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Premio Nonino 2015 Maestra del nostro tempo
La buona scuola secondo Martha Nussbaum: più logica, pensiero critico, esperienze reali e immaginazione
di Armando Massarenti Il Sole Domenica 25.1.15
Martha
Nussbaum ha sempre accompagnato la sua opera di storica della filosofia
antica a un forte impegno civile e a una elaborazione concettuale
capace di incidere profondamente sul dibattito politico contemporaneo.
Ciò accade per esempio per la teoria delle capabilities elaborata con
Amartya Sen negli anni ’80 e poi sviluppata in una versione autonoma cui
la filosofa americana ha legato una riflessione sul ruolo
dell’educazione quale strategia fondamentale per riformare la società
contemporanea. Proprio a lei ci siamo ispirati nel lanciare da queste
colonne la proposta di introdurre nelle scuole italiane, nell’ambito di
Cittadinanza e Costituzione, l’insegnamento obbligatorio della logica,
disciplina indispensabile per la formazione del pensiero critico,
affinché siano forniti ai cittadini di domani gli strumenti necessari
per pensare con la propria testa, formulare opinioni corrette, accettare
la pluralità dei punti di vista, provare empatia verso l’altro, o il
diverso, sviluppare spiccate capacità deliberative.
In che modo
dunque la logica e la retorica – ma anche, pensando ad Aristotele,
l’etica e la poetica – possono fornire spunti e strumenti pedagogici a
chi insegna oggi o, ancora meglio, a chi intende riformare il sistema
educativo? E in quali pensatori del passato possiamo trovare spunti per
affrontare i problemi di oggi?
«Tra i molti di diverse epoche e
diversi luoghi che potrei citare – risponde Martha Nussbaum – tre mi
sembrano importanti: Socrate nei Dialoghi di Platone; la lettera del
filosofo stoico romano Seneca sull’ ”educazione liberale”; e la teoria e
la pratica del filosofo ed educatore indiano Rabindranath Tagore».
«Socrate
– spiega Nussbaum – ha sfidato la democrazia ateniese a condurre una
“vita pensata”, a preoccuparsi delle ragioni che diamo per le nostre
convinzioni, creando una cultura democratica della ragione e
dell’argomentazione, piuttosto che dell’autorità e della pressione dei
Pari. La sua sfida è rilevante oggi come allora, le democrazie moderne
hanno gli stessi difetti della sua Atene. Ma una “vita pensata”, piena
di riflessione e di ricerca, è difficile: implica l’imparare ad
argomentare, a curare la precisione, la validità e la struttura logica.
Non c’è miglior modo di imparare queste cose che studiare i primi
dialoghi di Platone in uno spirito di pedagogia critica e aperta».
E
in che modo possono contribuirvi Seneca e Tagore? «Nel primo secolo dopo
Cristo, Seneca si trovava di fronte a una forma di educazione dominata
dall’apprendimento passivo, in cui le persone assorbivano i testi
canonici della loro cultura senza né comprensione né attività reali, e
li chiamavano “studia liberalia”, cioè “adatti a un gentiluomo nato
libero”. Seneca dice che dovremmo invece preferire gli “studia
liberalia” nel senso di studi che ci rendono liberi. Con questo
intendeva liberi dalla tradizione e dall’autorità. A tale scopo,
raccomandava innanzitutto la filosofia, ma anche la letteratura e la
storia. Tagore imparò da entrambi, ma era un poeta e nella famosa scuola
che fondò nel 1905 a Santiniketan, usava le arti come mezzi
fondamentali per la comprensione. Musica, teatro, danza servivano ad
ampliare l’immaginazione degli studenti, così imparavano ad occupare
posizioni diverse dalla propria. Mi sembra che questo esempio dia un
contributo che manca agli altri due: il valore dell’emozione e
dell’immaginazione e come coltivarle attraverso le arti. Artisti ed
educatori di tutto il mondo frequentarono la scuola di Tagore, compresa
Maria Montessori. Somigliava parecchio alla Scuola-laboratorio di John
Dewey e forse i due si erano incontrati, ma non si sa esattamente».
Anche
Aristotele pensava che l’apprendimento dovesse essere accompagnato da
“esperienze” di vita capaci di dare un senso ai saperi per esseri umani,
non per eruditi. E Dewey rimproverava i suoi amici riformatori perché
non vedevano quanto la scienza potesse fornire il modello di esperienza
più adatto a formare indipendenza di giudizio e rifiuto del principio di
autorità. Eppure in molti, in Italia, tendono ancora a contrapporre
saperi umanistici e saperi scientifici. «La scienza nel senso migliore e
più profondo è profondamente immaginativa e rigorosa, quindi ha legami
stretti con le materie umanistiche. Purtroppo, quello che molti imparano
sotto quell’etichetta non è la scienza di base, ma un insieme di
capacità imparate a memoria senza una vera comprensione. Questo è
“arido” davvero, ma la scienza non lo è».
Sappiamo, però, che molta
della filosofia antica puntava sulla memoria quale funzione cognitiva
fondamentale per lo sviluppo della logica così come dell’esperienza
delle arti, e non a caso Mnemosyne, la memoria appunto, era la madre
delle muse e delle varie arti. La scuola di oggi ha dimenticato il
legame strettissimo tra memoria e creatività e ha condannato la memoria,
relegandola a un ruolo marginale, anzi sostituendola con strumenti
tecnologici di supporto. Crede che sia una mossa giusta? «Non mi piace
molto usare “antichi” per parlare solo degli “antichi Greci e Romani”.
In fondo, ogni civiltà è stata antica e quindi c’è un antico pensiero
africano, cinese ecc. I Greci credo che si affidassero alla memoria in
gran parte perché molti erano analfabeti. E non è certo una cosa da
incoraggiare nel mondo moderno. Quando la gente sa leggere, non deve
mandare a mente un intero dramma di Shakespeare. Eppure potrebbe esserci
un motivo per memorizzarne delle parti, se si vuol ascoltare meglio il
ritmo della poesia. In matematica, le calcolatrici sono un vantaggio
impareggiabile e forse bisognerebbe chiedere agli insegnanti di
matematica se i bambini devono tuttora imparare a fare le somme. La
memoria però è cruciale nel fornire un’architettura o un quadro generale
a un pensiero più particolareggiato. Per esempio, la storia va imparata
come un’intera narrazione e non solo guardandola a spizzichi e bocconi
su Wikipedia. Qui la memoria ha ancora un ruolo. E le posizioni
filosofiche vanno interiorizzate come una configurazione di
argomentazioni e non mandando a mente solo una riga o l’altra di
Platone. L’obiettivo deve essere sempre l’attività e la maestria, e
queste sono spesso ostacolate da troppa memorizzazione, come Platone
aveva già notato. Ma alcuni tipi di memorizzazione sono produttive».
Pensa
che sia utile esercitare la competenza filosofica già nei bambini anche
in tenera età? «Sì, dovrebbero pensare a come si arguisce, a quali sono
gli argomenti giusti e così via. C’è parecchia ricerca in proposito: a
cinque o sei anni sono già capaci di trovare errori in un ragionamento
se il tema è adatto alla loro età e la pedagogia li attira».
Che
equilibrio dobbiamo immaginare tra materie che – come il critical
thinking, o la logica e la retorica – forniscono agli studenti strumenti
universali per differenti usi e quelle materie che invece richiedono
approfondimenti e acquisizioni di nozioni e conoscenze? «Conviene non
specializzarsi troppo presto. È uno dei motivi che mi fanno preferire
l’educazione universitaria delle “liberal arts”. Consente agli studenti
di scegliere una materia principale, ma anche di imparare molto altro. È
il modello dominante negli Stati Uniti, in Corea del Sud e in Scozia e
vorrei che altri Paesi ne apprezzassero l’importanza».
Sa che
l’Italia detiene un triste primato nella classifica Ocse
dell’analfabetismo funzionale (functional illiteracy)? Non le pare una
grande contraddizione che il Paese che nel mondo è visto come la culla
della civiltà e della cultura sia così mal messo dal punto di vista
della formazione dei propri cittadini? «Sono certa però che l’Italia non
è prima al mondo in questa categoria! Nei Paesi in via di sviluppo c’è
troppa gente che non ha neppure accesso alla scuola. In India, dove
lavoro di più per lo sviluppo, il tasso di alfabetizzazione degli adulti
è del 65% per gli uomini e di circa il 50% per le donne. Però gli
italiani sembrano avere un problema serio. Non saprei chi ne è
responsabile, ma immagino che sia l’educazione elementare. Una cosa che
una nazione moderna deve fare è concentrarsi sui bisogni dei bambini con
particolari difficoltà, per via della malnutrizione o della povertà, o
della violenza fisica a casa, o perché in famiglia la lettura non è
incoraggiata. Ogni Paese che accoglie immigranti deve anche provvedere a
un insegnamento linguistico adatto ai loro bisogni».
Le neuroscienze
cognitive di oggi ci mostrano una serie di errori sistematici che
tendiamo a compiere in quanto esseri umani. In che modo i sistemi
educativi possono fare tesoro di questo genere di studi? «Trovo quei
risultati molto interessanti. Ci aiutano a resistere alla tentazione di
spiegare tutte le nostre norme con le nostre origini evolutive. In
alcuni casi, l’evoluzione ci ha attrezzati bene per perseguire obiettivi
validi, alcuni dei quali però esigono una resistenza a quanto abbiamo
acquisito durante l’evoluzione. Per esempio, l’evoluzione ci fa
diffidare degli stranieri e dalla gente il cui aspetto è diverso dal
nostro. Ma la natura non è una norma: dobbiamo chiederci per che cosa
lottiamo e trovare il modo di arrivarci. Nessuno direbbe mai che, se ci
vediamo male, pazienza, dobbiamo vivere come natura ci ha fatti. Non
dovremmo mai dire una cosa del genere per la vita morale».
Esiste
anche un analfabetismo dei sentimenti. Qual è il modo migliore per
sviluppare non solo le capacità logiche e argomentative ma anche le
passioni e i sentimenti, evitando nel contempo le trappole che essi
comportano? «Certo. Nasciamo tutti con la capacità di vedere il mondo
dal punto di vista altrui, per esempio, ma di solito la sviluppiamo in
modo ristretto e selettivo, limitato alla nostra famiglia, al nostro
gruppo locale. Ma quella capacità può essere sviluppata sistematicamente
con l’educazione storica e artistica, così diventiamo capaci di vedere
come appare il mondo da molti punti di vista diversi. Dobbiamo riuscirci
per fare scelte politiche responsabili. C’è tanta ricerca su come la
letteratura sviluppi questa capacità. Naturalmente questo tipo di
empatia non ci dice quali sono gli obiettivi cui mirare, ma, qualunque
essi siano, ci aiuta. Per formulare gli obiettivi giusti, abbiamo
bisogno di un pensiero normativo rigoroso, in filosofia morale e
politica, per avere un’idea di quali emozioni sono utili e quali non lo
sono».
La mia sciarpa così simile a un chador
Rispetto e speranza Il discorso al Noninodi Martha Nussbaum Repubblica 30.1.15
VIVIAMO
in un periodo che è una vera sfida per l’umanità come mai lo è stato in
anni recenti, un periodo che mette alla prova i valori della
comprensione umana, il reciproco rispetto, e la compassione. Voglio dire
solo poche cose sul fatto di vivere in tempi che mettono alla prova, in
particolare, i nostri valori del rispetto e della tolleranza, dato che
una terribile politica di xenofobia e odio ha preso, sfortunatamente,
una spinta enorme dagli orribili crimini commessi dai terroristi in
Francia.
Dovrei dire che preferisco la parola “rispetto” alla parola
“tolleranza”, perché “tolleranza” suggerisce una gerarchia, in cui una
maggioranza accondiscende a vivere con persone che non è detto che le
piacciano. Ora: ritengo che dobbiamo fronteggiare il nostro difficile
futuro con cinque propositi, tutti molto ardui da mantenere in un
periodo di paura. È il dovere più solenne del nostro sistema educativo,
sia a livello di scuola che di università, promuovere questi valori, ed è
anche il dovere dei giornalisti: Intelligenza; Coerenza di principi;
Immaginazione; Lavoro di squadra; Speranza.
Intelligenza prima di
tutto . Dobbiamo cercare i fatti, e giudicare in base ai fatti. Non
dobbiamo farci trascinare spaventati da voci irresponsabili a trascurare
le prove o a giudicare secondo rozzi stereotipi. Tutti dovremmo
imparare molto dalle varietà dell’Islam nel nostro mondo, in modo da
capire chiaramente quanto malata e anomala sia la versione fornita da
questi terroristi, e da sapere come possiamo trattare i nostri
concittadini musulmani con rispetto. La maggioranza deve studiare anche
la propria storia: per esempio, dovremmo essere consapevoli, quando
parliamo di idolatria, che i divieti contro l’idolatria sono rilevanti
sia nel Giudaismo che nella Cristianità Protestante, come pure
nell’Islam, e sia nel Giudaismo che nella Cristianità questi divieti
hanno portato a terribili atti di violenza – per esempio durante la
guerra civile inglese, quando i Puritani distrussero l’arte
rappresentativa nelle chiese e uccisero coloro che l’avevano prodotta.
Dovremmo anche studiare le nazioni musulmane in cui l’Islam ha subito
una trasformazione liberale illuminista: in particolare l’India e
l’Indonesia, le due più grandi popolazioni musulmane del mondo. Coerenza
di principi . Dovremmo giudicare gli altri esattamente come giudichiamo
noi stessi, e sottoporci alle stesse regole che imponiamo agli altri.
Se mettiamo al bando un tipo di abito musulmano sulla base del fatto che
è lungo e ingombrante e quindi un rischio per la sicurezza, allora ci
dovremmo preoccupare allo stesso modo di Martha Nussbaum, che cammina
lungo Michigan Avenue a Chicago nel suo solito abbigliamento invernale,
che copre non solo tutto il suo corpo ma anche la sua faccia tranne gli
occhi – e anche questi sono coperti da speciali occhiali da sole che
proteggono dal vento. I terroristi di solito cercano di mescolarsi con
la folla: gli attentatori della maratona di Boston indossavano berretti
da baseball e portavano degli zaini. Quindi il pensiero che siamo più
sicuri se demonizziamo quelli che sembrano diversi non è solo offensivo,
è stupido.
Ma nella nostra ricerca della coerenza dovremmo andare
oltre la protezione della nostra stessa sicurezza verso la dignità e il
rispetto. Permettetemi un esempio un po’ frivolo – ma non tanto frivolo,
dato che lo sport ha una profonda influenza sulle culture, ed è un
luogo centrale in cui i valori morali vengono o non vengono rispettati.
La National Football League negli Stati Uniti ha recentemente annunciato
che avrebbe imposto una multa a un giocatore musulmano perché pregava
dopo una giocata particolarmente bella, inginocchiandosi a terra. C’è
una regola che vieta di mettersi a terra dopo una giocata, non ho idea
del perché, e hanno detto che aveva violato quella regola. Ma i
giocatori e i tifosi hanno immediatamente puntualizzato che i pii
giocatori cristiani erano sempre stati esentati da quella regola,
essendo loro stato permesso di inginocchiarsi a terra in preghiera; e
giustamente hanno chiesto che lo stesso trattamento fosse riservato al
giocatore musulmano. Sono felice di dire che la lega ha fatto marcia
indietro. Ecco quello che intendo con coerenza di principi, e il bisogno
che ci sia si vede dovunque guardiamo nelle nostre società pluraliste,
ma non sempre viene rispettato.
Immaginazione . Noi tutti nasciamo
con la capacità di vedere il mondo da punti di vista diversi dal nostro,
ma di solito questa capacità viene coltivata in modo molto ineguale e
ristretto. Impariamo come appare il mondo dal punto di vista della
nostra famiglia o gruppo locale, ma ignoriamo punti di vista più
distanti. Per diventare buoni cittadini del nostro mondo complicato,
dovremmo cercare di vedere il mondo da molte posizioni diverse.
Informati dalla nostra conoscenza della storia, dobbiamo chiederci come
le scelte che facciamo in quanto votanti e cittadini influenzino le vite
di molti tipi diversi di gente, e non possiamo farlo bene senza vedere
il mondo dal loro punto di vista. Coltivare l’immaginazione è uno dei
compiti più importanti del sistema educativo, ecco perché dobbiamo
rafforzare, e non tagliare, i programmi di storia, letteratura, e
filosofia (perché spero mi permettiate di insistere che la filosofia è
una disciplina immaginativa).
Lavoro di squadra . Viviamo con gli
altri, ma spesso semplicemente esistiamo fianco a fianco, o, ancora
peggio, vediamo gli altri come concorrenti da sconfiggere. I valori
umani non possono prevalere nel nostro tempo pericoloso a meno che la
gente non si unisca per trattare i problemi del genere umano. E devono
unirsi in modi che implicano la non-gerarchia, il rispetto, e la
reciprocità. Infatti, il lavoro di squadra implica tutti i miei tre
primi valori: perché la vera reciprocità con gli altri richiede
decisioni intelligenti; richiede che rispettiamo le norme della coerenza
di principi; e richiede un’immaginazione in costante ricerca.
Speranza
. Quest’ultimo valore sembrerà strano a molti. Da dove potrebbe venire
la speranza in un periodo così desolato? E perché mai dovremmo sperare?
Bene, Immanuel Kant ha detto che quando non vediamo margini per la
speranza abbiamo il dovere morale di coltivare la speranza in noi
stessi, in modo da massimizzare i nostri sforzi in nome dell’umanità, e
cogliere ogni opportunità di far progredire i valori positivi che il
mondo ci può offrire. Non ha detto molto, tuttavia, in merito a da dove
la speranza dovrebbe e potrebbe venire, e ha fatto sembrare il dovere di
sperare come un lavoro cupo. Tuttavia, vorrei suggerire che la speranza
è sostenibile solo attraverso la gioia e il piacere della vita.
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