domenica 16 novembre 2014

Le polemiche letterarie e culturali sulla stampa italiana nel Novecento


Carlo Serafini (a cura di): Parola di scrittore. Letteratura e giornalismo nel Novecento, vol. II, Bulzoni, pp 300 € 50


Polemiche in punta di elzeviro Le guerre di carta degli scrittori 
I giornali come pulpito: l’ossessione degli intellettuali italiani per i quotidiani in un volume curato da Carlo Serafini 

Mirella Serri La Stampa 15 11 2014

Ma basta con strips e fumetti vari! Il severo Pietro Citati se la prende con chi mette sullo stesso piano la cultura pop, la narrativa e la poesia. Lo fa approfittando dell’uscita di Apocalittici e integrati di Umberto Eco: «In ogni buona ricerca scientifica la materia studiata sceglie i propri strumenti… Eco, quasi volesse farsi perdonare l’umiltà del proprio argomento, cita senza ragione Husserl, Kant e Baltrusaitis». Il prof Eco parla a vanvera, sentenziava esattamente 50 anni fa lo scrittore da non molto entrato nella schiera dei giornalisti del Giorno. 
Qualche anno dopo il gran pioniere in Italia della striscia di qualità, Oreste del Buono, autore di romanzi ed editore, appena investito del ruolo di giornalista attaccava i giovani sessantottini che per giunta erano gli appassionati fruitori delle sue vignette e li appellava «asini». Lo stesso faceva il poeta Salvatore Quasimodo in quanto polemista dalle colonne di un quotidiano: dopo aver appoggiato in un primo momento il tourbillon giovanile venuto dalla Francia suggerisce ai ventenni di andare dal barbiere, tagliarsi i capelli e riflettere. Che verve gli scrittori nei panni di commentatori sulle pagine di magazine e affini! Si trasformano in centrocampisti che le menano di santa ragione: a raccontarci questo tratto insolito che connota la presenza di romanzieri e poeti su quotidiani e settimanali è il bel libro collettivo a cura dello studioso Carlo Serafini, Parola di scrittore (è in uscita da Bulzoni il secondo volume che giunge fino ai nostri giorni, pp 300 € 50). 
Come mai in Italia, si interroga Serafini, narratori e lirici, a differenza di quanto accade nel Paesi anglosassoni e in Europa, sono accorsi sempre numerosi al richiamo delle più disparate testate? E da dove nasce questa vocazione così presente tra gli intellettuali dello Stivale al contrasto e alla disputa? Uno dei primi a spiegarcene le ragioni è Giuseppe Ungaretti: si autodefinisce giornalista per necessità e parla di «lotta per il pane». Lo scarso riconoscimento economico «tributato agli artisti» ha origine dal fatto che gli abitanti della Penisola valorizzano molto poco i loro scrittori. Il portafoglio vuoto non è però il solo input. Il letterato italiano, sostiene Leonardo Sciascia, che riprende le notazioni del conterraneo Giuseppe Antonio Borgese, si sente trascurato e ha bisogno di un pulpito. Approfitta dei giornali per «consigliare i contemporanei», influenzarli ed educarli. 
Già, proprio così: è in nome di questa «volontà educatrice» che la scrittrice Anna Banti, dal podio di riviste e settimanali mena fendenti, pronta a far strage di molteplici opere, da Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, carente di «sincerità», a Fausto e Anna di Carlo Cassola, ai «balbettii e alle fumisterie» sperimentali di Nanni Balestrini ed Edoardo Sanguineti, fino a Pier Paolo Pasolini. Mentre difende Alberto Arbasino, autore di vaglia, ingiustamente maltrattato da altri letterati-giornalisti: «Arbasino, la smetta: lei non ha nessuna ragione di scoraggiarsi. Voialtri ragazzi avete troppa fretta... Ma Lei è troppo intelligente per non capirlo». 
Antonio Tabucchi, che ha indefessamente occupato i giornali fino a pochi mesi prima della morte, è uno dei casi più esplosivi per i toni accesi delle sue collaborazioni e per il fatto che la sua penna giornalistica non conosce confini (spazia da Le Monde a El País, a testate latino-americane, portoghesi, tedesche). Spara così le sue bordate contro il ventennio berlusconiano, contro la Ortese, l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan e l’ex presidente francese Jacques Chirac. La motivazione di questa foga? La offre Tabucchi stesso definendosi erede del ruolo «interrogativo» che tocca allo scrittore, suoi mentori Sciascia e Pasolini. Un compito questo fondamentale anche per Dacia Maraini, come rileva nel suo saggio il letterato-giornalista Paolo Di Paolo. Il quale osserva che «la militanza costante su quotidiani e periodici della Maraini è segno di un tentativo inesausto di interrogare la realtà». Ricorda le domande a raffica della combattiva romanziera per demolire il «piglio militaresco» e «l’incoscienza» di Oriana Fallaci nei suoi interventi sulla comunità musulmana. 
E ai nostri giorni? Gli autori ingaggiati dalle redazioni, osserva Luca Mastrantonio, saggista-gran polemista, sono in crescita e vanno da Paolo Giordano ad Alessandro Piperno, da Antonio Scurati a Errico Buonanno, Andrea Di Consoli, Giuseppe Culicchia e altri ancora. Pronti tutti ad accapigliarsi sui giornali, da Roberto Saviano che, subito dopo la pubblicazione di Gomorra, se la prende con cronisti e letterati che lo accusano di non fare vere inchieste ad Alessandro Baricco che solleva un gran polverone criticando le sovvenzioni statali alla cultura. La molla che spinge le ultime, e anche le ultimissime, generazioni di letterati a impegnarsi nella mischia? La «solitudine» dell’artista evocata da Borgese e Sciascia e la necessità di farsi sentire armati di vis polemica. Da un podio di carta stampata, s’intende.

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