mercoledì 12 novembre 2014

Un contributo della sinistra alla fine della democrazia moderna: «I diritti accumulati nel corso dei “trenta gloriosi” devono essere rinegoziati e resi compatibili con le risorse che un paese produce e di cui dispone nonché con la sua posizione all’interno del mondo globale»

E dire che per altri versi riconosce giustamente il processo di redistribuzione globale della ricchezza [SGA].

Franco Cassano: Senza il vento della storia. La sinistra nell'era del cambiamento, Laterza, pagg. 91, euro 12

Risvolto
A lungo la sinistra ha pensato che nelle sue vele soffiasse il vento della storia. Oggi che tutto è cambiato, che quel vento non le ha riconosciuto alcuna primazia,che anche il suo popolo non è più lo stesso, la sinistra sembra essersi ritratta in una posizione difensiva e risponde con sdegno all’accusa di conservatorismo.
In verità le sue ragioni sono tutt’altro che scomparse, ma per farle rientrare nella partita del mondo è necessario che smettadi sentirsi ospite innocente in un universo cattivo e abbandoni ogni nostalgia. Perché la globalizzazione non è solo una banale restaurazione,non è solo espropriazione e sradicamento, ma un gioco di dimensioni planetarie nel quale nuovi protagonisti si affacciano sulla scena della storia. E a questo gioco largo e imprevedibile, pieno di pericoli e di opportunità, non ci si può sottrarre.

Perché adesso la sinistra deve dire addio al passato

Nel pamphlet “Senza il vento della storia”, Franco Cassano spiega i motivi per cui i progressisti hanno bisogno di lasciarsi alle spalle la nostalgia

di Gad Lerner Repubblica 12.11.14
BEI ricordi, quando il vento della storia fischiava nella giusta direzione... La sinistra poteva inebriarsi, perfino nelle sconfitte, della gratificante sensazione di rappresentare il progresso mondiale, l’innovazione sociale, l’orizzonte cosmopolita nel quale i diversi si riunificavano superando le barriere geografiche, nazionali, religiose. Vero è che l’aspirazione internazionalista («il proletariato non ha nazione») già si infrange nelle trincee insanguinate del 1914. Ma la sconfitta del nazifascismo dà luogo in occidente a un compromesso fra capitalismo e democrazia contraddistinto da alti tassi di sviluppo e espansione dello Stato sociale: sono i “trenta gloriosi” anni della nostra gioventù, con i quali Franco Cassano sollecita la sinistra a smetterla di crogiolarsi. Finiti, superati, e se a noi della sinistra occidentale questa sembra una marcia indietro della storia, non è detto che la pensino così le masse dei paesi emergenti che iniziano a usufruire dello spostamento di quote di ricchezza orchestrato dall’alto. La globalizzazione, cioè, non può essere liquidata come mero progetto di dominio del capitale finanziario e delle multinazionali. La sinistra occidentale deve scendere dalla cattedra e cessare di sentirsi ospite innocente di un mondo cattivo, adesso che non rappresenta più gli ultimi e deve agire controvento. Muovendosi nella scomoda realtà di un pianeta pervaso da conflitti non riconducibili alla sola dimensione economica.
L’ultimo agile saggio di Franco Cassano, Senza il vento della storia. La sinistra nell’era del cambiamento ( Laterza), ha il pregio di affrontare con respiro storico i dilemmi attualissimi del Partito democratico e del governo Renzi. Suppongo che a questa preziosa concretezza lo solleciti anche la sua recente esperienza di parlamentare. Già nel suo precedente libro, L’umiltà del male, di taglio più filosofico, Cassano manifestava la preoccupazione di evitare l’isolamento dei migliori, per non regalare a chi nega il valore della fraternità quella confidenza con le debolezze dell’uomo grazie a cui l’egoismo e il populismo sono diventati senso comune maggioritario.

Di fronte alla nuova dimensione mondiale del capitalismo, abile e veloce nell’incrociare i suoi piani con la spinta dei paesi emergenti, i partiti della sinistra in occidente si ritrovano sulla difensiva. L’istinto li sospinge a ripiegarsi nella mera tutela di diritti e tutele di fasce sociali sempre più ristrette. Minoritarie. Per non venire meno ai propri valori di giustizia sociale e di uguaglianza, rischiano di incappare in una boriosa autosufficienza.
È la ricerca politico-sociale a tornare prioritaria, riconoscendo l’inadeguatezza delle risposte fin qui elaborate per fronteggiare la globalizzazione. Chi s’illude di replicare meccanicamente nel tempo contemporaneo lo schema marxiano della lotta di classe — come fa Toni Negri delineando un conflitto mondiale fra l’Impero e le “moltitudini” degli oppressi — non riuscirà a comprendervi la natura delle guerre militari e commerciali che lacerano il pianeta. Chi delinea una resistenza incentrata su reti Lilliput di comunità locali in difesa dei “beni comuni”, resterà isolato dalle grandi masse alle prese con la scarsità delle risorse.
Cassano ripropone l’insegnamento gramsciano, ovvero la necessità di affidare alla politica, pur in condizioni avverse, l’impresa di costruire un blocco sociale più largo, capace di opporsi all’egemonia del capitale. Non potrà essere più una rete tradizionale di alleanze sociali, dovrà comprendere la nuova dimensione individuale del lavoro autonomo, dell’imprenditorialità, del precariato, dei diritti legati all’ambiente e alla cittadinanza.
E le categorie già tutelate dalla sinistra? Qui il discorso si fa scivoloso ma affascinante.
Rimanere aggrappata alla rappresentanza (decrescente) dei garantiti equivale a una rinuncia perché sinistra vuol dire “molti” e la politica è il luogo dei molti.
Ma allora bisogna anche riconoscere l’impossibilità di una difesa efficace dei diritti che prescinda dalle ragioni della competitività. Cassano chiede alla sinistra di archiviare il patrimonio dei “trenta gloriosi” anni in cui si estese quello Stato sociale le cui garanzie oggi rimangono appannaggio di minoranze organizzate.
Non sarebbe corretto forzare il suo ragionamento dentro alle lacerazioni odierne della sinistra italiana alle prese con la riforma del mercato del lavoro. Eppure riesce difficile ignorarle di fronte a questa sua affermazione: «I diritti accumulati nel corso dei “trenta gloriosi” devono essere rinegoziati e resi compatibili con le risorse che un paese produce e di cui dispone nonché con la sua posizione all’interno del mondo globale».
Poco m’interessa stabilire se gli stimoli di Cassano alla ricerca di un nuovo blocco sociale suonino renziani o antirenziani. Ma certo, come per la Chiesa di Francesco, egli sembra suggerirci che anche per la sinistra del Ventunesimo secolo non possano esistere “valori non negoziabili”.

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