Jacques Lacan: Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud 1953-1954, Einaudi pagg. 338 euro 30
Risvolto
Questo Seminario è il primo della serie dedicata all'opera di Freud. Come
indica il titolo stesso, Gli scritti tecnici di Freud, Lacan prende spunto da
alcuni articoli, che all'epoca furono riuniti in Francia in una pubblicazione
e che mettono l'accento sull'applicazione clinica della teoria freudiana.
Per questo i temi trattati riguardano sostanzialmente la conduzione della
cura, e quindi interessano chiunque si domandi da che posizione uno
psicoanalista possa ascoltare e possa interloquire con chi gli si rivolge.
Sotto il titolo Il seminario è raccolto l'insegnamento orale che Lacan tenne
a Parigi senza interruzione dal 1953 fino a poco prima della sua morte.
A Roma, nell'estate del 1953, alcuni mesi prima quindi dell'inizio del
suo seminario, si era tenuto un congresso in cui Lacan aveva pronunciato
il cosiddetto Discorso di Roma, che segna l'inizio del suo insegnamento
e che troverà forma definitiva nel testo Funzione e campo della parola
e del linguaggio in psicoanalisi. Per i primi dieci anni Lacan si dedicherà
al commento della teoria e della pratica clinica di Freud, facendo anche
riferimento ai lavori degli psicoanalisti formati da Freud. Dal 1964
in poi, invece, ossia dalla rottura definitiva con l'Associazione freudiana,
Lacan si dedicherà alla messa a punto della dottrina psicoanalitica
che stava elaborando, precisando gli aspetti strutturali e logici della scoperta
freudiana.

Bruno Moroncini:
Lacan politico, Cronopio, pagg. 199 euro 18
Risvolto
"La cura lacaniana, benché sia totalmente
apolitica nel suo esercizio proprio, propone al pensiero una specie di
matrice politica. Stabilisco una continuità tra il pensiero di Lacan e
un cammino di tipo rivoluzionario, che riapre una disponibilità
collettiva infossata nella ripetizione o barrata dalla repressione
statale". Prendendo spunto da questa affermazione di Alain Badiou, il
libro s'interroga sul contributo che la psicoanalisi lacaniana può dare
alla pratica politica. Lo fa cercando di cogliere il significato
socio-politico della teoria dei quattro discorsi, ricostruendo la
lettura lacaniana di Marx, tematizzando il rapporto fra angoscia e
politica, e dialogando con i più importanti esponenti del lacanismo
politico, ossia Laclau, Zizek lo stesso Badiou. E chiudendo su una
domanda: se non si tratti soltanto di estrarre da Lacan concetti e
strategia per la politica, ma anche e soprattutto di quale politica
abbia bisogno la psicoanalisi per sopravvivere in un ambiente ostile.
La profezia di Lacan su finanza e antipolitica
Una serie di saggi conferma l’attualità dello psicanalista francese anche sui temi sociali ed economici
Dal narcisismo che scatena tendenze aggressive al problema di ripensare la vita delle istituzioni
di Massimo Recalcati Repubblica 9.12.14
UNA
serie di libri appena usciti ribadiscono l’attualità del pensiero di
Jacques Lacan che negli ultimi anni è diventato anche nel dibattito
culturale italiano un punto di riferimento importante. Innanzitutto
bisogna segnalare la riedizione del Seminario I (1953-54) di Lacan
stesso titolato Gli scritti tecnici di Freud e riproposta da Einaudi,
con la revisione della traduzione a cura di Antonio Di Ciaccia. Questo
straordinario Seminario inaugura la serie destinata a divenire celebre
dei Seminari dello psicoanalista francese. In esso appaiono gran parte
dei temi più rilevanti del suo insegnamento, tra tutti quello del nesso
profondo che unisce la violenza al narcisismo. La tesi maggiore che
Lacan avanza — e che non cessa di essere politicamente attuale — è che
il narcisismo è una prigione nella quale l’Io resta catturato
dall’immagine ideale di se stesso. La tendenza aggressiva non scaturisce
tanto dalla frustrazione — ma da questa fascinazione dell’Io per se
stesso. È la versione del desiderio invidioso che costituisce il
personaggio centrale di questo Seminario e nel quale il nostro tempo
sembra essere impaludato: desidero un oggetto non per il sua valore in
sé, ma perché è desiderato o posseduto da un altro simile a me. Il
desiderio invidioso scaturisce direttamente dal narcisismo e si accoppia
alla violenza: voglio possedere quel che l’altro possiede, voglio
distruggere l’Altro, voglio esistere solo Io. Dovremmo davvero rileggere
questo Seminario alla luce della grande crisi che attraversa
l’Occidente causata dalla dimensione predatoria del culto narcisistico
dell’Io che trova nel discorso del capitalismo finanziario la sua più
spettrale rappresentazione.
Ma quale era il pensiero politico di
Lacan? Sappiamo come non nascondesse le sue simpatie per una cultura
liberale e conservatrice. Ma forse la domanda sarebbe più interessante
se riguardasse le possibili conseguenze politiche del suo pensiero. Una
raccolta di saggi di Bruno Moroncini, filosofo e fine esegeta del testo
di Lacan, titolata Lacan politico (Cronopio, 2014) prova a farlo
sottolineando l’ostilità di Lacan nei confronti di ogni dispositivo
istituzionale nel nome di una «politica a distanza dallo stato, o
addirittura senza stato». È questo il significato più proprio che
Moroncini attribuisce all’ispirazione liberale del pensiero di Lacan.
Diffidenza nei confronti di ogni pratica collettivo-istituzionale.
Eppure una delle ragioni della crisi che attraversa la nostra società
investe proprio il problema di come ripensare la vita delle istituzioni
se non si vuole cadere nella trappola anti-politica e narcisistica del
populismo. Non a caso per lo stesso Lacan l’istituzione è ritenuta
essenziale nel processo di umanizzazione della vita sin dalla sua prima
forma che è quella della famiglia. L’istituzione non è solo il luogo
dell’alienazione della vita, ma anche quello della sua fondazione. In un
libro originale titolato Istituire la vita (Vita e pensiero, 2014) lo
psicoanalista Francesco Stoppa sostiene la necessità di distinguere la
funzione positiva dell’istituzione dalla patologia
dell’’istituzionalizzazione. Mentre la prima ha il compito di alimentare
la vita e il desiderio rendendo possibile il “rischio” dell’esposizione
all’incontro con l’Altro, la seconda produce effetti di intossicazione e
di oppressione della vita. La vita non è più istituita dalla
circolazione di un desiderio capace di trasformare l’esperienza del
limite in una esperienza generativa, ma si spegne atrofizzandosi in una
ripetizione mortifera. Ecco un altro errore ideologico
dell’anti-politica: confondere l’istituzione con
l’istituzionalizzazione.
Se quest’ultima spegne tristemente la vita,
senza l’istituzione la vita si ripiega su se stessa restando chiusa nel
culto sterile dell’Io.
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