lunedì 10 novembre 2014
Renzo Fubini e una storia della Seconda guerra mondiale
Federico Fubini: La via di fuga, Mondadori
Risvolto
Chi sono i personaggi ritratti in quella foto di famiglia ingiallita che
li immortala nella notte di fine anno del 1929, tutti in posa e
gerarchicamente collocati intorno a una trisavola e al bisnonno Riccardo
Fubini? Parte dalla curiosità suscitata da quell'immagine la lunga
ricerca dell'autore sulle vicende che hanno coinvolto i suoi parenti e
in particolare il prozio Renzo Fubini, allora venticinquenne, durante
gli anni del fascismo e della Seconda guerra mondiale. Renzo, laureato
cum laude in economia con Luigi Einaudi, grazie a una borsa di studio
della Rockefeller Foundation è appena stato a Londra e a New York, dove
si è ritrovato catapultato in pieno nel crash di Wall Street e nella
grande depressione degli anni Trenta. Due eventi che Renzo guarda e
commenta non solo da economista. Gli interessa scoprire come reagiscono
le persone di fronte al crollo del loro mondo. Se lo chiede anche
Federico Fubini, suo pronipote, davanti alla crisi attuale che ha
gettato la Grecia nel caos risvegliando i germi di un fascismo latente, e
che morde l'Occidente e l'Italia in particolare. Si reagisce con tre
possibili scelte, sosterrà nel 1970 l'economista Albert Hirschman, ex
allievo di Renzo all'università di Trieste: exit, voice, loyalty,
defezione, protesta o lealtà al sistema in declino. Come hanno dunque
risposto i protagonisti di questa storia sfaccettata, che rimbalza di
continuo fra gli anni bui delle persecuzioni razziali e della guerra, e
quelli di oggi nella Grecia di Alba Dorata o la Catanzaro del mercato
dei voti comprati? Renzo, rendendosi conto di rischiare la vita,
cercherà di espatriare chiedendo l'appoggio di Einaudi per un incarico
all'estero. Altri, in Grecia o a Catanzaro, faranno scelte simili o
diverse. Ma sotto la lente di ingrandimento dell'autore un'altra opzione
sembra farsi strada, a ben vedere molto più allarmante: «Oggi, certo,
viviamo in un mondo fondamentalmente diverso. Eppure le persone che
avevo visto in Grecia o a Catanzaro ... mi fecero sospettare che
Hirschman si sbagliava. Non c'erano solo la defezione, la protesta o la
lealtà. C'era anche una quarta strada aperta di fronte al declino del
proprio paese o del proprio sistema: il rifiuto della realtà».
Un economista ad AuschwitzI silenzi uccisero Renzo Fubini Era allievo di Einaudi. Che non seppe vedere cosa stava accadendo
di Aldo Cazzullo Corriere 10.11.14
«La polizia italiana di Aosta arrestò Renzo Fubini il 7 febbraio 1944 in
un convento di Ivrea. Lo attirarono all’esterno dicendo che avevano un
messaggio da parte della moglie, e lo presero. Avevano ricevuto una
lettera non firmata: all’epoca le delazioni venivano rimunerate 5 mila
lire, più o meno 250 euro di oggi, ma pare che questa sia rimasta
anonima».
Le pagine che Federico Fubini dedica alla storia di Renzo, fratello di
suo nonno, hanno l’asciuttezza e la forza di un grande libro. Il titolo,
La via di fuga (Mondadori), indica il tentativo vano dell’economista
ebreo, allievo di Luigi Einaudi, borsista alla Rockefeller Foundation di
New York nel pieno della Grande depressione, di sottrarsi alla
persecuzione razziale e allo sterminio nazista. Ma indica anche il
possibile rimedio a una crisi — quella di oggi, come quella degli anni
Trenta — che non è soltanto economica ma è anche politica, culturale,
morale.
Il Fubini giornalista, che indaga sulla compravendita di voti in
Calabria (terra dove affonda le radici un altro ramo della sua famiglia)
e sull’avvento di Alba Dorata nell’ora più nera del collasso greco, si
identifica in parte con la ricerca dell’antenato economista, cui
somiglia in modo impressionante, come dimostra il confronto tra la foto
del protagonista in copertina e quella dell’autore.
Ovviamente il libro restituisce la terribile singolarità della tragedia
degli ebrei italiani nel secolo scorso. Ma emergono anche elementi di
raffronto tra il modo in cui l’Italia reagisce alla crisi del ’29 e alla
svolta isolazionista e bellicista del fascismo, e il modo altrettanto
inadeguato in cui oggi il nostro Paese, il nostro apparato produttivo e
le istituzioni europee stanno reagendo a una crisi che minaccia di
produrre devastazioni sociali e politiche quasi altrettanto gravi.
L’autore cita un allievo di Renzo all’università di Trieste,
l’economista Albert Hirschman, secondo cui ci sono tre modi di reagire
alle crisi: exit , defezione; voice , protesta; loyalty , lealtà al
sistema in declino. E in effetti la perseveranza con cui le Merkel e gli
Schäuble insistono nella loro visione ortodossa del monetarismo e del
rigore può ricordare l’ottusità con cui il presidente americano Hoover
rifiutò sino all’ultimo la possibilità di un piano di investimenti
pubblici per far ripartire l’economia. Ma, sostiene l’autore, i fatti
dell’Italia nella tempesta delle leggi razziali e della guerra e la
vicenda dell’Europa di oggi mostrano che esiste una quarta reazione
possibile: il rifiuto della realtà.
Quasi con dolore Federico Fubini annovera anche Luigi Einaudi tra gli
studiosi — e gli italiani — che rifiutarono di vedere la realtà. Come
studioso, il maestro di Renzo Fubini restò ancorato alla visione
classica di Von Hayek, mentre l’allievo era affascinato dalle teorie
«interventiste» di Keynes, che contribuirono a trascinare l’America
rooseveltiana fuori dalla grande crisi. Come italiano, Einaudi non
presagì la tempesta imminente. E non si impegnò per far avere a Renzo un
posto all’estero, che l’avrebbe tenuto lontano dal dramma delle leggi
razziali e poi dell’occupazione tedesca.
«Dopo aver portato via Renzo, la squadra di poliziotti andò
all’appartamento in una frazione poco lontano dove si nascondevano (sua
moglie) Marisetta con la figlia Bice, la madre Rosetta Segre e la nonna
Bella Allegra Treves. Lei rifiutò di farsi prendere. Disse che non
potevano portarla via, perché la legge italiana vietava di arrestare le
madri durante l’allattamento. Il caposquadra decise di tornare in
caserma a prendere istruzioni, si allontanò e dette il tempo a Marisetta
di sparire con Bice, la madre e la nonna mentre Renzo era già in
prigione».
Fubini restituisce bene i limiti della cultura economica e
imprenditoriale di un Paese «chiuso, gretto, ignorante» come l’Italia
fascista, spazzando via insopportabili luoghi comuni e rivalutazioni
postume consolatorie ma prive di basi storiche. E addita la continuità
delle istituzioni economiche del regime anche nella nuova Italia
democratica: «Si è traghettato nella Repubblica il corporativismo, è
proseguita l’intrusione della politica nell’azionariato delle imprese e
delle banche, e anche l’amministrazione pubblica sarebbe rimasta in
democrazia più votata al controllo e al confondere e occultare le
responsabilità dei singoli burocrati che all’efficienza o al servizio
dei cittadini». Oggi i nodi vengono al pettine, i ritardi dello Stato si
sono accumulati, lo scambio tacito tra bassi salari e bassa
produttività (anche nell’impresa privata) ha dato i suoi frutti
avvelenati: e di fronte alla crisi del sistema e al declino del Paese
molti italiani si rifugiano, come i loro nonni, nel rifiuto della
realtà. Siamo ancora in tempo a cercare «la via di fuga» che in un
contesto lontano e non paragonabile sfuggì a Renzo Fubini. Ma adesso
come allora fingere di non stare vivendo un tornante della storia, che
richiede risposte straordinarie, può portarci alla rovina. E il riscatto
è possibile, ma resta tutto da costruire.
«Il convoglio arrivò ad Auschwitz il 23 maggio 1944 e Renzo Fubini fu
immatricolato con il numero A-5410. Qualcuno dichiarò di averlo visto
all’ospedale di Birkenau a metà settembre. Secondo un documento del
ministero della Pubblica Istruzione del 1950, invece, in un campo
satellite di Auschwitz già il 30 luglio sarebbe “deceduto per
esaurimento”». Molti anni dopo, Marisetta, la moglie di Renzo,
racconterà a sua figlia Bice di aver chiesto a un superstite della Shoah
«di dichiarare in un ufficio pubblico di aver assistito al decesso di
Renzo. Bice non è sicura, ma probabilmente quel testimone fu Primo
Levi».
Che via di fuga hai quando il mondo crolla?
Elena Masuelli Tuttolibri 15 11 2014
Un «pugno di lettere» può bastare a stimolare la voglia di ricostruire una lontana storia privata, raccontandola con lucidi occhi che guardano a ciò che ci succede intorno. La via di fuga è l’originale omaggio del giornalista Federico Fubini al prozio Renzo, laureato in economia con Luigi Einaudi e borsista alla Rockefeller Foundation, testimone del crollo di Wall Street e della grande depressione degli anni Trenta, giovane professore ebreo vittima delle persecuzioni razziali, morto ad Auschwitz. Ma è anche l’intuizione dell’attualità di quel tempo, riconoscendo nel nostro le stesse modalità di reazione e i tentativi di sopravvivere.
Un’indagine condotta conciliando affetto e metodo, attraverso archivi e raccolte di giornali, rare testimonianze e sgualciti documenti conservati da chi Renzo lo ama, senza averlo conosciuto. Fogli sottili di carta azzurrina, fitti di appunti, restituiscono i tratti di una personalità schiva e prudente, curiosa, percorsa da «un magnete che lo attraeva negli ingranaggi della storia». La vita segnata dalla fretta, prima ancora che dalla paura, «come se sentisse che il tempo non gli bastava a vedere tutto, imparare tutto, esprimere, aprirsi, respirare». Affascinato da Keynes, più che da Hayek, al contrario di Einaudi: il maestro che lui ha il coraggio di mettere in dubbio, il potente amico di famiglia che, nonostante missive accorate e deferenti, non intercede per farlo espatriare, non lo salva.
Con un continuo parallelismo fra ieri e oggi, Fubini porta il lettore a Catanzaro a «conoscere» Gianpietro, mezzo italiano e mezzo zingaro, disoccupato geometra senza timbro, troppo istruito per essere un rom, con l’indirizzo sbagliato per essere «normale». La volontà di non arrendersi alla città della compravendita dei voti che rende impossibile la vittoria dell’idealista candidato sindaco Salvatore Scalzo e lo fa emigrare; delle inchieste del procuratore Dominijanni, sempre il lotta contro i difetti di forma, gli occhi chiusi dei suoi collaboratori, la prescrizione dei processi; della piccola azienda informatica che, per mietere successi, vive mimetizzata e silenziosa. E poi il viaggio nella Grecia devastata dal fallimento, per «tramonti dalle dita di rosa» e autostrade deserte dirette verso il nulla, fino alla Nicea dei violenti neonazisti di Alba Dorata che si sostituiscono allo Stato, distribuiscono cibo a chi si sottopone a comizi, curano, «giudicano» sommariamente chi si sente derubato.
Tutto è letto attraverso gli scritti di Renzo e quelli di un suo allievo, l’economista Albert Hirschman. Sua la definizione delle tre modalità di reazione alla crisi: exit, voice, loyalty. «Defezione, protesta, lealtà al sistema in declino». Con la constatazione di quanti danni, oggi come allora, mieta la mancanza di fiducia, «ricetta dell’inerzia e della paralisi»; di quanto resistano corporativismo e corruzione; di come «a distanza di un secolo l’Italia riesce ad espellere i corpi estranei». E la presa d’atto di una quarta via, un istinto che fa capolino a ogni disastro finanziario in tutti quelli che, in condizioni divenute impossibili, si rifiutano di fare i conti con la realtà. Ostinati rivogliono indietro «i migliori anni della loro vita».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento