sabato 31 gennaio 2015

La persistenza illegittima del mito dell'Einaudi


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Centolettori, Einaudi, pagg. 431, euro 20 A cura di Tommaso Munari

Risvolto
In questo volume Tommaso Munari ha raccolto 194 schede scritte da cento fra i piú famosi lettori che l'Einaudi ha avuto nel corso degli anni. Dai «padri fondatori» come Pavese, Bobbio e Mila, agli scrittori «organici» alla casa editrice come Natalia Ginzburg, Vittorini, Calvino, Fruttero e Lucentini, Manganelli, ai grandi studiosi che frequentavano le riunioni del mercoledí, come De Martino, Cantimori, Musatti, Argan, Contini, Caffè, Ripellino, Jesi, Segre e tanti altri, senza dimenticare il mitico Bobi Bazlen che proprio nell'attività di suggeritore editoriale ha fatto convergere tutto il suo straordinario percorso intellettuale. Sotto l'occhio clinico di questi signori passano capolavori della narrativa e della saggistica, ma anche libri di autori poco noti. Adesso è facile dire qual era l'opera geniale e quale no, ma i giudizi qui raccolti sono in presa diretta. Si poteva sbagliare, qualche volta si è sbagliato. Ma poter leggere i commenti «a caldo» su Broch, Propp, Eliade, Bataille, Braudel, Duras, Adorno, Benjamin, fino a Mordecai Richler e Mo Yan, crediamo possa stimolare molta curiosità e dare una certa emozione. E anche un bel divertimento, soprattutto quando scendono in campo i lettori-scrittori, che sono i primi a divertirsi. Come Calvino che inventa una filastrocca su Purdy o Lucentini che, per stroncare un libro, scrive una scheda in forma di dialogo teatrale fra l'autore del libro in questione e un suo annoiatissimo lettore.              

Visto si stampi (o si cestini) Promossi e bocciati in casa EinaudiDalla Ginzburg a Calvino, da Argan a Bobbio Raccolti in volume i pareri di lettura dei consulenti dello Struzzo fra il 1941 e il 1991

SIMONETTA FIORI Repubblica 31 1 2015
UN cantiere aperto, forse tra i maggiori nella storia culturale del Novecento. Riusciamo a entrarvi grazie a cento giudici molto particolari, ossia i consulenti della casa editrice Einaudi che tra il 1941 e il 1991 hanno promosso o bocciato le letture degli italiani colti. Chi sono questi forgiatori di immaginari e firmamenti intellettuali? Per la letteratura, Calvino e Fruttero, Natalia Ginzburg e Lucentini, Davico Bonino e Manganelli. Per la storia, Venturi e Vivanti, Romano e Carlo Ginzburg. Per gli studi psicologici e l’etnologia, Musatti e De Martino. E ancora, Argan e Contini, Caffè e Ripellino, Jesi e Segre. E il mitico Bobi Bazlen, principe dei suggeritori editoriali. L’elenco continua, ma è meglio fermarsi qui.

Le loro voci stridule, gravi o divertite risuonano in Centolettori, la raccolta dei pareri di lettura che la casa editrice manda in libreria per la cura di Tommaso Munari. «Giudizi in presa diretta », li definisce Ernesto Franco nell’introduzione, commenti a caldo insofferenti alla prudente cerimonia, sfoghi e divertissement che animano il gran teatro della lettura. C’è chi stronca con veemenza e chi affida il killeraggio a una filastrocca o a un testo drammaturgico. Come Italo Calvino che fa fuori il nuovo romanzetto di James Purdy in rima baciata: «Poco perdi se ritardi / e ti perdi i Purdy tardi». O Lucentini che redige in francese un dialogo tra il pensoso Custance e un annoiatissimo lettore. Al Calvino fustigatore non manca mai il buon umore e dopo aver infilzato il pornografo Pierre Klossowsky confessa di essersi divertito parecchio: «Porcherie con molto sense of humour».
Non mancano le cantonate. Fragorose. Delio Cantimori eccelle nel genere. La prima volta fu con Mediterraneo di Braudel, liquidato come il «Via col vento della storiografia». Poi è la volta di Adorno e del suo Minima Moralia , «opera faisandée» rivolta a «liceali impazienti». Non è da meno Sergio Solmi, che regala al Borges di Finzioni l’epiteto di «grande dilettante» («ma non in senso spregiativo»): da pubblicare certo, ma niente al confronto di un Poe o di un Kafka. Ma la palma forse spetta a Bobbi Bazlen che sull’ Uomo senza qualità verga la sua sentenza di morte in quattro punti. «Troppo lungo». «Troppo frammentario », «Troppo lento (o noioso, o difficile, o come vuoi chiamartrattandolo lo)». «E troppo austriaco».
Talvolta botte da orbi. Tra Bobbio, Balbo e Cantimori per la filosofia. Ma il tono di Bobbio può farsi supplice quando è costretto a digerire Operai e capitale di Tronti: detesta «quel genere di letteratura» e non esita a dirsi «imbarazzato» e «prevenuto ». L’agonia di Natale di Franco Fortini mette zizzania tra Pavese e la Ginzburg: «antipatico ma notevole», secondo lo scrittore torinese, «lumacoso» e «senza sugo» per Natalia, che se s’annoia lo dichiara senza giri di parole. Come Cesare Cases che rovescia il monumento di Brecht da «canzonettista» e sospetta di «aridità» un caposaldo quale Massa e potere. No, nessuno dei cento lettori è sospettabile di timidezza né di timore reverenziale. Così il solito Bazlen mette in guardia dalle «banalità adamantine» di Walter Benjamin (sta parlando dell’ Angelus Novus). E a Manganelli bastano un paio di metafore per seppellire il futuro Nobel Lessing: «La sua pagina sa di virtuosa varichina, i suoi periodi vanno in giro con le calze a penzoloni ». Le cose si complicano quando il parere è richiesto su amici e colleghi. Il più attento è Elio Vittorini alle prese con Bianco veliero di Calvino: gli sembra «macchiettistico e infantile», insomma una «bambocciata». Pubblicarlo? Massì, è uno scrittore noto, la responsabilità ricade su di lui. «Tuttavia Calvino è anche un amico. Non dobbiamo dirgli che fa male a se stesso pubblicando un libro simile?». Il più severo è Primo Levi con il Gadda dei saggi scientifici: «piattamente didattici, noiosi e sanno di farina d’altrui sacco». Usciranno altrove. Oltre che storia culturale, Centolettori è anche una lezione di stile: talvolta solo in trenta righe riassunto e critica, valutazione editoriale e soprattutto senso culturale. Per chi solitamente scrive di libri, un invito all’umiltà: i recensori ne sanno molto di più degli autori recensiti, mai un gorgheggio o un aggettivo sparato a vuoto. Comunque un atto di memoria: così era l’editoria italiana, così la cultura aperta al mondo senza genuflessioni. Da acquistare subito, Centolettori (che richiama la collana Centopagine di Cal vino). Per tirarsi su nei momenti bui. © RIPRODUZIONE RISERVATA



Le pagelle dello Struzzo Fortini? Antipatico, ma notevole 
Da Cantimori che boccia Braudel “troppo facile” a Primo Levi che liquida gli scritti tecnici di Gadda 

Ernesto Ferrero Tuttolibri 31 1 2015

«Lei dovrebbe mandarci per ogni libro un rapporto di circa una cartella, con tutti gli elementi che Lei pensa ci possano servire: un breve riassunto del contenuto, il Suo giudizio, notizie – se ne ha - sull’autore o sulla fortuna che il libro ha avuto in edizione originale o in altre traduzione, eventuali previsioni che il libro potrebbe avere in Italia». È il luglio 1960, e Italo Calvino da via Biancamano illustra al neoconsulente Rodolfo J. Wilcock quel che si richiede a un bravo lettore editoriale. Wilcock capisce così bene che a settembre Calvino si complimenta: «i suoi giudizi sono molto belli e divertenti e orientano bene sui libri».
Tommaso Munari, ormai esperto navigatore degli oceani degli archivi Einaudi, ha raccolto in volume quasi duecento schede di cento redattori e consulenti della casa dal 1941 al 1991 [in questa pagina pubblichiamo due «pareri»]. Ci sono i padri fondatori, Pavese, Giaime Pintor, Bobbio, Mila (e addirittura il già presidente Luigi Einaudi che caldeggia il Keynes saggista); gli «organici» come Calvino, Vittorini, Natalia Ginzburg, Balbo, Fruttero e Lucentini, Cases, Venturi, Vivanti, Ruggiero Romano; una miriade di consulenti illustri, da De Martino, Argan, Arnaldo Momigliano e Contini a Ripellino, Strada, Manganelli, Cesare Segre. Sullo sfondo un sapiente conoscitore della Mitteleuropa come il triestino Bobi Bazlen, che riesce abilmente a «vendere» Musil (troppo lungo, frammentario, noioso, austriaco. Però…). 
L’Armada einaudiana si fa un puntiglio di arruolare le intelligenze più vive in circolazione, in ogni disciplina. Sono tutti pagati poco o niente, praticamente dei volontari, ma partecipano convinti a quello che sentono come un progetto comune, la costruzione di un catalogo che diventa la vera università degli italiani. Uscito da una solida e colta famiglia liberal-borghese, il giovane Einaudi parte dalla tradizione per proiettarsi nel futuro prossimo. Ai suoi sodali chiede libri innovativi, metodologicamente avanzati, quasi spericolati per l’oltranza delle proposte. 
Gli estensori delle schede hanno chiaro anche quel che un libro non deve essere: non deve inseguire l’attualità, se no deperisce in fretta. L’editore punta sui vini da invecchiamento. Libri sempre in anticipo sui tempi, destinati a «fare catalogo», a diventare dei piccoli classici contemporanei. L’esito commerciale non è un criterio, anzi, non se ne deve nemmeno parlare.
Quando è finalmente ammesso alle riunioni del mercoledì, il pur già mitico direttore commerciale Roberto Cerati non ha facoltà di parola. Non solo: il programma editoriale dell’anno viene scritto come una sinfonia, dove ogni singolo titolo esprime una voce che si deve legare ad altre, per affinità o contrasto. 
Quella che viene richiesta non è l’unanimità dei pareri, ma il suo contrario. Einaudi si mette in sospetto, quando tutti sono (troppo) d’accordo. Chiede opere che facciano discutere. Questo lo ha imparato da suo padre Luigi, che sin dal 1921 predicava che il sale della democrazia sono i confronti anche duri e durissimi, purché corretti. Il figlio applica il concetto ai suoi collaboratori. Sollecita lo scontro, mette i giovani contro i vecchi, fa leggere di scienza ai letterati e viceversa, attizza l’emulazione, scatena gelosie ad ogni suo nuovo innamoramento intellettuale. La competenza specialistica è importante, ma non basta: anzi, lui orchestra le invasioni di campo: governa un complicatissimo gioco di bilanciamenti con la consumata abilità di un mandarino cinese. Difficile la convivenza di Bobbio con Cantimori e Felice Balbo, foriera di paralisi; o di Renato Solmi con Antonio Giolitti. Su Benjamin, Bazlen e Cases la pensano in modo opposto. «Antipatico ma notevole» scrive Pavese di un romanzo di Fortini. «A me non piace, sono contraria», risponde la Ginzburg, che parla sempre chiaro. Significativa in questo senso la vicenda Braudel. Nel 1949 Cantimori si dichiara contrario alla pubblicazione di Civiltà e imperi del Mediterraneo: ben scritto, brillante, affascinante, ma dannoso proprio perché facile, evasivo, superficiale, addirittura pseudoscientifico: «un Via col vento della storiografia, si rimane abbagliati: e non si capisce più niente». Uscirà nel 1953, sarà un successo, diventerà paradigmatico. 
Poi ci sono i lettori-artisti. Calvino un po’ dubbioso su un romanzo dell’americano Purdy, sceglie l’epigramma in rima: «Se con Purdy non ci perdi/ è imprudente che lo perdi»; o ancora: «Se ti prude legger Purdy/ prendi i Purdy ancora verdi/ Poco perdi se ritardi/ e ti perdi i Purdy tardi». Manganelli si diverte. A proposito dell’irlandese Flann O’Brien: «…Ha una qualità plebea e svagata, una sciatteria casalinga (non è l’astratta demenza dell’umorismo britannico), un disordine da affettuoso ubriacone, che non mi dispiace». Lucentini scrive addirittura un dialogo in francese tra autore (l’inglese Cunstance) e lettore. E c’è anche Primo Levi che liquida gli scritti tecnici di Gadda: «prolissi, diligenti, ma piattamente didattici, noiosi».
Scrive bene Ernesto Franco nella sua prefazione che queste schede sono ritratti di libri e autoritratti di lettori, e tutte concorrono all’affresco generale di un’epoca: testi «a un tempo critici e confidenziali, analitici e figurali, non esenti da giochi di parole e di stile, da sottintesi e paradossi, parlati e scrittissimi». Una bellissima foto di gruppo di cui andare orgogliosi e su cui meditare, in tempi in cui le direzioni marketing tendono a sovrapporsi a quelle editoriali. Gli scontri che le schede raccontano, le scoperte che restano e i fraintendimenti di cui possiamo sorridere con il senno di poi (Vittorini che stronca La paga del sabato di Fenoglio) dicono la stessa cosa: che anche in editoria si sopravvive ai tempi difficili solo puntando strenuamente sulla qualità, come i severi monaci einaudiani. E che l’editoria si fa anche e soprattutto con i no. 

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