Su tutti i giornali di oggi è percepibile non l'avvio di un riposizionamento quantomeno l'apertura di una via di fuga [SGA].
La gauche italienne
di Alessandra Longo Repubblica 21.11.14
Ha un che di involontariamente carbonaro il dibattito di oggi a Parigi
alla Fondazione Jean Jaurès. Fabrizio Barca, già ministro per la
Coesione territoriale con Monti, attualmente dirigente generale al
ministero dell’Economia e delle Finanze, discuterà con Nicola
Fratoianni, coordinatore nazionale di Sel, de «La Gauche italienne face
aux crises», la sinistra italiana di fronte alla crisi. Ci saranno anche
Ludovica Ioppolo, sociologa, e Alessandro Gilioli dell’Espresso. In
Italia l’incontro tra i due esponenti della sinistra sarebbe stato
derubricato alla voce “gufi”. Invece a Parigi Sel, sponsor
dell’iniziativa, collabora serenamente con il locale circolo del Pd.
Fabrizio Barca è molto sotto traccia ma operativo. Va in giro per
l’Italia con un gruppo di lavoro e un progetto: costruire una «forma
moderna di partito». Non ha fretta. «Finiremo la nostra esplorazione a
marzo», dice.
Parole sbagliate
Corriere 21.11.14
Un conflitto sull’articolo 18 è comprensibile, ed era anche prevedibile.
Il linguaggio con cui il presidente del Consiglio tratta la Cgil è
invece molto meno comprensibile.
È vero che Susanna Camusso lo considera un personaggio dell’Ottocento,
subalterno ai padroni, abusivo a sinistra. Ma il premier — mentre
annuncia a parole rispetto per chi dissente — dileggia il sindacato,
banalizza le ragioni della protesta, svaluta insieme con lo sciopero una
storia legata alla conquista e alla difesa di diritti che tutelando i
più deboli contribuiscono alla cifra complessiva della democrazia di cui
tutti usufruiamo.
La domanda è sempre la stessa: che idea ha il segretario del Pd della
sinistra che guida? Un partito che voglia parlare all’intera nazione
deve ospitare culture diverse al suo interno e tocca al leader — mentre
decide — garantire loro spazio e legittimità. Sapendo che prima o poi si
voterà, e i suoi avversari non saranno Camusso e Landini, ma Berlusconi
e Verdini. Quando se ne accorgerà?
L’Italicum in alto mare “Il nuovo sistema di voto non può essere applicato ad una sola Camera”
Ma Renzi vuole tirare dritto e punta sul sì al Senato a dicembre Berlusconi vede le elezioni e sabato seleziona 25 “giovani volti” di FI
di Carmelo Lopapa Repubblica 21.11.14
ROMA La legge elettorale che a fatica sta salpando dalla commissione al
Senato — e che dovrebbe puntare all’approdo in aula entro fine anno —
rischia invece di incagliarsi subito sugli scogli fuori porto. Uno in
particolare, enorme: la mancanza di un sistema elettorale valido proprio
per Palazzo Madama, in caso di voto anticipato. Italicum o
Consultellum, bisognerà pur prevederlo. E ci vorrà altro tempo. Tanto
che anche tra gli uomini più vicini al premier Renzi si sta diffondendo
la poco piacevole convinzione che il testo arriverà in aula non prima di
gennaio. Il capo del governo non vuole sentire ragioni, «lo si approva
entro dicembre».
Il caos che si è aperto è una boccata d’ossigeno non da poco per
Berlusconi e Alfano, per Forza Italia e Ncd, per i quali l’elezione in
primavera è uno spauracchio. Per non dire del partito trasversale dei
parlamentari che farebbero di tutto pur di allontanare lo spettro
elettorale nel 2015. Il fatto è che dopo l’ex presidente della Consulta,
Gaetano Silvestri, ieri anche il suo collega Giuseppe Tesauro,
ascoltato in commissione Affari costituzionali, ha ribadito il concetto:
«Serve una norma per il Senato, altrimenti, meglio rinviare a dopo che
sarà stata approvata la riforma costituzionale». Di più, l’estensore
della sentenza che a gennaio ha cassato il Porcellum, ha parlato di
«troppe criticità», di «dubbi sulla compatibilità costituzionale»
dell’Italicum, anche nella seconda versione. E ora? Ecco, appunto, è
quello che si sono chieste il ministro Maria Elena Boschi e la
presidente Anna Finocchiaro. «La soluzione potrebbe stare nell’adozione
dell’Italicum anche per il Senato, ma con lo scorporo dei seggi su base
regionale, come vuole una sentenza della Consulta» è l’ipotesi avanzata
dal deputato renziano Ernesto Carbone. Ipotesi, questa della scialuppa
Italicum, che sembra convincere poco la presidente Finocchiaro, più
propensa a lasciare in vigore semmai il Consultellum (proporzionale con
preferenza). Ma anche questo andrà specificato nella legge con una
clausola di salvaguardia. Storce il muso, a dir poco, Roberto Giachetti,
renziano anche lui, pronto a riprendere lo sciopero della fame se a
dicembre la riforma si impantana di nuovo. «Italicum solo per la Camera
incostituzionale? Potrei dire Cvd ma preferisco no comment» scrive su
Twitter. Che succede? «Che bisognerà provvedere per il Senato — ragiona
in un Transatlantico deserto — col risultato che tutti accuseranno Renzi
di farlo per andare al voto». E infatti, puntuali, le accuse. «Renzi ci
dica senza ipocrisie se vuole completare il percorso delle riforme o
portarci al voto» dice Saverio Romano. «Noi intanto l’Italicum così
com’è non glielo votiamo» avverte un pasdaran ex An come Francesco
Aracri, anche perché, insiste Augusto Minzolini, «è un miraggio questa
storia che se approviamo l’Italicum partecipiamo all’elezione del
Quirinale». Lui, come gli altri 32 vicini a Fitto, si sono ritrovati
mercoledì sera alla sala Cosmopolitan di Roma per pianificare con
l’euroeputato la campagna di mobilitazione anti-Italicum. Se passa
questa riforma «salta il Nazareno, addio patto» minaccia il “Mattinale”
di Brunetta. Berlusconi tiene una linea più moderata. «Spero sia una
legge elettorale democratica, stiamo lavorando per una buona legge» si
limita a dire al Tg4. Anche se poi attacca: «Non siamo in democrazia, la
maggioranza di Renzi è artificiale e non può durare». Ma è campagna
elettorale in vista delle regionali calabresi e emiliane, che avranno
«ricaduta nazionale» ammette. Fi sta per essere «rifondata» annuncia, e
infatti domani pomeriggio a Villa Gernetto andrà in scena la passerella
finale del talent scouting condotto in questi mesi da Giovanni Toti,
Deborah Bergamini e Alessandro Cattaneo. Venticinque giovani selezionati
tra cento saranno presentati a Berlusconi per essere lanciati sui media
e, magari, alle Regionali 2015. Tra gli altri, la pugliese (candidata
alle Europee) Federica De Benedetto, la consigliera di Brescia
Mariachiara Fornasari, il sindaco di Perugia Andrea Romizi. Svolta under
35 che getta già nel panico i parlamentari.
«Dai sindacati scuse per scioperare» Renzi: «In piazza più ora di quando c'era Monti»
La replica: parla solo con chi gli dà ragione
di Emilia Patta Il Sole 21.11.14
PARMA «Non mi preoccupo di far scioperare le persone ma farle lavorare.
Anziché passare il tempo a inventarsi ragioni per fare scioperi, mi
preoccupo di creare posti di lavoro perché c'è ancora tantissimo da
fare». E ancora: «Ci sono stati più scioperi in queste settimane che
contro tutti gli altri governi, compreso il governo Monti. Ma noi stiamo
cercando di mettere in piedi tutte le azioni necessarie per far
ripartire il lavoro. A coloro i quali non hanno mai scioperato in
passato, e oggi scioperano sempre, faccio i miei auguri. Il Paese è
diviso in due: tra chi si rassegna e chi va avanti. Ma chi oggi in
Italia continua a tener duro sta ottenendo risultati. Non mi preoccupo:
possono far scioperi ma noi abbiamo promesso che cambieremo e, piazza o
non piazza, le cose le cambiamo».
Piazza o non piazza si va avanti. La giornata del premier Matteo Renzi
inizia di buona mattina, con un'intervista radiofonica che risponde in
modo durissimo alla proclamazione dello sciopero generale da parte di
Cisl e Uil. E prosegue con il giro della realtà produttiva parmense, che
ha visto anche l'incontro con il sindaco Federico Pizzarotti e con i
primi cittadini dei Comuni alluvionati: prima la visita allo
stabilimento Pizzarotti Costruzioni a Ponte Taro, poi alla Dallara
Automobili di Varano de' Melegari e infine alla Barilla di Pedrignano.
Visite in cui Renzi ha dovuto fare i conti con alcune proteste (a Parma
ci sono state anche cariche della Polizia contro i manifestanti). In
serata l'evento di chiusura della campagna elettorale per la guida
dell'Emilia Romagna con il sostengo al candidato del Pd Stefano
Boncaccini: e c'è anche la paura dell'astensionismo, dato in crescita in
tutti i sondaggi, dietro i toni contro il sindacato usati da Renzi.
Chiaro che la zona grigia è al centro, tra l'elettorato moderato deluso
dall'ex Cavaliere.
Stizzita, naturalmente, la reazione della leader della Cgil Susanna
Camusso con la quale il solco è ormai profondo: «Vorremmo che il
dibattito tornasse a essere rispettoso. Credo che il presidente del
Consiglio, che sta dicendo in queste ore che i lavoratori sciopereranno
così i sindacalisti avranno modo di passare il tempo, sia vagamente
irrispettoso del lavoro e del sacrificio dei lavoratori». Ma non c'è
solo la Cgil nel mirino del premier. Ci sono anche e soprattutto i suoi
oppositori interni. Quelli che anche dopo l'accordo raggiunto alla
Camera tra il governo e l'area guidata da Roberto Speranza e Cesare
Damiano sul Jobs act continuano a dire che non basta. Ossia Pippo
Civati, che ha già annunciato il suo voto contrario sul provvedimento
anche se al momento della fiducia uscirà dall'Aula, Stefano Fassina e
Gianni Cuperlo. «Se fosse stato facile cambiare l'Italia l'avrebbero
fatto quelli che negli anni precedenti hanno rinunciato, lo avrebbe
fatto chiunque: io sono per fare le cose, non ne posso più di chi
continua a rimandare – avverte Renzi –. Ed è naturale che ci sia chi
cerca di bloccare e tirare indietro sia nel mio partito che fuori: è
fisiologico. Eppure si va avanti».
Da Parma, infine, un auspicio-promessa ai Comuni colpiti dalle
alluvioni: «Il punto centrale sui finanziamenti europei è che i
finanziamenti che definiremo con l'Europa non vadano ad incidere sui
vincoli», ha detto riferendosi al piano di investimenti di 300 miliardi
promesso da Jean Claude Juncker. E quei soldi protranno essere spesi
soprattutto dai Comuni per il dissesto idrogeologico.
Matteo a caccia di voti ha trovato i suoi nuovi “nemici”
di Marcello Sorgi La Stampa 21.11.14
Non s’è svolto in un clima sereno il viaggio di Renzi in Emilia, alla
vigilia delle elezioni regionali di domenica. A Parma, dove ha
incontrato il sindaco 5 stelle Pizzarotti prima di andare alla Barilla, e
successivamente a Bologna, il premier è stato contestato da gruppetti
di antagonisti dei collettivi e dei centri sociali, che lo hanno accolto
con fischi e cori di «buffone» e «vergogna». Nulla di particolarmente
drammatico. E per Renzi un occasione in più per alzare il tono.
In ogni campagna elettorale infatti Renzi s’è scelto un avversario
diretto da sfidare sul campo. Nelle primarie in cui conquistò la
segreteria del Pd furono Bersani e il vecchio gruppo dirigente da
rottamare del partito. Alle europee di maggio sono stati Beppe Grillo e
il Movimento 5 stelle, che non si aspettavano di essere battuti con un
distacco così grande. In questa piccola tornata di regionali, che giorno
dopo giorno sta assumendo il valore di una prova d’appello rispetto al
clamoroso risultato del 40,8 per cento delle urne di primavera, il
premier s’è posizionato contro la Cgil, e segnatamente contro la
segretaria del maggior sindacato Susanna Camusso, e contro Salvini, che
in Emilia corre per arrivare primo nella classifica del centrodestra,
davanti a Berlusconi e Forza Italia, e se possibile anche davanti a
Grillo, che proprio in questa regione in passato aveva mietuto i suoi
primi successi elettorali.
Camusso e Salvini, tra l’altro, sono alleati nella raccolta delle firme
per il referendum abrogativo della riforma Fornero: ed è anche per
questo che Renzi li ha attaccati in tweet in cui, senza demonizzarli,
accomunandoli in una sorta di partito della protesta, che con la Cgil
cerca «pretesti» per scioperare, da contrapporre, appunto, al governo
impegnato a cambiare le cose. Una descrizione che non è piaciuta affatto
alla Camusso, che gli ha risposto per le rime.
La drammatizzazione dello scontro, in una regione in cui il Pd si sente
già la vittoria in tasca, nei piani di Renzi serve a mobilitare un
elettorato stanco, ancora disorientato per gli effetti dello scandalo
delle «spese pazze» in regione e pertanto portato all’astensionismo,
ancora molto alto in tutte le previsioni della vigilia. Il premier non
vuole un risultato dimezzato dalla scarsa partecipazione, e per questo
ha scelto di spendersi in prima persona e sfidare le contestazioni
organizzate. Renzi scommette così su una conferma del consenso incassato
la volta scorsa, e si prepara a spenderla nel difficile confronto
parlamentare che di qui a fine anno dovrebbe portare all’approvazione
del Jobs Act e della legge di stabilità.
Ma per il premier solo un Paladozza tiepido e dimezzato
Arrivano 2300 persone ma sugli spalti spazi vuoti Solo verso la fine Renzi riesce a scaldare il pubblico
di Fabio Martini La Stampa 21.11.14
I resti di quel che fu il più potente partito comunista d’Occidente
accolgono Matteo Renzi con un applauso rispettoso: appena il premier si
affaccia nel catino dello storico PalaDozza di Bologna, dai duemilia
sugli spalti si alza un battimani che dura venti secondi. Metà sala
scatta in piedi a lanciare una standing ovation, che parte a metà. Mezza
sala resta seduta senza applaudire, chi per farsi un selfie, chi per
curiosare e basta. Qualcuno isolato dal loggione urla «Matteoooo», ma
neppure il coretto decolla. Calore, simpatia, ammirazione per Renzi, ma a
volume basso, senza grande pathos. Almeno nella accoglienza iniziale.
Per non parlare dell’applauso di cortesia, freddino che accoglie il
candidato governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, mentre
l’uscente Vasco Errani è accolto come un eroe, per lui un lunghissimo
battimani. Sono le 21,50 e il premier-segretario, appena entrato nel
parterre del Palasport di Bologna, per partecipare alla chiusura della
campagna elettorale di Bonaccini, riscalda l’atmosfera: «Ho la
sensazione strana di tornare a casa, quella che ti accompagna anche
quando sei lontano». Ma c’è subito la battutina: «Non saranno mai
contenti, loro, diranno che c’è stata troppo astensione... L’importante
sarà essere contenti noi...». E più tardi, quando fa il suo discorso,
Renzi da affabulatore, riscalda il Palasport
Nel giorno in cui Matteo Renzi ha sferrato il più sferzante attacco mai
indirizzato verso i sindacati - si inventano gli scioperi mentre io creo
posti di lavoro - era davvero interessante misurare l’impatto emotivo
tra il premier-segretario del Pd e la sua base più “rossa”, quella più
vicina alle grandi organizzazioni della sinistra, la Cgil, ma anche Lega
delle cooperative e Cna. Certo, per l’arrivo di Renzi, i quadri del
partito hanno stressato la macchina organizzativa, tutti i circoli della
Regione, da Piacenza a Rimini, sono stati invitati a dare il massimo.
Sugli spalti sono arrivate duemilatrecento persone, con spazi vuoti
anche rispetto ad una capienza che è stata dimezzata, da seimila a
tremila posti.
Domenica in Emilia la posta in gioco non è la vittoria, che il Pd è
sicuro di portare a casa. Tengono banco domande che sembrano da “anime
belle” ma potrebbero preludere a risposte preoccupanti per il futuro
prossimo: quanti emiliani di sinistra decideranno che non vale la pena
andare a votare per “questi” politici? Il candidato governatore della
sinistra riuscirà anche stavolta a superare il milione di voti o per la
prima volta resterà sotto questa soglia politicamente critica? Gara
minore alle elezioni di domenica in Emilia-Romagna, è quella per il
secondo posto con la Lega, con Matteo Salvini si è quasi trasferito da
queste parti, con la scritta “Emilia” sulla felpa a sostegno del suo
candidato, il sindaco di Bondeno, il trentacinquenne Alan Fabbri.
In una campagna elettorale a volume bassissimo, con pochi manifesti,
poche manifestazioni, la sinistra si è affidata al quarantasettenne
Stefano Bonaccini, per anni campione del Pd bersaniano, il “Bruce Willis
di Campogalliano” (come lo chiama Renzi in persona), che dopo aver
tanto esitato a candidarsi, ha dovuto fare fronte al disastro
dell’inchiesta sulle “spese pazze” dei consiglieri regionali, circa due
milioni di euro pubblici da giustificare.
La “fortuna” per i candidati governatori è che nello scandalo sono
finiti dentro quasi tutti, compresi grillini e leghisti e perciò sulla
questione morale è calata una cortina di silenzio che ha vieppiù
allontanato da tutta la politica una opinione pubblica disgustata. In
una campagna elettorale segnata da clamorosi abbandoni, con Francesco
Guccini che ha annunciato che voterà un candidato di Sel («Scelgo la
persona») con Romano Prodi (la nipote candidata a Reggio Emilia), che ha
fatto sapere: «Andrò a votare senz’altro», ma con una chiosa
manzoniana: «Il buon senso restava nascosto per paura del senso comune».
L’inedita sfida tra il premier e Salvini fa scomparire Berlusconi e Grillo
Ma al leader leghista serve un detonatore come la caduta dell’euro per diventare centrale nel sistema politico
di Stefano Folli Repubblica 21.11.14
ENTRO certi limiti le contestazioni sono utili a Renzi, come peraltro al
suo antagonista Salvini. Fanno parte delle regole dello «show»
politico, rimbalzano nei telegiornali e sul web, servono a rafforzare il
profilo del personaggio. A Parma il premier ha assorbito ieri la sua
dose di fischi, come accade spesso, ma ne ha approfittato per rincarare i
toni contro i sindacati.
Il messaggio è sempre lo stesso: mi criticano perché incarno il
cambiamento, viceversa guardate Susanna Camusso e il capo della Lega
come sono in sintonia, emblema della conservazione. È un argomento che a
breve termine può risultare efficace, nel clima di campagna elettorale
perenne in cui vive il paese. Del resto, domenica si vota davvero in
Emilia Romagna e Calabria e lo sforzo mediatico a tutto campo si
giustifica. Semmai va notato che i due leader presenti nelle piazze,
forse gli unici due, sono proprio Renzi e Salvini. Gli altri o sono
assenti o sono ignorati dai «media»: e anche questo vuol dire qualcosa.
È singolare, ad esempio, l’abdicazione di Beppe Grillo che prevede il
peggio per domenica e preferisce non impegnarsi, mentre lo storico
dissidente dei Cinque Stelle, il sindaco Pizzarotti, accoglie il
presidente del Consiglio a Parma. Né va dimenticato, a proposito di
contestazioni, il brutto quarto d’ora passato da Silvia Taverna, fedele
collaboratrice di Grillo, nelle strade di Tor Sapienza. Se una
rappresentante dell’anti-politica viene vituperata, il segnale deve far
riflettere. Viceversa, se si tratta di Salvini che cerca l’incidente con
i centri sociali di Bologna, l’episodio può aiutarlo a guadagnare
consensi in certi ambienti. La differenza è essenziale.
Anche per questo Grillo è ancora alto nei sondaggi nazionali e tuttavia
la sua spinta propulsiva sembra esaurita. Al contrario, il ragazzo in
felpa un po’ stazzonata, il neo-leghista che non parla più di secessione
e ha scoperto il Sud, è accreditato di una percentuale per ora al di
sotto dei Cinque Stelle, ma sembra essere in ascesa. A sua volta Renzi
deve correre di qui e di là perché non può permettersi di dormire sugli
allori, specie quando gli allori sono scarsi. E dunque qualche tensione
provocata dai soliti centri sociali, va bene; purché non si saldi con il
malessere silenzioso che si respira nel paese, turbando il racconto
ottimistico di ciò che è stato fatto fino a oggi e di ciò che si farà
domani.
Va detto, peraltro, che il confronto quasi esclusivo fra il Matteo di
Firenze e il Matteo di Milano è nell’interesse di entrambi. Il primo
anela ad avere un competitore di quel tipo, burbero ed estremista, così
da assorbire pian piano i voti moderati che ancora girano intorno a
Berlusconi. Il secondo vuole ovviamente una cosa diversa e ben chiara:
diventare la sola opposizione o quasi, sottrarre suffragi sia a Grillo
sia a Berlusconi, ma dal versante iper-populista che a Renzi è precluso.
Date le premesse, è possibile che il voto di domenica offra qualche
sorpresa. Non in Calabria ma in Emilia Romagna, dove il candidato di
Salvini non scavalcherà l’esponente del Pd, ma potrebbe battere la lista
di Forza Italia. Così la nuova Lega post-Bossi e anche post-Maroni
diventerebbe un caso.
Si dice che l’espansionismo di Salvini è comunque limitato. Si afferma
con qualche ragione che senza l’accordo e il via libera di Berlusconi
oggi non può radicarsi un vero centrodestra. Eppure è evidente che il
nuovo leader gioca a rompere gli schemi, un po’ come ha fatto Renzi a
sinistra. Ha già costretto Berlusconi a frenare il suo progressivo
dissolvimento nel «renzismo». E ha fatto di Marine Le Pen il suo faro,
così come Renzi ha adottato lo stile di Tony Blair. Due operazioni mai
tentate nell’Italia politica. Tuttavia a Salvini non basterà certo un
buon risultato in Emilia Romagna per fare il salto sulla scena
nazionale. Ha bisogno di un detonatore che oggi può essere solo la crisi
verticale dell’euro. Con tutte le sue drammatiche conseguenze.
Nessun commento:
Posta un commento