martedì 18 novembre 2014

Un libro su Ferdinand de Saussure

Ferdinand de Saussure, il linguista senza qualità
Nunzio La Fauci: Ferdinand de Saussure, il linguista senza qualità, ETS

Risvolto
“Un uomo siffatto è però un caso tutt’altro che semplice. Poiché le sue idee, quando non siano oziose fantasticherie, non sono altro che realtà non ancora nate”: sul bordo del baratro della Modernità matura, Robert Musil ritrae così, e con altre complementari pennellate, un tipo ideale di essere umano. A tale tipo corrisponde il protagonista del suo romanzo, celebre e incompiuto; come, per altri versi, vi corrisponde un involontario protagonista del romanzo, forse meno celebre ma altrettanto incompiuto, della linguistica moderna: “Questi possibilisti vivono, si potrebbe dire, in una tessitura più sottile, una tessitura di fumo, immaginazioni, fantasticherie e congiuntivi”.

Ferdinand de Saussure moriva nel 1913. In chiusura dell’anno centenario, ecco un punto di vista che, di scorcio, con tratti sommari ma mirati a una secca pertinenza, suggerisce un modo di restituirlo per intero a un possibile futuro della sua fantastica disciplina, così restituendolo, forse, a se stesso.


Saussure, l’uomo che inventò lo strutturalismo (a sua insaputa) 

8 nov 2014  Libero LUCIO D’ARCANGELO 

Nessun linguista europeo è stato tanto studiato e citato come Ferdinand de Saussure. Le ristampe del suo Cours de linguistique générale (1916) non si contano: tra le ultime (2009) l'edizione Laterza e quella della Cambridge University Press. Anche gli studi sulla sua opera abbondano: tra i più recenti A Guide for the Perplexed di Paul Bouissac (2010) e Saussure di John E. Joseph ( Oxford University Press, 2012). Negli Stati Uniti è uscito persino un Saussure for Beginners, illustrato con fumetti (Writers and Readers Publishing). 
Ma nel suo recente Ferdinand de Saussure, il linguista senza qualità Nunzio La Fauci (Università di Zurigo) paragona Saussure al contemporaneo Uomo senza qualità di Robert Musil. Entrambi, Saussure e il personaggio di Musil, sono scettici e problematici. Entrambi abbozzano idee e progetti che non portano a compimento o che riluttano a realizzare. Il maggior titolo di gloria del linguista , il Cours che raccoglie le lezioni tenute dal 1907 al 1911, uscì postumo nel 1916 e non fu scritto da lui. Il testo fu redatto da due suoi discepoli, i linguisti Charles Bally e Albert Séchehaye , i quali usarono per la stesura i propri appunti e quelli lasciati da altri cinque discepoli oltre che da Saussure stesso. A cosa si deve questa riluttanza a pubblicare? In una lettera al comparatista Antoine Meillet del 4 gennaio 1894 Saussure mostra di ritenere del tutto strumentale l'impresa a cui, «senza entusiasmo», si era accinto: far comprendere «che cos'è la lingua in generale». «In ultima analisi, scrive, l'unica cosa che conserva per me un forte interesse è l'aspetto per così dire etnografico di una lingua, quell'aspetto pittoresco che la differenzia da tutte le altre, in quanto appartenente ad un popolo con determinate origini». Quella linguistica generale, che molti considerano esclusivo merito di Saussure, nasce da un testo scritto malgré soi. L'idea della lingua come «struttura» ovvero come un tutto coerente ( dans la langue tout se tient) era già in nuce nella pratica dei linguisti contemporanei di Saussure, soprattutto tedeschi, i«neogrammatici».  
Ma fu merito del linguista ginevrino portarla alla luce, distinguendo tra la langue, cioè la dimensione sociale del linguaggio realtà astratta, impersonale, e la parole, concreta e individuale. Questa dicotomia, fu assunta come un dogma dai successori di Saussure, con ciò fraintendendo il suo vero intento: porre problemi più che di risolverli. Lo stesso accadde negli anni '70 con un revival che andò ben oltre la linguistica. Il cosiddetto «strutturalismo», estrapolato dal Cours, divenne l'ortodossia dominante nelle scienze umane e Foucault ne fece una nuova metafisica. Caso non meno sorprendente: la popolarità di Saussure si deve alla parte più problematica e controversa, se non proprio apocrifa, del suo insegnamento: quella nozione di «arbitrarietà del segno» tante volte citata, più o meno a sproposito, ed arrivata persino al cinema con Prima la musica, poi le parole (2002) di Fulvio Wetzl. Saussure definì arbitrario il segno linguistico in quanto non c'è nessun rapporto evidente tra significante e significato: ad esempio, tra l'idea di «cane» e la parola che lo designa. Ma nel corso delle sue lezioni era tornato più volte sul concetto; anche per colpa di chi aveva trascritto e revisionato il testo delle lezioni, la nozione restava ambigua. Saussure in ogni caso sembrava escludere che (a parte le onomatopee) la parola potesse avere in sè qualcosa di «iconico»: fosse cioè un'imitazione del significato , come avviene, ad esempio, con termini come «allappare», «goffo», «ghirigoro», ecc. E i suoi ultimi studi finirono per contraddire le lezioni del Cours. Per lui, il significante - il puro suono- si emancipa dal significato assumendo il valore stesso della poesia. Saussure aveva scoperto il tao della lingua? La sua reclusione nel castello di Wufflens, a Ginevra, dove morì, il 27 febbraio del 1913 fu, in questo senso, emblematica.

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