Per mestiere ho ucciso i bulli
«Ero un’arma con un cuore. Ora voglio dare la vita»
Dialogo tra un ex Marine e un filosofo della scienza Colloquio di Giulio Giorello con David Tell
Corriere La Lettura 14.12.14
«Tutti
mentono, spesso a se stessi più che agli altri». Così in Io sono
un’arma (scritto originariamente in inglese, ma pubblicato in prima
assoluta da Longanesi). L’autore si firma David Tell. Sia un caso o no,
il cognome dello pseudonimo suona come il verbo che in inglese significa
«narrare, confessare, rivelare». David, che ha lasciato il corpo dei
Marines e vive in Italia da qualche anno, è tenuto alla riservatezza su
non pochi aspetti della sua carriera militare, nonché per ragioni di
sicurezza personale. Il libro mi pare non solo la cronaca di un duro
addestramento, ma un vero «romanzo di formazione», pervaso da un
disperato bisogno di sincerità. Il nostro dialogo è cominciato con una
domanda che è forse la sfida più difficile di tutta la filosofia: cosa
mai voglia dire «Conosci te stesso».
DAVID TELL — Quando mi sono
arruolato mi pareva essenziale sapere fino a che punto potessi
spingermi, se mi sarei spezzato, se sarei invece diventato più forte. Ma
quando si scende nel proprio profondo per scoprire ciò che lì si cela, è
spesso difficile confrontarsi con ciò che si è realmente. Per esempio: i
Marines insegnano a comportarsi in maniera altruistica; ed è facile,
quando si sta bene. Ma immagina di essere allo stremo delle forze, da
giorni senza sonno e senza cibo, e il tipo di fianco a te se la passa
ancora peggio: nessuno ti comanda di aiutarlo. Ma se riesci a trovare
dentro di te l’energia straordinaria per farlo, allora hai raggiunto un
livello di consapevolezza che non ti lascerà più per tutta la vita.
GIULIO
GIORELLO — È una forma di conoscenza di sé che ha anche una valenza
morale, perché mette in gioco le nostre idee su cosa è bene e cosa è
male…
DAVID TELL — Sono convinto che al mondo ci siano figure
irriducibilmente e irrimediabilmente malvagie. Prendiamo Hitler:
rispettava gli animali, era vegetariano; eppure, ha causato la morte di
milioni di persone. Se qualcuno avesse agito già nel 1939, le avrebbe
salvate. Sono convinto che contro tipi del genere il rimedio sia
scovarli il più rapidamente possibile, e ucciderli o imprigionarli a
seconda delle circostanze. Se si opera nel proprio Paese d’origine, la
questione usualmente viene lasciata alla polizia; se invece l’operazione
si estende al mondo intero, non è più così; ci devono essere apposite
unità militari destinate al compito. Sorge allora il problema che gli
individui malvagi sono spesso coperti dalle Convenzioni di Ginevra (sul
trattamento dei prigionieri di guerra) e dalle Convenzioni dell’Aia (sui
crimini di guerra), sicché anche costoro godono di diritti. Questo è
l’autentico nodo morale: quei tipi sono certamente malvagi; ma per
combatterli efficacemente, si violano i loro diritti. E allora diventi
come loro, diventi malvagio tu stesso.
GIULIO GIORELLO — Nel libro
racconti che una delle motivazioni che ti ha spinto ad arruolarti era
combattere il «bullismo» e i Marines erano per te «gli anti-bulli». Poi
aggiungi che il leader di un qualsiasi «Stato canaglia» non è altro che
«un bullo con un esercito». Eppure, leggendo il libro, si ha talvolta
l’impressione che qualche forma di bullismo si annidi anche nel corpo
dei Marines…
DAVID TELL — Anche fra i Marines i bulli non mancano;
ma non ho mai pensato che il mio libro dovesse essere una completa
condanna oppure una totale approvazione dei metodi di addestramento e
dei modi di vivere nel Corpo. Certo, mi sono trovato a lavorare per e
con tipi piuttosto stupidi e arroganti, persino avidi e spesso
ossessionati dai loro pregiudizi. Però ho incontrato anche gente in
gamba, intelligente e profonda, pronta a fare qualsiasi cosa per
aiutarti.
Non direi che il Corpo costituisca globalmente un fenomeno
di bullismo. Piuttosto, l’immagine di una guerra combattuta da due
parti che vanno cavallerescamente alla carica l’una contro l’altra sul
campo di battaglia non vale più; adesso bisogna cogliere impreparato il
nemico, andando a stanarlo come, dove e quando si vuole… Tutto accade
così rapidamente che la battaglia è terminata prima ancora che il nemico
abbia avuto la possibilità di reagire. Dunque, un piano ben congegnato
prevede di prendere il nemico alle spalle. Questa si potrebbe
considerare una tattica da bulli, ma è anche l’unico modo intelligente
di combattere, perché consente di risparmiare il maggior numero
possibile di vite umane.
Per di più, i Marines stanno facendo del
bene nel mondo in misura assai maggiore di quanto si ammetta
comunemente. Per esempio, si impegnano a prestare il primo soccorso sia
in crisi militari sia in catastrofi ambientali. D’altra parte, con la
loro tendenza a vedere il mondo in bianco e nero, senza badare troppo
alle sfumature di grigio, si prestano a eseguire ciò che la maggior
parte della gente non vorrebbe mai fare in prima persona.
GIULIO GIORELLO — «Sono considerato un killer», leggiamo all’inizio del libro. Ma non è così per ogni soldato?
DAVID
TELL — Oggi, in quelle che vengono definite «guerre a bassa intensità»,
è difficile tracciare una netta distinzione fra il militare medio e le
forze speciali. Tipicamente, i soldati ordinari si trovano su un campo
di battaglia specifico, in cui combattono quelli di un’altra nazione; e
tendenzialmente prendono parte a guerre molto estese, sia come scenari
sia come numero di truppe coinvolte. Invece, FastCo, l’unità cui
appartenevo, non scende mai su un vero campo di battaglia: sarebbe uno
spreco di risorse e di capacità. Viene utilizzata su terreni
relativamente poco estesi: si tratta di infiltrarsi dietro le linee
nemiche o in zone prive di un governo, o magari laddove non c’è guerra
dichiarata e sarebbe imbarazzante essere sorpresi lì con le armi in
pugno. Nelle nostre missioni facevamo attacchi di precisione chirurgica
in posti chiave contro qualsiasi obiettivo per cui ci fossero ragioni
strategiche.
GIULIO GIORELLO — Si tratta dunque di essere the point
at the tip of the spear , come suona il titolo del libro in inglese. È
così che colpisce «la punta della lancia»?
DAVID TELL — In missioni
del genere non c’è tempo di riflettere o di chiedere l’opinione di
qualcuno: devi decidere in prima persona. E poi devi essere in grado di
vivere con il peso delle tue decisioni, che possono essere di ordine
morale, ma anche di tipo operativo. Chi ci ha scelto voleva gente che
possa sopportare fisicamente e mentalmente le conseguenze del decidere
subito. Già in questo senso diventi un’arma che chi governa può
adoperare in qualsiasi modo gli paia opportuno. E quando sei diventato
quest’arma, c’è una parte di te che è orgogliosa di far parte di un
gruppo d’élite; ma tutto ciò ha un costo umano altissimo.
GIULIO GIORELLO — Ti definisci, in conclusione, un’arma umana dotata di sentimenti…
DAVID
TELL — Anche se ci fanno diventare delle armi, non siamo dei fucili:
per funzionare bene, un fucile ha bisogno di essere tenuto pulito e in
ordine, ha bisogno di qualcuno che si occupa di lui, ma non «sente»
nulla; anche le persone hanno bisogno di chi si occupa di loro, ma non
per questo perdono i propri sentimenti, che sono sempre lì, celati da
qualche parte. E chi mai vorrebbe trovarsi in una missione «terminale» a
fianco di tipi che non hanno sentimenti?
Comunque, le operazioni
speciali a cui ho preso parte sono una cura temporanea. Possono essere
straordinariamente efficaci contro i sintomi, ma non eliminano le radici
del male. Puoi uccidere Osama Bin Laden, ma ci sarà sempre chi ne segue
le orme. E di fatto non si possono uccidere tutti! Per di più, i
terroristi e altri «bulli» possono approfittare delle conoscenze
tecnologiche e informatiche più avanzate.
GIULIO GIORELLO — Per
reazione, nelle nostre società emerge sempre più la tendenza dei singoli
individui a rinunciare a una parte delle loro libertà in cambio di
maggiore sicurezza…
DAVID TELL — I governi di solito offrono solo
un’illusione di sicurezza. Prendiamo i controlli agli aeroporti.
Sembrano severi; in realtà, il personale addetto non ha alcuna
formazione specifica, svolge un lavoro malpagato ed è spesso demotivato.
Il progetto è di farci sentire sicuri, in modo che volentieri cediamo
le nostre libertà per rafforzare chi ci governa. Corriamo un gravissimo
rischio: potrebbero riemergere pulsioni di tipo fascista.
GIULIO GIORELLO — Nel libro dici che spesso l’esistenza di un Marine ruota, in definitiva, attorno alla morte.
DAVID
TELL — Quello per cui i Marines esistono, il loro primo compito, è
uccidere i nemici. Pensano alla morte, perché la morte è il loro
mestiere e anche il pericolo che li sovrasta. Lo ammetto pure adesso che
ho lasciato quel Corpo che mi aveva modellato come un’arma umana.
GIULIO
GIORELLO — C’è tutta una filosofia secondo la quale «viviamo per la
morte», sia nostra che altrui. È davvero l’ultima parola?
DAVID TELL
— No. La parte più importante dell’esistenza è portare alla vita
qualcun altro, e soprattutto fornirgli dei principi morali per convivere
con gli altri nel rispetto reciproco. Direi ora che lo scopo della mia
esistenza è portare più vita, e cercare di rendere queste nuove vite
migliori della mia.
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