lunedì 10 novembre 2014

Una stroncatura per The Endless River dei Pink Floyd


Pink Floyd, un fiume senz’acqua 
Musica. Arriva The Endless River, il nuovo album della leggendaria band britannica. Trattasi però di materiale inciso vent'anni fa e rielaborato da David Gilmour e Nick Mason negli ultimi due anni, dopo la dipartita di Richard Wright

Stefano Crippa, il Manifesto 9.11.2014 

Detto con tutta fran­chezza, sen­ti­vamo real­mente la man­canza di una nuova pro­du­zione Pink Floyd sapendo che Roger Waters da quella fami­glia si è distac­cato ormai da trent’anni, che il povero Richard Wright se ne è andato da que­sta terra da tempo e che Nick Mason e David Gil­mour – gli ultimi inte­stari della ditta – non sem­bra­vano par­ti­co­lar­mente inte­res­sati a ria­ni­mare il mori­bondo marchio? 
One­sta­mente no, e spe­ra­vamo che ne fosse con­sa­pe­vole la ‘cop­pia’ attuale inte­sta­ta­ria della pre­miata ditta. E invece forse spinti da incal­zanti pres­sioni della major a cui non pareva vero di lan­ciare sul mer­cato nata­li­zio un ‘nuovo’ cadeaux grif­fato ‘feni­cot­tero rosa’, o per dare chissà quale lustro ad alcune com­po­si­zioni regi­strate vent’anni fa insieme al com­pianto Wright, eccoli arri­vare nei negozi con The End­less river per quello che, assi­cu­rano, sarà il capi­tolo defi­ni­tivo della Floyd factory. 
Pec­cato che que­sto — giu­sto per para­fra­sare l’ultimo atto trentun’anni fa dell’esperienza con Waters, del pas­sato scin­til­lante della band man­tenga poco e nulla se non un certo ammic­ca­mento al sound e ai tim­bri, a pas­saggi orche­strali che riman­dano alle loro opere nei set­tanta. Si è detto trat­tarsi di mate­riale regi­strato all’epoca di The Divi­sion Bell, quindi poco più che tracce rie­la­bo­rate in sola forma stru­men­tale – tranne in un pezzo – che danno sem­pre quell’impressione di incom­ple­tezza, anche se Gil­mour e Mason ci hanno lavo­rato sopra aggiun­gendo parti e stru­menti negli ultimi due anni. Per fare un esem­pio, It’s what we do sem­bra uno strano e mal­riu­scito incro­cio tra Shine on you crazy dia­mond e Wel­come to the machine.
Ani­sina, pia­no­forte, chi­tarre arpeg­giate, una tastiera che entra e sem­bra aprirsi su una frase ariosa; a qual­cuno può rie­cheg­giare Us and Them. Però il brano non decolla, mai. E si potrebbe con­ti­nuare all’infinito. Se volete – pink­floy­diani con­vinti come il sot­to­scritto – con­ti­nuare a farvi del male, ne esi­ste anche una ver­sione deluxe con­te­nente altri tre­dici minuti di musica stru­men­tale. Asso­lu­ta­mente perdibili.

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