sabato 15 novembre 2014

Un altro libro sulla crisi della democrazia moderna

Marina Lalatta Costerbosa: La democrazia assediata. Saggio sui principi e sulla loro violazione, DeriveApprodi 

Risvolto
Perché un libro, un ennesimo libro, sulla democrazia? E perché oggi, quando persino coloro che propugnano ideali antidemocratici tengono a definirsi democratici, se non i migliori interpreti della democrazia? A operare in una direzione degenerativa, ad assediare le nostre pur modeste malandate roccaforti delle democrazie reali, sono tante minacce, spesso più o meno tra loro alleate. I diversi volti riduzionistici che erodono il nostro spazio democratico sono in relazione: il riduzionismo quale portato del neoliberismo fa fronte comune con politiche discriminatorie; il riduzionismo della mercificazione del lavoro va insieme a quello della manipolazione dell'opinione pubblica, perché agisce attivamente nel mantenere nella sempre crescente ignoranza, nel sempre più basso livello di istruzione, quindi, in generale, nella sempre più grave assenza di capacità critica, ampi strati della popolazione. Con questo libro s'intende offrire una fotografia il più possibile definita della situazione presente, affinché possa agire da stimolo e da protezione dell'ideale democratico. 


Democrazia, uno parola svuotata di significato 

Mattia Cinquegrani, il Manifesto 15.11.2014 

Riflet­tere sulla demo­cra­zia, oggi, potrebbe appa­rire una atti­vità asso­lu­ta­mente super­flua. Ne si cono­sce l’essenza e i carat­teri pre­ci­pui, come l’antica ori­gine greca e le tappe fon­da­men­tali che – nel corso del pro­ce­dere sto­rico – ne hanno deter­mi­nata l’affermazione e una dif­fu­sione così vasta. Con una buona dose di sicu­rezza, ognuno con­fida nella capa­cità di saper rico­no­scere il rispetto dello spi­rito demo­cra­tico (o il suo sov­ver­ti­mento) tanto negli atteg­gia­menti indi­vi­duali, quanto nei com­por­ta­menti poli­tici e in quelli delle isti­tu­zioni. Eppure – se è vero che la piena com­pren­sione di un oggetto è veri­fi­ca­bile solo attra­verso la capa­cità di pro­durne una defi­ni­zione del tutto esau­stiva – si è costretti ad ammet­tere che que­sta cono­scenza dif­fusa si limita all’individuazione di ele­menti con­ven­zio­nali e di superficie. 
«Forma di governo basata sulla sovra­nità popo­lare, in grado di garan­tire a ogni cit­ta­dino pari libertà e i mede­simi diritti civili, politi e sociali, oltre alla par­te­ci­pa­zione in piena ugua­glianza dell’esercizio del potere pub­blico». La si potrebbe con­si­de­rare una buona defi­ni­zione se la demo­cra­zia fosse uno schema rigido, un modello pre­fab­bri­cato imme­dia­ta­mente e iden­ti­ca­mente appli­ca­bile all’interno di qual­si­vo­glia con­te­sto cul­tu­rale. Ma la sovra­nità popo­lare (espres­sione, già di per sé, for­te­mente vaga), al pari di cia­scuna forma di governo, pre­vede una appli­ca­zione umana, che arric­chi­sce di nume­rose varia­bili e di sfu­ma­ture impre­vi­ste quella chiara com­pat­tezza che può essere carat­te­ri­stica esclu­si­va­mente delle for­mu­la­zioni teoriche. 
D’altronde – come scri­veva Maria Zam­broni, già nel 1958 – il ter­mine demo­cra­zia, così come avviene soprat­tutto con «certe parole di forte attua­lità» pone una que­stione seman­tica tutt’altro che tra­scu­ra­bile. A fronte di una incon­trol­la­bile iper­si­gni­fi­ca­zione deter­mi­nata dal con­ti­nuo variare del con­te­sto e del periodo sto­rico nei quali sono state uti­liz­zate, tali parole «diven­tano inser­vi­bili (…), oppure per­dono cre­dito quando le si impiega per masche­rare fini incon­fes­sa­bili, o ancora restano vacue, vuote o cor­rotte e senza valore come monete fuori corso e ormai prive di bel­lezza. (…) E tut­ta­via, con cosa si potreb­bero sosti­tuire, se non vogliamo rinun­ciare o rin­ne­gare ciò che esse signi­fi­cano? Il pro­blema deriva dal fatto che si con­ti­nuano a usare nello stesso senso in cui si usa­vano un tempo. Sono state supe­rate dal loro futuro, dal futuro insito in loro». La solu­zione a que­sto cor­to­cir­cuito appare ancora più dif­fi­cile da indi­vi­duare, se si accetta la teo­ria di Colin Crouch, secondo la quale il mondo con­tem­po­ra­neo si trova, ora­mai, in una dimen­sione post-democratica. Nella for­mu­la­zione del poli­to­logo bri­tan­nico – i cui ele­menti essen­ziali sono stati lar­ga­mente assi­mi­lati, seb­bene in una forma sem­pli­fi­cata, nella comune per­ce­zione sociale – tale epoca ha avuta ori­gine «quando gli inte­ressi di una mino­ranza potente sono dive­nuti ben più attivi della massa comune nel pie­gare il sistema poli­tico ai loro scopi; quando le éli­tes poli­ti­che hanno preso a mani­po­lare e gui­dare i biso­gni della gente». 
Que­sta ibri­da­zione mostruosa della demo­cra­zia (più che nega­zione della stessa) ha tro­vato, pro­ba­bil­mente, un ter­reno ideale per la pro­pria pro­li­fe­ra­zione nelle defor­mità del sistema capi­ta­li­stico, nella sua irri­me­dia­bile pro­pen­sione all’eccesso, nella sua aspi­ra­zione alla can­cel­la­zione stessa dell’idea di limite e di con­te­ni­mento del pro­prio operare. 
Met­tere ordine in un oriz­zonte così com­plesso (cer­cando di indi­vi­duare, al con­tempo, una stra­te­gia cor­ret­tiva alle stor­ture del sistema poli­tico) è quello che si pro­pone di fare Marina Lalatta Coster­bosa con La demo­cra­zia asse­diata. Sag­gio sui prin­cipi e sulla loro vio­la­zione (Deri­veAp­prodi, pp. 192, euro 17). Il volume si strut­tura in maniera deci­sa­mente solida. Riper­cor­rendo – tra le altre – le teo­rie e le idee di John Locke e di Tho­mas Hob­bes, di Han­nah Arendt e di Theo­dor Adorno, di Jür­gen Haber­mas e di Cor­ne­lius Casto­ria­dis, l’autrice si pro­pone di giun­gere a una defi­ni­zione del con­cetto di demo­cra­zia che, per quanto ampia, rie­sca a scio­gliere le prin­ci­pali ambi­guità comu­ne­mente dif­fuse riguardo a que­sto oggetto. 
Una defi­ni­zione che si com­pone anche in con­tro­luce, attra­verso l’identificazione e la messa in ana­lisi di quelle che pos­sono essere con­si­de­rate le più rile­vanti insi­die del sistema demo­cra­tico, nel ten­ta­tivo di distin­guere «la realtà che noi nomi­niamo demo­cra­tica e la demo­cra­zia nella sua vera essenza. E que­sto non solo per denun­ciare ogni ideo­lo­gia e dema­go­gia che con­trab­ban­dino il reale per l’ideale, ma anche per­ché la nostra soglia di con­sa­pe­vo­lezza cri­tica non si abbassi ancora, in un momento sto­rico in cui le spinte anti­de­mo­cra­ti­che sono tal­mente forti e inquie­tanti, tal­mente masche­rate e sub­dole, da ren­dere neces­sa­rio che si alzi la guar­dia per imma­gi­nare di poter porre anche solo le pre­messe per il per­se­gui­mento del fine democratico». 
Non stu­pi­sce, allora, che il libro si apra e si chiuda su di una mede­sima con­si­de­ra­zione (che prende le mosse da John Dewey, prima, e quindi da Jean-Jacques Rous­seau) volta a met­tere in luce il rap­porto di reci­proca neces­sa­rietà esi­stente tra demo­cra­zia ed edu­ca­zione; un rap­porto che, soprat­tutto oggi, appare tanto fon­da­men­tale quanto fati­coso da realizzare.

Nessun commento: