L’Italia in piazza e i 22 giorni di fermo
Corriere 13.11.14
Le iniziative della Fiom nelle industrie del Nord, poi toccherà ai
ferrovieri L’agitazione degli autotrasportatori e i timori degli
italiani tra Pil e incertezza Il blocco dell’Autosole ha nella storia
politico-sindacale italiana un suo forte valore simbolico, è il segno di
un Rubicone varcato, di una rabbia che non trova argini. Ieri le tute
blu della Ast di Terni l’hanno fatto e di conseguenza hanno spaccato
l’Italia per più d’un paio d’ore. Stiamo parlando di operai che sono
arrivati ormai al 22° giorno di sciopero ad oltranza con circa 70
tonnellate di mancata produzione. Numeri che, tanto per capirci,
ricordano gli anni 80 e i 35 giorni ai cancelli di Mirafiori. La
decisione di invadere le corsie è stata presa in alternativa
all’occupazione dalla fabbrica e i sindacalisti si sono accodati di
fronte alla determinazione dei delegati di fabbrica. Da più di tre
settimane nello stabilimento di Terni sono ferme le forniture di acciai
per Electrolux, Indesit e Fiat e questo blocco costa circa 100 mila euro
al giorno, solo di penale per il mancato rispetto del contratto di
fornitura.
Il sospetto avanzato dai sindacati è che i vertici aziendali della
Thyssen giochino a dimostrare che l’impianto umbro non ha futuro e di
conseguenza non si straccerebbero le vesti se dovessero perdere i
clienti top dell’auto e degli elettrodomestici. Quale che sia la verità
gli operai hanno sgomberato l’autostrada solo quando è arrivata la
notizia di una convocazione, per questa mattina, nell’ufficio del
ministro Federica Guidi. I sindacati ci andranno con un retropensiero:
l’idea che si possa coinvolgere la Cassa Depositi e Prestiti anche nel
salvataggio di Terni. Intanto l’ipotesi (molto più sensata) di trovare
una sponda a Bruxelles e di far saltare il veto anacronistico
dell’antitrust europeo, che ha bloccato la vendita dell’Ast ai
finlandesi di Outokumpu, purtroppo non decolla. La neo-commissaria alla
concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha detto chiaro e tondo che
nelle sue stanze non c’è la soluzione per l’Umbria.
L’immagine dell’Italia bloccata però, e purtroppo, non inizia e finisce a
Orte. Domani in contemporanea sono previsti lo sciopero delle fabbriche
del Nord proclamato dalla Fiom di Maurizio Landini con manifestazione a
Milano e un’astensione dal lavoro proclamata dai Cobas del trasporto
ferroviario. E proprio ieri è stato indetto con squilli di tromba dalla
Cgil di Susanna Camusso uno sciopero di otto ore per venerdì 5 dicembre.
Il caso poi ha voluto che ancora ieri arrivasse dalle associazioni
degli autotrasportatori l’annuncio della proclamazione dello stato di
agitazione contro le proposte per il settore avanzate dal ministro
Maurizio Lupi.
E’ chiaro che si tratta di rivendicazioni e azioni di lotta che non si
prestano ad essere sommate aritmeticamente. C’è di tutto un po’, timori
di chiusura di un impianto efficiente, scioperi a forte valenza
politica, il “blocco ergo sum” di piccole sigle sindacali, prove di
forza tra categorie e ministero competente, ma il quadro che ne viene
fuori non è certo rassicurante.
E’ vero che da qui alla fine dell’anno il Pil non ci lascia presagire
niente di buono e scaramanticamente stiamo aspettando il giro di boa del
31 dicembre, l’insieme di queste agitazioni finisce per comunicare però
un senso di impotenza e di rabbia sorda. Gli italiani che leggeranno i
giornali e ascolteranno i tg ne ricaveranno una sensazione non certo
gradevole, saranno portati a pensare che oltre a tutti i guai
dell’economia per tre settimane sarà difficile persino muoversi.
P.S. Alla Berto’s di Padova 48 ore fa è stato firmato un accordo
integrativo che prevede nel triennio un premio variabile di 5.900 euro.
Ieri alla Barilla un’analoga intesa frutterà ai 4 mila dipendenti un
premio di produzione che in tre anni equivarrà a 2.600 euro. In Italia
succede anche questo.
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