mercoledì 12 novembre 2014

La tela del ragno: Moro e il Pci

Moro e il PCI
Ha ancora un certo credito la leggenda secondo la quale l'incontro di Berlinguer con Moro, di Peppone con Don Camillo, avrebbe comportato il compimento della democrazia in Italia nel solco della Costituzione e un progresso politico netto, con una definitiva legittimazione dei comunisti. Per questo, si dice, fu fatto in qualche modo saltare, tirando fuori dal cilindro le BR o usando i brigatisti come utili idioti.
Sull'idiozia delle Br non ci sono dubbi, cosi come sul fatto che siano state utilizzate nel contesto di un intreccio di trame e contro-trame. Ma questo utilizzo, sebbene chiaramente rivolto a dare una torsione ancor piu regressiva a quella crisi, non ha certamente arrestato nessun processo progressivo. In realtà erano anni nei quali il ciclo storico-politico si era già invertito: la strategia dell'attenzione e la politica delle alleanze avevano perciò un significato molto diverso da quello dei primi anni della Repubblica e di Togliatti, quando le classi subalterne e il loro partito erano in una fase d'ascesa. Quando invece la direzione strategica della parabola è ormai discendente, la distanza tra il compromesso e la perdita dell'autonomia è breve. E questo è quanto è accaduto: facendosi forte delle circostanze oggettive, il ragno ha avvolto la sua preda nel bozzolo mentre nel seno del vecchio Pci maturava la tendenza alla riduzione del danno. A quel punto la catastrofe era già avvenuta e a poco sarebbe servito il colpo di coda dell'ultimo Berlinguer [SGA].

Giovanni Mario Ceci: Moro e il Pci.  La strategia dell'attenzione e il dibattito politico italiano (1967-1969), Carocci 

Risvolto
Apertura ai comunisti? Possibile ingresso del Partito comunista italiano nella maggioranza di governo? Instaurazione di una Repubblica conciliare? Sul finire degli anni Sessanta del Novecento questi interrogativi animarono e in alcuni momenti dominarono il dibattito politico nel nostro paese. Della discussione che si sviluppò intorno alla possibilità di un nuovo corso nei rapporti con i comunisti i protagonisti principali furono indubbiamente Aldo Moro e la Democrazia cristiana. Sulla base di una vasta documentazione, italiana e statunitense, il volume ricostruisce la politica di Moro e della dc verso il pci tra il 1967 e il 1969, fornendo un quadro analitico anche delle reazioni degli altri partiti, dei commenti della stampa e dell’atteggiamento degli Stati Uniti di fronte alle posizioni espresse dai democristiani e, più in generale, alla “questione comunista”.


Aldo Moro, il timido interprete di un’epoca 
Alessandro Santagata, il manifesto 12.11.2014
Dopo la fine della «repub­blica dei par­titi», stu­diare la sto­ria poli­tica del secondo dopo­guerra signi­fica con­fron­tarsi con una biblio­gra­fia ormai molto ricca e impone di riflet­tere sulle base delle nuove acqui­si­zioni docu­men­ta­rie. Da entrambi i punti di vista, l’ultimo libro di Gio­vanni Mario Ceci (Moro e il Pci, Carocci, pp. 192, euro 20) si può con­si­de­rare una ricerca feli­ce­mente riu­scita. Al cen­tro della rico­stru­zione, forte di una solida inchie­sta su fonti inter­na­zio­nali, è la seconda metà degli anni Ses­santa nel pieno della crisi del centro-sinistra. A lungo ci si è con­cen­trati su que­sto deli­cato pas­sag­gio sto­rico met­tendo in luce come l’inizio della crisi dei par­titi si leghi all’incapacità dei gruppi diri­genti di inter­pre­tare la tra­sfor­ma­zione eco­no­mica, sociale e cul­tu­rale del periodo. 

Aldo Moro – spiega Ceci – non faceva parte di que­sta schiera. In quest’ottica si deve leg­gere anche la sua rela­zione con il Pci : accan­to­nando la mito­lo­gia del «com­pro­messo sto­rico» e indi­vi­duando i pas­saggi di un per­corso tutt’altro che lineare. Ancora nel giu­gno 1967 Moro era pre­sen­tato in un memo­ran­dum del Dipar­ti­mento di Stato sta­tu­ni­tense come un «dichia­rato anti­co­mu­ni­sta». Circa due anni dopo, Henry Kis­sin­ger comu­nica al pre­si­dente Nixon il peri­colo di un ingresso del Pci nell’area di governo. Cosa era suc­cesso in quel breve lasso di tempo? Le rispo­ste ovvia­mente sono tante e non tutte ven­gono inve­sti­gate in que­sto lavoro: si pensi, per esem­pio, agli effetti del Con­ci­lio Vati­cano II, tali da spin­gere Kis­sin­ger a par­lare, seb­bene «con pru­denza», di una caduta del fronte anti-comunista soste­nuto dalla Chiesa. Cer­ta­mente, un ruolo deci­sivo lo aveva avuto la deci­sione di Moro di lan­ciare la sua «stra­te­gia dell’attenzione» verso il Pci. Di que­sta ini­zia­tiva il volume segue gli svi­luppi fin dall’origine (il «discorso-bomba» del novem­bre 1968) e con lo sguardo attento agli eventi che ave­vano spinto in que­sta dire­zione: la crisi rifor­mi­stica del centro-sinistra e lo scop­pio della con­te­sta­zione stu­den­te­sca. La disa­mina della posi­zione assunta da Moro nei con­fronti del ’68 rap­pre­senta uno dei punti di mag­giore interesse. 
In un con­te­sto poli­tico in cui i grandi par­titi sareb­bero stati pre­sto tra­volti dall’urto delle piazze la sua figura si distin­gue per la capa­cità di «cogliere la rile­vanza (e la novità) della pro­te­sta e di inter­ro­garsi su di essa». A dif­fe­renza di chi nella Dc denun­cia vio­lenza del movi­mento, Moro pre­fe­ri­sce enfa­tiz­zare i nuovi valori della gene­ra­zione del baby boom avver­tendo la pro­fonda insuf­fi­cienza della poli­tica demo­cri­stiana in una società che sem­bra spo­starsi a sinistra. 
Sono que­ste le pre­messe di quella strana for­mula dell’attenzione ai comu­ni­sti che non deve essere con­fusa con l’apertura della «stanza dei bot­toni», ma che punta ad allar­gare le basi popo­lari del con­senso allo Stato e ad otte­nere una col­la­bo­ra­zione orga­nica con l’opposizione. Cen­trale è per Moro anche il valore della «pre­giu­di­ziale anti­fa­sci­sta» che impone di tenere unito il fronte delle forze demo­cra­ti­che con­tro il rischio di un’uscita a destra dalla crisi del sistema. Dopo lo scop­pio della pole­mica attorno al «Piano Solo», i fatti del 12 dicem­bre 1969 con­fer­me­ranno la deci­sione di con­vo­gliare le ener­gie nella difesa della fra­gile demo­cra­zia ita­liana. Che poi die­tro alla bomba di Piazza Fon­tana ci fos­sero anche gli svi­luppi della poli­tica dell’attenzione, Ceci lo lascia intuire quando ana­lizza gli esiti del XII Con­gresso del Pci con l’emergere delle prime affi­nità tra Moro e Ber­lin­guer: una con­ver­genza di fronte alla quale – con­fessa l’ambasciatore sta­tu­ni­tense Ackley – «le leve poli­ti­che nelle nostre mani non sono né lun­ghe né abbon­danti». Di fatto, l’avvio della «stra­te­gia della ten­sione» com­por­terà l’inceppamento del con­fronto pro­gram­ma­tico con il Pci: «un ripie­ga­mento tat­tico» (e con­di­viso da entrambe le parti) «di fronte al rischio di una situa­zione poten­zial­mente incon­trol­la­bile», spiega Ber­lin­guer in Dire­zione. Biso­gnerà atten­dere le ele­zioni del 1975 per un rilan­cio del dia­logo, ma que­sta volta in un qua­dro poli­tico lace­rato dalla crisi eco­no­mica e dal ter­ro­ri­smo. Il per­corso verso la «terza fase», quella del coin­vol­gi­mento effet­tivo del Pci nel governo, risulta quindi tutt’altro che teleo­lo­gico e molto più lungo e acci­den­tato di quanto si tende a pen­sare, tal­volta, anche tra gli sto­rici, cer­cando una scor­cia­toia in cate­go­rie come «con­so­cia­ti­vi­smo» e «trasformismo». 
In una rico­stru­zione che avrebbe meri­tato forse un mag­giore allar­ga­mento della pro­spet­tiva alle dina­mi­che del periodo (la seco­la­riz­za­zione, la disgre­ga­zione delle reti poli­ti­che, ecc), Ceci ci resti­tui­sce la com­ples­sità della poli­tica Moro, inter­prete del pro­prio tempo e, nello stesso tempo, tat­tico e stra­tega. Dallo stu­dio dell’interlocuzione con il Pci, è pos­si­bile seguire la genesi e lo svi­luppo di una pro­po­sta poli­tica che nel suo fal­li­mento ha segnato la sto­ria d’Italia.

Caso Moro, nuovo colpo di scena: il pg accusa di concorso in omicidio il superconsulente Usa di Cossiga"Gravi indizi contro di lui": il procuratore generale chiede ai pm di procedere contro Steve Pieczenik, nel 1978 funzionario del Dipartimento di Stato inviato a Roma per 'gestire' la crisi aperta dal sequestro del presidente della Dc da parte delle Brigate rosse. Accuse anche a un ex ufficiale del Sismi deceduto. "In via Fani servizi segreti italiani e stranieri"
Repubblica 12 11 2014


Moro, l'accusa al consulente Usa
Commissione d'inchiesta. I nuovi elementi scaturiti da un'intervista di Minoli trasmessa l'anno scorso da Radio24 Il Pg Ciampoli: «Per Piecznik gravi indizi di concorso morale in omicidio»di Ivan Cimmarusti, Marco Ludovico Il Sole 13.11.14
«Concorso morale nell'omicidio» dello statista democristiano Aldo Moro. Un'accusa che adesso pende su Steve Piecznik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa ed ex consulente del Governo italiano in materia di terrorismo dal 1978. Molto vicino all'allora ministro dell'Interno, Francesco Cossiga, legato a doppio filo con l'intelligence italiana ma non così ben visto in altri ambienti Dc, come quelli andreottiani, che l'avevano soprannominato «il piccolo Eisenhower», Piecznik sarebbe dunque coinvolto in prima persona nell'omicidio dello statista: ne è convinto il procuratore generale della Corte d'appello di Roma, Luigi Ciampoli.
I risultati dei suoi accertamenti, finiti in una relazione di un centinaio di pagine, sono stati illustrati ieri in una lunga audizione alla commissione parlamentare d'inchiesta. Il documento viene trasmesso all'attenzione del procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, a cui il pg chiede di aprire un'inchiesta su Piecznik. Lo stesso documento è stato inviato anche all'ufficio del giudice per le indagini preliminari cui è stata proposta l'archiviazione della vicenda delle rivelazioni dell'ex ispettore di polizia, Enrico Rossi, secondo cui c'erano due agenti dei servizi segreti a bordo di una moto Honda in via Fani a Roma la mattina del sequestro.
Ma è il ruolo di Piecznik a essere al centro delle polemiche. «Abbiamo trovato del materiale interessante – ha detto Ciampoli – nell'analisi dell'intervista all'esperto americano, Piecznik, realizzata da Gianni Minoli anni fa» e trasmessa l'anno scorso da Radio24. L'obiettivo del consulente americano di Cossiga sarebbe stato quello di attuare una «manipolazione strategica al fine di stabilizzare la situazione dell'Italia». «Abbiamo registrato una autoreferenzialità quasi schizofrenica da parte di questo soggetto – ha chiarito Ciampoli – che rivendica in maniera diretta di aver determinato l'uccisione di Aldo Moro. La strategia era quella di mettere alle strette le Br che avrebbero ucciso il Presidente quando si erano ormai piegate alla esigenza di liberarlo. Un omicidio indotto». La Procura di Roma, tuttavia, ha già avuto modo di interrogare Piecznik di recente. Nell'intervista, trasmessa il 30 settembre 2013 nel corso nel programma radiofonico Mix24 su Radio24, l'ex funzionario Usa aveva sostenuto di aver collaborato con le autorità italiane durante il sequestro Moro. Dichiarazioni che, tuttavia, non ha confermato nel corso del suo interrogatorio per rogatoria internazionale al sostituto procuratore Luca Palamara e agli investigatori dei carabinieri del Ros Lazio, al comando del colonnello Stefano Russo.
C'è dunque una divaricazione obiettiva tra i risultati delle indagini della procura e le conclusioni del procuratore generale della Corte d'appello. Se, da una parte, Ciampoli parla apertamente di un coinvolgimento nell'affaire Moro anche dell'ex servizio segreto militare, il Sismi - con il colonnello Camillo Guglielmi, ormai deceduto - nel rapimento dello statista democristiano, dall'altra parte l'inchiesta penale condotta dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo sta svelando un intricato giro di "bufale" finite anche su noti libri d'inchiesta sulla vicenda. C'è, infatti, un'ipotesi precisa di reato in questa indagine della procura capitolina: la calunnia verso esponenti dello Stato. Perché gli accertamenti del Ros avrebbero dimostrato come sul sequestro e omicidio Moro siano state diffuse informazioni fasulle per fomentare l'ipotesi del "complotto". Uno dei soggetti coinvolti è il brigadiere in congedo della Guardia di finanza, Giovanni Ladu, autoaccusatosi di aver fatto parte dell'organizzazione para-militare Gladio. L'ipotesi dei magistrati inquirenti è che in due diverse occasioni - una delle quali sotto il falso nome di Oscar Puddu - Ladu avrebbe fornito false informazioni all'ex giudice Ferdinando Imposimato, utilizzate dall'ex magistrato per due diversi libri sul caso Moro: «Doveva morire» e il recente «I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia» che ha spinto il Parlamento a nominare la nuova commissione d'inchiesta. Resta comunque aperto un enorme interrogativo su come sono andati realmente i fatti. Come dice il Democratico Gero Grassi, uno dei deputati che ha voluto la commissione d'inchiesta, «le dichiarazioni del procuratore generale danno all'intera vicenda una patina che fino a oggi non c'era. Assumono così una rilevanza peculiare e fanno riflettere».

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