Risvolto
I viaggiatori
cosmopoliti del Grand Tour hanno costruito l’identità del nostro Paese,
hanno contribuito a renderci quello che siamo.
C’è un’Italia vista da dentro e un’Italia vista da fuori:
c’è l’Italia scoperta lentamente da chi la abita e quella scoperta da
chi la conosce da viaggiatore straniero. E forse è proprio quel
viaggiatore a portare nei secoli il contributo maggiore alla formazione
della nostra immagine del Paese. Perché l’Italia costruisce la propria
identità come riflessa in uno specchio: quello dei tourists che dal
Cinquecento alla fine del Settecento viaggiano, e poi raccontano,
dipingono, e soprattutto fanno circolare la cultura. Nasce così la
“Bella Italia” prima ancora che nasca la nostra nazione e, intanto,
cominciano a tessersi i primi fili di quell’identità europea che ancora
ci manca e che nei racconti colti e appassionati di questi viaggiatori
d’eccezione è possibile ritrovare.
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Luigi Grassia Tuttolibri 6 12 2014
«The Grand Tour of France and the Giro of Italy»: a parlare così sarà un inglese contemporaneo che si occupa di ciclismo? No, è la citazione di un inglese del Seicento (Richard Lassells) che scriveva di turismo. A quell’epoca il turismo come lo intendiamo noi era appena agli esordi, e le uniche mete degne erano considerate la Francia e l’Italia; si distingueva fra il Tour e il Giro, che in seguito si fonderanno in un unico Grand Tour europeo con l’Italia al suo centro. Un percorso di formazione indispensabile per i gentiluomini fra il Sei e il Settecento, e un fenomeno plurisecolare che ha costruito il mito dell’Italia nel mondo.
Ma quando è nato il turismo? Persone che viaggiavano solo per la curiosità di vedere paesi e popoli stranieri c’erano già al tempo di Erodoto; però si trattava di singoli individui alla ventura, non esisteva ancora quel poco o quel tanto di organizzato che associamo oggi all’idea di turismo. Nel Medioevo invece l’organizzazione c’era, eccome se c’era, per assistere i pellegrini, i crociati, i mercanti; però il vero turista viaggia per diletto, mentre quelle persone, anche nel caso che fossero mosse (in realtà) solo dal desiderio di vedere posti nuovi, si sentivano in dovere d’inventarsi uno scopo pratico (fede, guerra, commercio) per giustificare a se stesse e agli altri la loro transumanza.
È solo alla fine del Cinquecento, in epoca elisabettiana, che si afferma il vero e proprio Grand Tour come viaggio di svago e istruzione (ma istruzione generica, senza scopo preciso) per i giovani nobili. E a inventarlo sono, manco a dirlo, gli inglesi: nel 1612 un libro di Francesco Bacone fissa il canone del Grand Tour rimasto valido per secoli. Si attraversava la Francia per poi girare in lungo e in largo l’Italia, quindi si tornava attraverso la Svizzera, la Germania e l’Olanda. Curioso che a lanciare la moda siano stati proprio gli inglesi, che in quanto eretici avevano più da temere nell’Italia della Controriforma. Eppure nel Seicento arrivarono a migliaia, protetti da passaporti diplomatici. Uno di loro, in preda a slancio lirico, paragonò Milano e il suo contado ai Campi Elisi; e, con tutto il rispetto per la «Bèla Madunìna», si trattava solo di Milano, l’autore non aveva ancora visto Roma e Firenze e Venezia. Una passione così assoluta per l’Italia scavalcava per forza tutti gli ostacoli.
Questo è appena l’antipasto di quel che ci offre Cesare de Seta in L’Italia nello specchio del Grand Tour: sulle orme di Montaigne e Goethe, de Sade e Rousseau, Lessing e Stendhal, fino a quando, con l’avanzare dell’Ottocento, la tradizione del Tour d’élite è trascolorata nel turismo di massa.
De Seta dedica pagine anche a un lato un po’ in ombra del Grand Tour: molta cultura sì, ma in Italia si veniva pure per fare tanto sesso, etero e omo: il Belpaese era la Thailandia, la Cuba e il Brasile dell’epoca.
Il libro tira le somme con un’osservazione interessante: «Prima che si formasse una coscienza nazionale italiana, essa era in incubazione nella coscienza della cultura europea». Gli stranieri non partivano per Milano, Roma o Napoli, ma per l’Italia: gli italiani si sono guardati nello «specchio del Grand Tour» e hanno scoperto di essere una nazione.
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