Michele Ainis:
La piccola eguaglianza, Einaudi
Risvolto
Bisogna puntare a una prospettiva
di «eguaglianza molecolare»: fra
categorie, fra gruppi, fra blocchi sociali.
Non fra gli individui, non per
la generalità degli esseri umani.
Una proposta minima, ma niente
affatto minimale.
Eguaglianza «aritmetica» o «proporzionale», secondo la
distinzione di Aristotele? Nel punto d'arrivo o di partenza?
Verso l'alto o verso il basso, come vorrebbero le teorie della
decrescita? Se due mansioni identiche ricevono retribuzioni
differenti, dovremmo elevare la peggiore o abbassare
la piú alta? Ed è giusto che una contravvenzione per sosta
vietata pesi allo stesso modo per il ricco e per il povero?
Sono giuste le gabbie salariali, il reddito di cittadinanza, le
pari opportunità? E davvero può coltivarsi l'eguaglianza fra
rappresentante e rappresentato, l'idea che «uno vale uno»,
come sostiene il Movimento 5 Stelle? In che modo usare
gli strumenti della democrazia diretta, del sorteggio e della
rotazione delle cariche per rimuovere i privilegi dei politici?
Tra snodi teorici ed esempi concreti Michele Ainis ci
consegna una fotografia delle disparità di fatto, illuminando
la galassia di questioni legate al principio di eguaglianza.
Puntando l'indice sull'antica ostilità della destra, sulla
nuova indifferenza della sinistra verso quel principio. E prospettando
infine una «piccola eguaglianza» fra categorie e
blocchi sociali, a vantaggio dei gruppi piú deboli. Una proposta
che può avere effetti dirompenti.
Non tutte le eguaglianze sono eguali (e alcune fanno male)Michele Ainis fa i conti con l’equilibrio difficile tra forma e sostanza di un diritto
Lunedì 26 Gennaio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Nei primi giorni di gennaio, l’incontro tra scienziati sociali e economisti americani tenutosi a Boston, nel quale l’economista francese Thomas Piketty ha esposto le sue idee sulle crescenti diseguaglianze di reddito e di ricchezza nelle società capitalistiche, ha suscitato accesi dibattiti, trasformando una compassata riunione di circa 12 mila studiosi in un campo di battaglia, diviso tra coloro che ritengono accettabile il livello di diseguaglianza delle nostre società e quelli che, all’opposto, pensano che occorra porvi rimedio, semmai con una tassa mondiale sulla ricchezza.
Questo è solo un indizio dell’importanza del tema dell’eguaglianza, al quale opportunamente Michele Ainis dedica un breve libro ( La piccola eguaglianza , Einaudi) che è, nello stesso tempo, di riflessione e di divulgazione.
Ainis parte da una ricchissima illustrazione di casi di incongruenze amministrative e normative, di irrazionalità, di piccole iniquità, di storture, per poi passare in rassegna piccole e grandi diseguaglianze ed esporre e sviluppare, in forma divulgativa, idee maturate nei suoi lavori scientifici. Spiega che alla eguaglianza in senso formale (tutti sono eguali di fronte alla legge) si è venuta ad accostare l’eguaglianza in senso sostanziale (per cui la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l’eguaglianza). Rileva che le due declinazioni dell’eguaglianza sono in conflitto. Infatti, la prima si esprime attraverso misure negative, la seconda con azioni positive. La prima tende a conservare lo status quo , la seconda a ribaltarlo. La prima comporta eguaglianza degli stati di partenza, la seconda eguaglianza dei punti di arrivo. La prima ha come destinatario il singolo, la seconda riguarda gruppi o categorie. Infine, la prima spinge verso discipline uniformi, la seconda verso discipline differenziate.
Per far consistere le due declinazioni dell’eguaglianza, ambedue necessarie — continua Ainis — occorre convincersi che la prima deve funzionare come regola, la seconda come eccezione temporanea, destinata a durare finché le discriminazioni a danno di particolare categorie siano finite. Le azioni positive «possono opporsi alle piccole ingiustizie, quelle che penalizzano gruppi o classi di soggetti all’interno di una comunità statale. La piccola eguaglianza, l’eguaglianza “molecolare” è tutta in questi termini. E i suoi destinatari sono i gruppi deboli, le minoranze svantaggiate».
L’altra lezione che Ainis trae dalla sua ampia rassegna di casi è quella che l'egualitarismo è pericoloso. L’eguaglianza radicale è l’antitesi dell’eguaglianza, perché appiattisce i meriti e perciò salva i demeriti. Così come l’appiattimento dei destini individuali, ispirato all’ideologia del pauperismo, discende da un malinteso ideale di giustizia, da cui deriva la massima ingiustizia.
In un’Italia affamata di giustizia, temi come questi dovrebbero divenire motivi di discussione quotidiana. Stanno maturando altre esigenze di eguaglianza, mentre istituti chiamati ad assicurare l’eguaglianza producono vistose diseguaglianze. Consideriamo solo quattro ostacoli all’eguaglianza.
Il primo è quello che deriva dall’accesso privilegiato al lavoro e colpisce specialmente i giovani. Alle difficoltà del mercato del lavoro, derivanti dalla limitatezza dell’offerta di posti di lavoro, si aggiunge la scarsa trasparenza dell’offerta. Né i datori di lavoro privati né quelli pubblici «bandiscono» i posti, consentendo conoscenza e concorrenza in modo eguale a tutti. Al lavoro si accede, quindi, attraverso procedure privilegiate, la famiglia, le conoscenze personali, i legami di «clan» politici, i canali «mafiosi».
Un secondo ostacolo è quello che non consente alle donne l’accesso al lavoro. Carenza di provvidenze per la famiglia, scarsità di asili nido, mancanza di supporti ai nuclei familiari escludono le donne dal lavoro (con il paradosso che la loro presenza in ogni grado di scuola è prevalente, mentre diminuisce sensibilmente negli altri luoghi di lavoro, con poche eccezioni, quali l’insegnamento e la magistratura).
Un terzo grave problema di giustizia sociale riguarda gli immigrati. Sia i giudici sia il Parlamento stanno estendendo a loro favore, ma in maniera contraddittoria e parziale, i diritti politici, i diritti di libertà e i diritti a prestazioni da parte dello Stato (accesso alla scuola, al sistema previdenziale, al sistema assistenziale, alla sanità) spettanti ai cittadini. Ma dopo quanto tempo gli immigrati cominciano a godere di questi diritti, avvantaggiandosi della solidarietà della collettività nella quale sono entrati? Perché alcuni di questi diritti vengono riconosciuti e altri non lo sono? Quali costi il riconoscimento comporta e quali condizioni, quindi, bisogna porre a esso?
Infine, lo Stato del benessere opera principalmente a favore dei pensionati, meno per gli inoccupati e i disoccupati. Lo squilibrio delle risorse conferite, per vincere le diseguaglianze, ai diversi rami del welfare produce, paradossalmente, altre diseguaglianze.
Eguaglianza molecolare
8 feb 2015 Il Sole 24 Ore
In un episodio della serie Dr. House, il medico televisivo politicamente
scorretto si trova di fronte un paziente di colore, il quale si aspetta
la prescrizione di un farmaco largamente usato dalla popolazione
bianca, che però sarebbe inefficace a causa delle caratteristiche
genetiche dell’uomo (data cioè la sua appartenenza etnica). Quando House
gli prescrive un diverso farmaco, il paziente lo insulta, accusandolo
di razzismo. Il nostro ritiene tempo perso cercare di spiegargli la
questione, e se ne libera accontentandolo, cioè discriminandolo rispetto
a un bianco per quanto riguarda l’appropriatezza del trattamento.
Le decisioni che si prendono in ambito medico continuano a essere utili,
come lo erano per Socrate, Platone e Aristotele, per ragionare sulla
logica delle regole da usare per trattare gli altri e governare una
società con giustizia, nonché sugli aspetti della psicologia umana che
interferiscono con l’efficace uso di tali regole. La medicina e i medici
non sono più quelli dell’antichità o di prima dell’avvento della
medicina sperimentale, nel senso che fanno riferimento al metodo
scientifico per controllare l’adeguatezza dei trattamenti. Un metodo che
ha stabilito il principio che i pazienti vadano trattati in modo
eguale, salvo che non vi siano ragioni valide, cioè dimostrabili e
controllabili, per fare diversamente.
Il biologo molecolare e premio Nobel Francois Jacob ha ricordato che
l’eguaglianza, come categoria morale e politica, è stata inventata
«precisamente perché gli esseri umani non sono identici». Lo studio dei
contorni concreti della diversità biologica in rapporto all’idea
astratta e controintuitiva dell’eguaglianza politica e morale, usando i
risultati che scaturiscono dalla ricerca naturalistica e che dimostrano
le difficoltà psicologiche individuali di elaborare un’idea razionale di
giustizia, può essere un’ottima opportunità di avanzamento anche per le
scienze umane. Che comunque arrivano a conclusioni coerenti e valide
anche confrontando i risultati che derivano dall’uso di idee diverse di
eguaglianza. Infatti, anche per il costituzionalista Michele Ainis, «la
storia del principio di eguaglianza è segnata dalla differenza, non
dalla parità di trattamento. [...]è segnata dalla progressiva
consapevolezza della necessità di differenziare le situazioni, i casi,
per rendere effettiva l’eguaglianza».
Il libro di Ainis passa in rassegna le diseguaglianze o i soprusi
causati da leggi ideologiche o etiche, che prevalgono in Italia rispetto
ad altri Paesi. E argomenta che non è prendendo di mira le
macro-diseguaglianze (es. sconfiggere la povertà nel mondo) che si
riesce a migliorare il funzionamento delle società umane, ma
concentrandosi sulle dimensioni micro, dove si può più agire per
ripristinare una concreta giustizia sociale e politica. Se si osservano
le diseguaglianze con il microscopio, invece che con il cannocchiale, e
si va alla ricerca di un’«eguaglianza molecolare», cioè non tra
individui, ma tra gruppi o categorie, ci si può aspettare almeno una
gestione «minima, ma non minimale» dei problemi e delle sfide.
Ainis ricorda un fatto, dietro al quale esiste una montagna di prove,
cioè che l’eguaglianza ha a che fare con la giustizia, e che siamo
disposti ad accettare un danno piuttosto che un’ingiustizia. Si tratta
di una predisposizione evolutiva che funziona come un universale umano, e
implica che si devono negoziare politicamente i valori, sapendo che
questi tendono a variare nelle società complesse, e che la loro
diversità è una risorsa da valorizzare.
Ciò può essere fatto usando tre criteri: a) evitando di pensare
che eguaglianza equivalga a identità; b) le decisioni che differenziano i
diversi casi devono avere una base di ragionevolezza; c) usare
proporzionalità o misura, per stabilire un vincolo oggettivo grazie al
quale le decisioni legali continuino a dimostrarsi migliori nel
discriminare e pesare fatti e contesti, rispetto alla politica.
Il libro di Ainis è una salutare lezione di politica e diritto in
chiave liberale, cioè suggerisce una strategia che coincide con i
principi di fondo del liberalismo, per governare efficacemente società
umane complesse e fortemente dissonanti rispetto alle predisposizioni
evolutive che condizionano il comportamento umano. È un fatto che
nell’età moderna i sistemi liberali si sono dimostrati, col tempo, le
strategie migliori, anzi meno peggio di tutte le altre, per evitare che
le diversità naturali diano luogo a diseguaglianze e quindi ingiustizie e
sofferenze.
Ma perché le idee liberali sono migliori? A parte la banale
considerazione che non incarnano una credenza cioè non riflettono
un’ideologia, ma un metodo, alla domanda risponde l’ultimo libro di
Michael Shermer, editor di Skeptic e uno dei più lucidi sostenitori
dell’esigenza di superare l’antinaturalismo che ancora caratterizza in
larga parte l’epistemologia delle scienze umane.
Shermer riassume lo stato delle conoscenze e dei dati che
dimostrano che nel corso degli ultimi due secoli si è avuto un massiccio
progresso morale, e che tale risultato è
Illustrazione di Guido Scarabottolo dovuto al prevalere della
scienza e della razionalità negli affari umani. Soprattutto per quanto
riguarda l’economia e il governo della società. L’efficacia del metodo
scientifico e i presupposti sociali per farlo funzionare hanno ispirato
anche la logica del costituzionalismo liberale. Rilanciando alcune idee
di James Flynn e di Steven Pinker e passando in rassegna una serie
impressionante di prove, intercalate da storie e aneddoti, Shermer
ritiene che la diffusione della scienza, e in modo particolare del
metodo scientifico, abbia determinato uno sviluppo delle capacità di
astrazione e quindi un livello di razionalità che ha consentito alle
persone di capire l’infondatezza e l’ingiustizia delle discriminazioni
di genere, religione, sesso o appartenenza tassonomica.
L’immagine dell’arco morale è presa da un celebre discorso di
Martin Luther King, per il quale tale arco «è lungo, ma flette verso la
giustizia». Shermer ritiene che le forze che hanno piegato l’arco morale
sono la scienza e la razionalità.