in quello stesso tempo.
Signora Mantel, perché un’inglese scrive di Rivoluzione francese?
«Perché quelli sulla Rivoluzione francese sono stati i primi libri che ho letto, presi in prestito in biblioteca, uno dopo l’altro. Poi cominciai a raccogliere appunti. Dopo un po’ mi chiesi: “Che cosa sto facendo?” Subito mi risposi: “Sto scrivendo un libro”».
E che cosa l’affascina tanto di quel passato?
«Ho iniziato come scrittrice di narrativa storica e ho scritto le prime due versioni de La storia segreta della rivoluzione a vent’anni, prima di ogni altra cosa. I miei romanzi storici sono incentrati su persone vere, che voglio capire e conoscere bene. Ciononostante so che ci si muove in un terreno misterioso, che i documenti vanno persi, che i testimoni sono faziosi. In quest’area i biografi non possono muoversi legittimamente. I romanzieri sì; riempiamo i buchi basandoci su informazioni il più possibile attendibili. Un lavoro che richiede un appetito inesauribile di fatti e una fame insaziabile di congetture».
Ha dichiarato di provare più simpatia per Robespierre che per Danton. Perché?
«Cerco di non avere opinione sui personaggi quando comincio. All’inizio non li giudico, li guardo, studio quello che fanno e che dicono. Il mio primo giudizio si basa sui testi letti, perciò è convenzionale. Di solito Danton è il personaggio più affascinante. Ma la storia mi ha fatto cambiare idea. E Robespierre è di gran lunga il più interessante dei due».
Si può affermare che sia la storia francese la sua preferita?
«I francesi hanno avuto rivoluzioni migliori. Ma solo gli inglesi hanno un re che si è sposato sei volte e ha fatto uccidere due delle sue mogli».
Come descriverebbe in sintesi questo romanzo?
«Tre giovani uomini collocati nel mondo che hanno l’intenzione di cambiarlo. Al centro della rivoluzione vivono più ebbrezza e sofferenza in cinque anni di quanto la maggior parte della gente non faccia in una vita intera. E la loro sofferenza è il nostro guadagno».
E adesso?
«Sto lavorando al terzo romanzo della trilogia sui Tudor e su Thomas Cromwell ma ho anche progetti più contemporanei. Non faccio distinzioni. Tutto il mio lavoro è politico: questa è la sua natura più profonda». 

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