Risvolto
giovedì 4 dicembre 2014
L'affaire Dupuis e la tragedia del cattolicesimo nella postmodernità
Una tragedia molto più seria di quanto Repubblica possa apprezzare, impegnata com'è in una guerra per la "laicità" e il "pluralismo" che è camuffata da illuminismo ma celebra in realtà la religione ermeneutico-relativistica del capitale.
Il che non significa, ovviamente, svaccare in senso opposto e rivalutare i baciapile [SGA].
Jacques Dupuis: Perché non sono eretico. Teologia del pluralismo religioso: le accuse, la mia difesa, introduzione di: William R. Burrows, Emi, pagg. 224, euro 17
Risvolto
«Se avessi detto, voluto dire o creduto quello che loro mi
attribuiscono, sarei davvero un eretico. Ma non l’ho fatto». Così si
esprime in queste pagine Jacques Dupuis, il gesuita e teologo famoso per
la sua pionieristica «teologia del pluralismo religioso». Una posizione
che, a cavallo dell’anno 2000, gli costò le critiche e l’indagine della
Congregazione per la dottrina della fede, presieduta dall’allora
cardinal Joseph Ratzinger.
Per la prima volta viene qui presentata al lettore l’autodifesa di
Dupuis – molto stimato nella Compagnia di Gesù – di fronte all’ex
Sant’Uffizio: un’apologia di sé e del proprio lavoro di ricercatore, che
Dupuis considerò sempre e solo «cattolico», nel senso di «universale».
L’affaire Dupuis l’ultimo eretico messo al bando dal VaticanoEsce l’autodifesa del gesuita morto nel 2004 accusato per aver sostenuto il dialogo interreligioso
di Giancarlo Bosetti Repubblica 4.12.14
UN libro postumo costringe a riaprire il dossier di Jacques Dupuis, il
teologo cattolico belga del pluralismo religioso, trattato e
“notificato” come un eretico dal cardinale Ratzinger, allora prefetto
della fede. Era il 2000, lo stesso anno, gli stessi giorni in cui usciva
la Dichiarazione “Dominus Iesus”, il più criticato documento pontificio
degli ultimi decenni, acclamato solo dagli “atei devoti”. Dupuis è
morto a ottantuno anni nel 2004, accasciandosi nella mensa della
Università Gregoriana, depresso per le accuse di eresia.
Dupuis era amareggiato per essere divenuto il bersaglio di un
procedimento dell’inquisizione e per essere la “bestia nera” proprio di
quel testo con cui la Chiesa arretrava di fronte al dialogo con le altre
religioni, e umiliato per la sospensione dall’insegnamento. Il libro
che appare ora in italiano per EMI (le cattoliche Edizioni missionarie
italiane) è stato curato dal suo editor e amico americano William
Burrows e contiene due lunghi testi di autodifesa, dello stesso
condannato, nei confronti della “notificazione” (la sentenza della
Congregazione della Dottrina Fede) e di accusa contro la «Dominus
Iesus», che a Dupuis fu chiesto di condividere, come prova della bontà
del suo pentimento. Il mite teologo belga non accettò di condividere e
di firmare una prima versione della sentenza che lo accusava di «gravi
deficienze» e dedicò gli ultimi anni a stendere questi scritti. Firmò
poi una seconda versione della notificazione (piegandosi alle esigenze
“politiche” di una situazione che lo imbarazzava) in cui il reato era
diminuito a «notevoli ambiguità». Quel movimentato cambio dei testi
coinvolse Papa Wojtyla in una delle pagine più ingloriose nella
traiettoria di Ratzinger.
Il titolo italiano suona Perché non sono eretico , quello inglese
Jacques Dupuis Faces the Inquisition . Il primo, più prudente del
secondo, rispecchia comunque lo sconcerto di un teologo, che Burrows
definisce «revisionista» ma ortodosso, per non essere stato capito e
persino non proprio «letto» dal cardinale Ratzinger. Questi si sarebbe
malauguratamente affidato — scrive l’autore, cui l’avrebbe confidato
personalmente il futuro pontefice, guardandolo negli occhi — ai giudizi e
agli scritti del segretario di Stato Tarcisio Bertone e del consultore
della Congregazione Angelo Amato, due figure chiave del papato di
Benedetto XVI. Il secondo, che è stato poi promosso cardinale ed è
attualmente prefetto della Congregazione delle cause dei santi, è
generalmente considerato l’estensore della “Dominus Iesus”.
Dupuis è sempre stato consapevole della difficoltà della sua impresa
teologica. Il suo obiettivo era quello di riprendere il tema, per
eccellenza plurale, delle dosi di verità e di possibile salvezza
concesse al di fuori della Chiesa e ai noncristiani, di riprenderlo dove
l’aveva lasciato il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra
aetate ( 1965). La sua Chiesa come quella di Giovanni XXIII e di Paolo
VI «nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle altre religioni e vi
riconosce «un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini».
Idee rafforzate dalla lunga esperienza asiatica: aveva speso 36 anni in
India. Tu non puoi vivere — diceva — a contatto con la fede di milioni e
milioni di esseri umani devoti ai loro riti, dotati di morale e senso
del peccato, e poi immaginare per loro nient’altro che la dannazione
perché non sono entrati a far parte della Chiesa Romana, una opportunità
di cui tre quarti dell’umanità non è neppure venuta a conoscenza.
La teologia del dialogo rimaneva per lui strettamente all’interno di una
visione “cristocentrica” della salvezza, certo distinta dalla
prospettiva “ecclesiocentrica”, di cui non ha trovato le basi nei testi
sacri e che riteneva frutto maligno della paura. E ha prodotto in queste
pagine un lavoro affascinante anche per i non credenti. L’opera
imponente di Dupuis cui è stata destinata la censura del tribunale
vaticano è Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso ,
(Queriniana, 1997). Non è soltanto teologia, è anche una storia del
pensiero, interamente ripercorsa attraverso la ricerca del principio di
salvezza dai primi alessandrini fino ai giorni nostri. Dupuis individua
passaggi lampeggianti, come in Origene di Alessandria, che, forte del
suo platonismo, immaginava per tutto il genere umano una finale
restituzione o riabilitazione; si soffermava sulle pagine del De Pace
Fidei di Nicola Cusano, umanista ma anche potente cardinale del
Quattrocento, che immaginava un concilio celeste in cui tutte le fedi
del mondo trovavano un accordo sulla unicità della religione «nella
varietà dei riti». Per Cusano, in quel sogno, le religioni erano diverse
perché Dio aveva mandato diversi profeti in diversi tempi e con diversi
linguaggi, ma erano in sostanza «complementari».
L’arditezza, certamente sospetta di eresia, non sfuggiva a Dupuis, e
nemmeno a un altro teologo riformatore come Urs Von Balthasar, il quale
scrisse che la mossa di Cusano fu così «avventurosa che ci si può
soltanto sorprendere che non sia stato messo all’indice». Ce lo racconta
lo stesso Dupuis, tenendosi lontano da un possibile peccato di
indifferenza o equivalenza, ma questo non gli impedisce di affrontare il
tema più ri- levante che per un cristiano, come per qualunque fedele di
ogni religione, presenta la comparsa e la vicinanza di tante religioni
diverse.
Nell’esaminare l’ampiezza della prospettiva della salvezza nella
teologia cristiana Dupuis vede tre tappe storiche: una prima in cui il
principio extra ecclesiam nulla salus è affermato in tutto il suo
esclusivismo, quello di un cristianesimo minoritario e assediato,
nell’Impero romano prima di Costantino; una seconda con una limitata
apertura per le altre religioni in quanto primordiale rivelazione; una
terza in cui si colgono valori positivi nelle altre religioni in quanto
preparatori. E vede poi quello che appare come il compito di oggi, non
solo per la teologia cristiana, ma anche per quella delle altre fedi:
rispondere alla domanda «che significato le altre tradizioni hanno nel
disegno divino?». Ed è questo il terreno della sfida per la «teologia
delle religioni» o «teologia pluralista». Quel terreno che gli autori
della “Dominus Iesus” immaginavano di cancellare o di «ordinare», nel
senso di «subordinare» interamente alla gerarchia di verità dettata
dalla dottrina vaticana.
Il testo postumo di Dupuis ci offre oggi anche la più argomentata caccia
alle «ambiguità» e agli «errori» di quel documento che intendeva
sbarrare la strada a una ripresa delle tesi conciliari e a chiudere il
passo al dialogo interreligioso. Questione da riaprire, questione aperta
dalla memoria di un gesuita che attende la riabilitazione.
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