Risvolto
Togliattigrad, città simbolo dell’incontro tra due visioni del mondo in totale contrasto; da una parte la Fiat di Torino, simbolo del capitalismo e del blocco anticomunista e dall’altra l’Unione Sovietica, icona dell’opposizione socialista al modello economico occidentale. Grazie al racconto dei testimoni diretti, partecipiamo ad un’epopea in cui il sogno di un’industrializzazione controllata e l’inquadramento e la gestione attenta delle vite dei lavoratori, rendono queste due visioni sorprendentemente coincidenti. Nel cuore ghiacciato della steppa russa riviviamo i 36 mesi della costruzione di una città da 400.000 abitanti attorno ad una fabbrica da 600.000 auto l’anno. Italiani, russi, francesi e tedeschi si ritrovano accomunati in un unico intento tra amicizie, dissapori, amori riusciti ed altri falliti. Generazioni di creativi e tecnici disegnavano, progettavano e realizzavano automobili diventate, attraverso gli anni, veri e propri gioielli di design e tecnologia. Oggi, con la fine dell’impero sovietico e l’affermarsi dell’economia globale, essi sono stati irrimediabilmente soppiantati da un sistema più efficace e più deciso nell’affrontare un nuovo modello di sviluppo e di organizzazione del lavoro. La LADA e lo stabilimento AUTOVAZ, un tempo vettori di un’impresa epica unica nella storia italiana, oggi issano bandiera francese. Sono ormai controllate della Renault e quel sogno italiano sembra essersi dissolto per sempre.
Togliattigrad, città simbolo dell’incontro tra due visioni del mondo in totale contrasto; da una parte la Fiat di Torino, simbolo del capitalismo e del blocco anticomunista e dall’altra l’Unione Sovietica, icona dell’opposizione socialista al modello economico occidentale. Grazie al racconto dei testimoni diretti, partecipiamo ad un’epopea in cui il sogno di un’industrializzazione controllata e l’inquadramento e la gestione attenta delle vite dei lavoratori, rendono queste due visioni sorprendentemente coincidenti. Nel cuore ghiacciato della steppa russa riviviamo i 36 mesi della costruzione di una città da 400.000 abitanti attorno ad una fabbrica da 600.000 auto l’anno. Italiani, russi, francesi e tedeschi si ritrovano accomunati in un unico intento tra amicizie, dissapori, amori riusciti ed altri falliti. Generazioni di creativi e tecnici disegnavano, progettavano e realizzavano automobili diventate, attraverso gli anni, veri e propri gioielli di design e tecnologia. Oggi, con la fine dell’impero sovietico e l’affermarsi dell’economia globale, essi sono stati irrimediabilmente soppiantati da un sistema più efficace e più deciso nell’affrontare un nuovo modello di sviluppo e di organizzazione del lavoro. La LADA e lo stabilimento AUTOVAZ, un tempo vettori di un’impresa epica unica nella storia italiana, oggi issano bandiera francese. Sono ormai controllate della Renault e quel sogno italiano sembra essersi dissolto per sempre.
Togliattigrad, l’epopea dell’auto nella steppa
Un
film documentario racconta la costruzione dello stabilimento, frutto
dell’accordo Fiat-Urss, che avviò la storia russa delle quattro ruote
di Alberto Papuzzi La Stampa 21.11.14
Il più grande affare del secolo. Così venne definito l’accordo
Fiat-Russia che il 4 maggio 1966 firmarono a Torino il ministro
sovietico per l’Industria automobilistica e Vittorio Valletta, che
proprio quell’anno lasciava la presidenza dell’azienda a Giovanni
Agnelli.
L’accordo prevedeva la costruzione chiavi in mano di uno stabilimento
per la produzione di duemila automobili al giorno, sul modello della
«124», entro tre anni. Per l’insediamento del nuovo complesso si scelse
la località di Stavropol sul corso del Volga, che venne ribattezzata
Togliattigrad, in memoria del leader del Pci. La prima vettura uscì
dalle officine il 19 aprile 1970. Si trattava del più grande progetto
che vedeva protagonista l’industria italiana nel secondo dopoguerra. Una
manifestazione sia di potenza sia di sapienza tattica. L’azienda
italiana ottenne carta bianca in materia di tecnologie produttive e di
rete distributiva, destreggiandosi al meglio nella competizione con
marchi che avevano medesimi interessi e ambizioni, più di tutti
Volkswagen e Renault.
Quasi mezzo secolo dopo, la gigantesca opera rivive in un film
documentario che si presenta al Torino Film Festival: Togliatti(grad) di
Federico Schiavi e Gian Piero Palombini, con una raffinata fotografia
di soggetto industriale, prodotto da Nacne Sas in collaborazione con Rai
Cinema. Cinquantasei minuti, che offrono una visione articolata e
suggestiva, sorprendente e brillante, ricca di spunti storiografici e
carica di annotazioni di costume, per un episodio che allora scosse il
mondo. I punti chiave attorno ai quali ruota il racconto sono due: il
lampante confronto tra comunismo sovietico e capitalismo occidentale,
largamente a favore di quest’ultimo, quasi una appendice della guerra
fredda, e il conflitto più generale che venne messo a nudo, innanzi
tutto in campo sovietico, tra due culture, che interessavano e
coinvolgevano ideologie, fedi, tradizioni, provocazioni, per una
generazione di uomini e donne vissuti con o per il lavoro. Per girare il
documentario ci sono voluti quasi quattro anni, e si sono incontrate
centinaia di persone.
Per i sovietici Togliattigrad fu una sfida senza esitazioni. «Eravamo
sicuri che, come i nostri padri e madri avevano vinto la guerra, così
noi avremmo potuto vincere anche questa competizione», dichiara Vladimir
Mirisakov, allora caposquadra dell’Officina Motori. Con Togliattigrad
comincia la storia russa dell’automobile. Prima si producevano
soprattutto se non esclusivamente automezzi pesanti: i camion e gli
autobus prodotti nel 1938 erano, per esempio, 185 mila su un totale di
200 mila autoveicoli; nel 1960 passano a 344 mila su 500 mila. Nel
maggio del 1966, quando si firma l’accordo, circolava un’automobile
privata ogni 240 persone.
«Era un programma semplicemente terrificante - dice nel film Carlo
Mangiarino, che era stato ingegnere capo nell’edificazione della
fabbrica -. Dove c’era soltanto la steppa, senza traccia di tessuto
industriale, ma freddo a trenta gradi sotto zero d’inverno, e caldo
rovente al sole d’estate, dovevamo far sorgere uno stabilimento che
aveva in sé un know how globale». Le immagini proposte dal documentario
sono sbalorditive: prima la steppa verde e arida, poi fuoco e fumi degli
impianti, infine le automobili immerse nel traffico. Come una
stregoneria, dal deserto stepposo dovevano prendere vita le officine che
avrebbero sfornato duemila vetture.
Se sul piano macroscopico c‘era da restare a bocca aperta, un’avventura
straordinaria fu corsa al livello delle microstorie che interessarono i
rapporti sociali, tra la comunità dei lavoratori italiani tutti
dipendenti dalla Fiat e la collettività che stava nascendo e
organizzandosi sulle rive del Volga (anche con la presenza di volontari,
soprattutto donne e studenti, affascinati dal progetto). Notevole
scalpore, ascoltando gli ex, venne creato naturalmente dall’incontro tra
maschi italiani capaci di esercitare l’arte del corteggiamento e bionde
ragazze russe di cui si magnificavano le lunghe cosce. Il problema era
che gli uomini italiani andavano in caccia di un tradizionale
divertimento, mentre le russe puntavano a stabilire relazioni stabili.
Nel 1972 si contavano già trenta matrimoni di russe con italiani.
Ma non era solo una questione di rapporti personali. Era la scoperta
della realtà italiana, allora non molto conosciuta dai sovietici. «Cosa
sapevamo noi dell’Italia? - si domanda Nelly Sumina, una delle numerose
interpreti -. Io conoscevo soltanto Marcello Mastroianni, Sofia Loren e
Adriano Celentanto». Spesso si organizzavano feste negli alberghi e le
russe facevano la fila per andarci: «Guardate, sono arrivati gli
italiani! Infatti erano come una apparizione». Le diciottenni di allora
(e non solo le diciottenni!) ricordano anche belle macchine e vestiti
formidabili. Una vita fatta di sogni e entusiasmi, «mentre da noi era
molto, molto più grigia», dice ancora Nelly Sumina. I russi non vedevano
di buon occhio quei rapporti e sottoponevano le loro ragazze a
insistenti interrogatori.
Nel nostro paese non mancarono le polemiche, come sempre di fronte a una
novità. A Tribuna sindacale, programma televisivo, si chiese conto a
Agnelli di dubbi finanziamenti collegati all’impresa che la sua azienda
portava a termine. L’Avvocato diede una risposta delle sue: «Per fare la
sua domanda - disse al suo interlocutore - lei ha impiegato due minuti.
Per la mia risposta mi basta un secondo: non è vero».
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