Quando Berlinguer annunciava la palude
«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela. Gestiscono talvolta interessi loschi, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello. Non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile: sono piuttosto federazioni di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi e di soffocare in una palude». A quanti sono tornate in mente in queste ore le parole di Enrico Berlinguer nella famosa intervista alla Repubblica del febbraio 1981? Sono trascorsi più di trent’anni e la palude ormai ci sommerge.
A rischio le ferie dei senatori Il traguardo del 7 gennaio Civati e Fassina potrebbero lasciare
di Maria Teresa Meli Corriere 5.12.14
ROMA Matteo Renzi passa tutta la giornata a Palazzo Chigi, tra telefonate e riunioni ristrette con i fedelissimi. Il commissariamento del Pd romano non ha chiuso definitivamente la questione. Mancano le ultime direttive: «Non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, però non dobbiamo negare che ci sono stati atteggiamenti inquietanti. Ci sono realtà che superano l’immaginazione e non possiamo fare finta di niente».
Ma Renzi è Renzi. E la vicenda romana non lo ferma. Sulla sua scrivania ci sono altri dossier aperti. Primo tra tutti quello della legge elettorale. Il presidente del Consiglio spinge per fare in fretta. Più in fretta di quanto si pensa. La legge dovrebbe essere approvata in Commissione in tempi rapidi, entro il 23 dicembre. Tutti, a Palazzo Madama, sono convinti che la riforma passerà in Aula il 15 gennaio. In realtà, il premier avrebbe dei progetti più ambiziosi, che dimezzerebbero le vacanze dei senatori: «Volendo, potremmo mandarla in porto entro il 7», ha confidato a pochi fedelissimi. Dopodiché, secondo Renzi, il resto del cammino sarebbe una passeggiata: «Alla Camera non abbiamo problemi di numeri».
Tanta fretta mette in allarme quelli che hanno paura delle elezioni anticipate, nonostante Renzi abbia assicurato che una clausola di salvaguardia ci sarà. I ribelli di Forza Italia cercano di convincere Berlusconi che questa accelerazione del premier conferma la sua voglia di andare al voto anticipato. E lo stesso leader di FI è dubbioso in proposito: «Certo, lui può rappresentare un pericolo per la democrazia se va alle elezioni anticipate».
Ma la realtà è un’altra. Renzi è riconoscente a Napolitano per il fatto di aver sottolineato che non sarà certo l’elezione del suo successore a bloccare le riforme. Per questa ragione vuole premere sull’acceleratore. Non intende fare nessuno sgarbo istituzionale al capo dello Stato, non vuole metterlo nelle condizioni di dover decidere di andare via in un momento delicato, in cui la riforma elettorale, a un passo dalla meta, non è ancora chiusa. Basta farla approvare dal Senato e poi, almeno di questo è convinto Renzi, il gioco è fatto.
Certo, bisogna raggiungere questo obiettivo senza lasciare morti e feriti — politicamente, ben si intende — sul campo, perché c’è un’altra partita, ancora più importante,che incombe. Quella del Quirinale. E Renzi intende giocarla di fino. Solo il cammino è più periglioso, perché la questione va trattata in Parlamento. Con Berlusconi, innanzitutto (i contatti tra Palazzo Chigi e via del Plebiscito, tramite i soliti ambasciatori, non si sono mai interrotti). E poi c’è anche la minoranza pd. Nel Partito democratico danno ormai per imminente, se non proprio una scissione, certamente l’uscita di Civati e Fassina . L’approdo successivo è pronto e si chiama Sel. Tutto è già stato più o meno approntato per l’operazione fuoriuscita. Ci sono almeno due tappe che scandiranno l’operazione: il 13 dicembre, a Bologna, Civati ha convocato la sua area, appuntamento cui assisterà e interverrà Vendola, oltre a Fassina. Poco più di un mese dopo, dal 23 al 25 gennaio, sarà Vendola a ospitare i due dissidenti del Pd, questa volta a Milano, alla conferenza «Human factor», una versione contemporanea delle antiche conferenze programmatiche di comunista memoria. Nell’ultima giornata sono previsti gli interventi del duo Civati-Fassina e, a quel che circola negli ambienti della sinistra, dovrebbe arrivare l’annuncio della fuoriuscita del tandem dal Pd e dell’ingresso in Sel (di Civati si dice da tempo che diventerebbe il vice di Vendola).
Se questo è il timing della separazione, ci sono però delle incognite costituite da alcuni passaggi politici importanti che potrebbero non inficiare l’operazione, ma forse ritardarla o cambiarne i percorsi. Come, appunto, l’elezione del nuovo inquilino del Colle, innanzitutto, prevista per la metà di gennaio: lo strappo dei due potrebbe anche prodursi in quell’occasione, se non dovessero apertamente votare il candidato deciso dal vertice del Pd.
Per ora, comunque, Renzi adotta il suo metodo: lasciare che alleati e avversari si scannino tra di loro. E fare il «suo» nome all’ultimo momento. Sarà un politico di lungo corso, sarà un pd, ma non di sinistra (come ha chiesto Berlusconi), sarà un cattolico, sarà un esponente di fronte al quale anche ai prodiani sarà difficile dire di no, assicurano dall’entourage del segretario. Sarà Pierluigi Castagnetti, sussurra qualcuno. Ma senza conferma alcuna.
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