martedì 9 dicembre 2014

Ripubblicato il Seminario I di Lacan

Il seminario. Libro IJacques Lacan: Il seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud 1953-1954, Einaudi pagg. 338 euro 30

Risvolto
Questo Seminario è il primo della serie dedicata all'opera di Freud. Come indica il titolo stesso, Gli scritti tecnici di Freud, Lacan prende spunto da alcuni articoli, che all'epoca furono riuniti in Francia in una pubblicazione e che mettono l'accento sull'applicazione clinica della teoria freudiana. Per questo i temi trattati riguardano sostanzialmente la conduzione della cura, e quindi interessano chiunque si domandi da che posizione uno psicoanalista possa ascoltare e possa interloquire con chi gli si rivolge.
Sotto il titolo Il seminario è raccolto l'insegnamento orale che Lacan tenne a Parigi senza interruzione dal 1953 fino a poco prima della sua morte. A Roma, nell'estate del 1953, alcuni mesi prima quindi dell'inizio del suo seminario, si era tenuto un congresso in cui Lacan aveva pronunciato il cosiddetto Discorso di Roma, che segna l'inizio del suo insegnamento e che troverà forma definitiva nel testo Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi. Per i primi dieci anni Lacan si dedicherà al commento della teoria e della pratica clinica di Freud, facendo anche riferimento ai lavori degli psicoanalisti formati da Freud. Dal 1964 in poi, invece, ossia dalla rottura definitiva con l'Associazione freudiana, Lacan si dedicherà alla messa a punto della dottrina psicoanalitica che stava elaborando, precisando gli aspetti strutturali e logici della scoperta freudiana.

Lacan politicoBruno Moroncini: Lacan politico, Cronopio, pagg. 199 euro 18

Risvolto
"La cura lacaniana, benché sia totalmente apolitica nel suo esercizio proprio, propone al pensiero una specie di matrice politica. Stabilisco una continuità tra il pensiero di Lacan e un cammino di tipo rivoluzionario, che riapre una disponibilità collettiva infossata nella ripetizione o barrata dalla repressione statale". Prendendo spunto da questa affermazione di Alain Badiou, il libro s'interroga sul contributo che la psicoanalisi lacaniana può dare alla pratica politica. Lo fa cercando di cogliere il significato socio-politico della teoria dei quattro discorsi, ricostruendo la lettura lacaniana di Marx, tematizzando il rapporto fra angoscia e politica, e dialogando con i più importanti esponenti del lacanismo politico, ossia Laclau, Zizek lo stesso Badiou. E chiudendo su una domanda: se non si tratti soltanto di estrarre da Lacan concetti e strategia per la politica, ma anche e soprattutto di quale politica abbia bisogno la psicoanalisi per sopravvivere in un ambiente ostile.
La profezia di Lacan su finanza e antipolitica

Una serie di saggi conferma l’attualità dello psicanalista francese anche sui temi sociali ed economici
Dal narcisismo che scatena tendenze aggressive al problema di ripensare la vita delle istituzioni

di Massimo Recalcati Repubblica 9.12.14

UNA serie di libri appena usciti ribadiscono l’attualità del pensiero di Jacques Lacan che negli ultimi anni è diventato anche nel dibattito culturale italiano un punto di riferimento importante. Innanzitutto bisogna segnalare la riedizione del Seminario I (1953-54) di Lacan stesso titolato Gli scritti tecnici di Freud e riproposta da Einaudi, con la revisione della traduzione a cura di Antonio Di Ciaccia. Questo straordinario Seminario inaugura la serie destinata a divenire celebre dei Seminari dello psicoanalista francese. In esso appaiono gran parte dei temi più rilevanti del suo insegnamento, tra tutti quello del nesso profondo che unisce la violenza al narcisismo. La tesi maggiore che Lacan avanza — e che non cessa di essere politicamente attuale — è che il narcisismo è una prigione nella quale l’Io resta catturato dall’immagine ideale di se stesso. La tendenza aggressiva non scaturisce tanto dalla frustrazione — ma da questa fascinazione dell’Io per se stesso. È la versione del desiderio invidioso che costituisce il personaggio centrale di questo Seminario e nel quale il nostro tempo sembra essere impaludato: desidero un oggetto non per il sua valore in sé, ma perché è desiderato o posseduto da un altro simile a me. Il desiderio invidioso scaturisce direttamente dal narcisismo e si accoppia alla violenza: voglio possedere quel che l’altro possiede, voglio distruggere l’Altro, voglio esistere solo Io. Dovremmo davvero rileggere questo Seminario alla luce della grande crisi che attraversa l’Occidente causata dalla dimensione predatoria del culto narcisistico dell’Io che trova nel discorso del capitalismo finanziario la sua più spettrale rappresentazione.
Ma quale era il pensiero politico di Lacan? Sappiamo come non nascondesse le sue simpatie per una cultura liberale e conservatrice. Ma forse la domanda sarebbe più interessante se riguardasse le possibili conseguenze politiche del suo pensiero. Una raccolta di saggi di Bruno Moroncini, filosofo e fine esegeta del testo di Lacan, titolata Lacan politico (Cronopio, 2014) prova a farlo sottolineando l’ostilità di Lacan nei confronti di ogni dispositivo istituzionale nel nome di una «politica a distanza dallo stato, o addirittura senza stato». È questo il significato più proprio che Moroncini attribuisce all’ispirazione liberale del pensiero di Lacan. Diffidenza nei confronti di ogni pratica collettivo-istituzionale. Eppure una delle ragioni della crisi che attraversa la nostra società investe proprio il problema di come ripensare la vita delle istituzioni se non si vuole cadere nella trappola anti-politica e narcisistica del populismo. Non a caso per lo stesso Lacan l’istituzione è ritenuta essenziale nel processo di umanizzazione della vita sin dalla sua prima forma che è quella della famiglia. L’istituzione non è solo il luogo dell’alienazione della vita, ma anche quello della sua fondazione. In un libro originale titolato Istituire la vita (Vita e pensiero, 2014) lo psicoanalista Francesco Stoppa sostiene la necessità di distinguere la funzione positiva dell’istituzione dalla patologia dell’’istituzionalizzazione. Mentre la prima ha il compito di alimentare la vita e il desiderio rendendo possibile il “rischio” dell’esposizione all’incontro con l’Altro, la seconda produce effetti di intossicazione e di oppressione della vita. La vita non è più istituita dalla circolazione di un desiderio capace di trasformare l’esperienza del limite in una esperienza generativa, ma si spegne atrofizzandosi in una ripetizione mortifera. Ecco un altro errore ideologico dell’anti-politica: confondere l’istituzione con l’istituzionalizzazione.
Se quest’ultima spegne tristemente la vita, senza l’istituzione la vita si ripiega su se stessa restando chiusa nel culto sterile dell’Io.

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