E dire che per altri versi riconosce giustamente il processo di redistribuzione globale della ricchezza [SGA].
Franco Cassano: Senza il vento della storia. La sinistra nell'era del cambiamento, Laterza, pagg. 91, euro 12
Risvolto
A lungo la sinistra ha pensato che nelle sue vele soffiasse il vento
della storia. Oggi che tutto è cambiato, che quel vento non le ha
riconosciuto alcuna primazia,che anche il suo popolo non è più lo
stesso, la sinistra sembra essersi ritratta in una posizione difensiva e
risponde con sdegno all’accusa di conservatorismo.
In verità le sue ragioni sono tutt’altro che scomparse, ma per farle
rientrare nella partita del mondo è necessario che smettadi sentirsi
ospite innocente in un universo cattivo e abbandoni ogni nostalgia.
Perché la globalizzazione non è solo una banale restaurazione,non è solo
espropriazione e sradicamento, ma un gioco di dimensioni planetarie nel
quale nuovi protagonisti si affacciano sulla scena della storia. E a
questo gioco largo e imprevedibile, pieno di pericoli e di opportunità,
non ci si può sottrarre.
Perché adesso la sinistra deve dire addio al passato
Nel
pamphlet “Senza il vento della storia”, Franco Cassano spiega i motivi
per cui i progressisti hanno bisogno di lasciarsi alle spalle la
nostalgia
di Gad Lerner Repubblica 12.11.14
BEI ricordi, quando il vento della
storia fischiava nella giusta direzione... La sinistra poteva
inebriarsi, perfino nelle sconfitte, della gratificante sensazione di
rappresentare il progresso mondiale, l’innovazione sociale, l’orizzonte
cosmopolita nel quale i diversi si riunificavano superando le barriere
geografiche, nazionali, religiose. Vero è che l’aspirazione
internazionalista («il proletariato non ha nazione») già si infrange
nelle trincee insanguinate del 1914. Ma la sconfitta del nazifascismo dà
luogo in occidente a un compromesso fra capitalismo e democrazia
contraddistinto da alti tassi di sviluppo e espansione dello Stato
sociale: sono i “trenta gloriosi” anni della nostra gioventù, con i
quali Franco Cassano sollecita la sinistra a smetterla di crogiolarsi.
Finiti, superati, e se a noi della sinistra occidentale questa sembra
una marcia indietro della storia, non è detto che la pensino così le
masse dei paesi emergenti che iniziano a usufruire dello spostamento di
quote di ricchezza orchestrato dall’alto. La globalizzazione, cioè, non
può essere liquidata come mero progetto di dominio del capitale
finanziario e delle multinazionali. La sinistra occidentale deve
scendere dalla cattedra e cessare di sentirsi ospite innocente di un
mondo cattivo, adesso che non rappresenta più gli ultimi e deve agire
controvento. Muovendosi nella scomoda realtà di un pianeta pervaso da
conflitti non riconducibili alla sola dimensione economica.
L’ultimo
agile saggio di Franco Cassano, Senza il vento della storia. La sinistra
nell’era del cambiamento ( Laterza), ha il pregio di affrontare con
respiro storico i dilemmi attualissimi del Partito democratico e del
governo Renzi. Suppongo che a questa preziosa concretezza lo solleciti
anche la sua recente esperienza di parlamentare. Già nel suo precedente
libro, L’umiltà del male, di taglio più filosofico, Cassano manifestava
la preoccupazione di evitare l’isolamento dei migliori, per non regalare
a chi nega il valore della fraternità quella confidenza con le
debolezze dell’uomo grazie a cui l’egoismo e il populismo sono diventati
senso comune maggioritario.
Di fronte alla nuova dimensione mondiale
del capitalismo, abile e veloce nell’incrociare i suoi piani con la
spinta dei paesi emergenti, i partiti della sinistra in occidente si
ritrovano sulla difensiva. L’istinto li sospinge a ripiegarsi nella mera
tutela di diritti e tutele di fasce sociali sempre più ristrette.
Minoritarie. Per non venire meno ai propri valori di giustizia sociale e
di uguaglianza, rischiano di incappare in una boriosa autosufficienza.
È
la ricerca politico-sociale a tornare prioritaria, riconoscendo
l’inadeguatezza delle risposte fin qui elaborate per fronteggiare la
globalizzazione. Chi s’illude di replicare meccanicamente nel tempo
contemporaneo lo schema marxiano della lotta di classe — come fa Toni
Negri delineando un conflitto mondiale fra l’Impero e le “moltitudini”
degli oppressi — non riuscirà a comprendervi la natura delle guerre
militari e commerciali che lacerano il pianeta. Chi delinea una
resistenza incentrata su reti Lilliput di comunità locali in difesa dei
“beni comuni”, resterà isolato dalle grandi masse alle prese con la
scarsità delle risorse.
Cassano ripropone l’insegnamento gramsciano,
ovvero la necessità di affidare alla politica, pur in condizioni
avverse, l’impresa di costruire un blocco sociale più largo, capace di
opporsi all’egemonia del capitale. Non potrà essere più una rete
tradizionale di alleanze sociali, dovrà comprendere la nuova dimensione
individuale del lavoro autonomo, dell’imprenditorialità, del precariato,
dei diritti legati all’ambiente e alla cittadinanza.
E le categorie già tutelate dalla sinistra? Qui il discorso si fa scivoloso ma affascinante.
Rimanere
aggrappata alla rappresentanza (decrescente) dei garantiti equivale a
una rinuncia perché sinistra vuol dire “molti” e la politica è il luogo
dei molti.
Ma allora bisogna anche riconoscere l’impossibilità di una
difesa efficace dei diritti che prescinda dalle ragioni della
competitività. Cassano chiede alla sinistra di archiviare il patrimonio
dei “trenta gloriosi” anni in cui si estese quello Stato sociale le cui
garanzie oggi rimangono appannaggio di minoranze organizzate.
Non
sarebbe corretto forzare il suo ragionamento dentro alle lacerazioni
odierne della sinistra italiana alle prese con la riforma del mercato
del lavoro. Eppure riesce difficile ignorarle di fronte a questa sua
affermazione: «I diritti accumulati nel corso dei “trenta gloriosi”
devono essere rinegoziati e resi compatibili con le risorse che un paese
produce e di cui dispone nonché con la sua posizione all’interno del
mondo globale».
Poco m’interessa stabilire se gli stimoli di Cassano
alla ricerca di un nuovo blocco sociale suonino renziani o antirenziani.
Ma certo, come per la Chiesa di Francesco, egli sembra suggerirci che
anche per la sinistra del Ventunesimo secolo non possano esistere
“valori non negoziabili”.
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