venerdì 6 marzo 2015

Biennale: la difficile impresa di far annoiare con Marx e renderlo anche un po' ridicolo

Il curatore nigeriano Okwui Enwezor dosa superstar e collettivi militanti in nome dell'impegno più verboso

Luca Beatrice - il Giornale Ven, 06/03/2015
Tra "Il Capitale" e Piketty, letteratura e politica, Africa e global: il neocuratore di Venezia racconta come sarà questa 56esima edizionedi DARIO PAPPALARDO Repubblica 23 10 2014


“Porto Marx alla Biennale perché parla di noi oggi”

Biennale . Codice Italia sarà la mostra curata da Vincenzo Trione: un itinerario che, con quindici artisti, va alla ricerca di segmenti da rintracciare, connessioni perdute, dialoghi interrotti. Da Kounellis a Paladino fino a Migliora e Beecroft, passando per giovanissimi come Luca MonterastelliSe la Bien­nale d’arte di Vene­zia numero 56, gui­data dal nige­riano Okwui Enwe­zor, si lan­cerà verso mondi futuri, senza chiu­dere gli occhi di fronte alle mace­rie ai piedi dell’Angelus Novus di Ben­ja­min, affi­dan­dosi al fan­ta­sma di Marx e alla pre­senza in Laguna (oltre, natu­ral­mente, agli arti­sti), di un eco­no­mi­sta come Tho­mas Piketty, il padi­glione Ita­lia, invece, ripar­tierà da sé, dalla sua map­pa­tura gene­tica, un dna che mescola insieme parole che oggi suo­nano desuete: stile, avan­guar­dia, memo­ria.Non teme di pro­nun­ciarle, una dopo l’altra, Vin­cenzo Trione, pre­sen­tando alla stampa la sua mostra: Codice Ita­lia - che vedremo all’Arsenale di Vene­zia a par­tire dal 9 mag­gio per il pub­blico — fa ricorso ad alcuni gri­mal­delli cri­tici per riba­dire che l’arte non ha nulla di feno­me­no­lo­gico, ma nasce e si rad­drizza sui binari di linee guida ben pre­cise. La descri­zione del pre­sente non inte­ressa Trione che, oltre­tutto, non esita a pren­dere le distanze dalla figura di «inde­pen­dent cura­tor», rischiando l’isolamento e un atteg­gia­mento di con­tro­ten­denza, quasi da docente che impar­ti­sce la sua severa lezione.

Caso­mai, a det­tare le regole, c’è l’ermeneutica tout court. Il com­pito di chi è al timone del padi­glione Ita­lia diventa, allora, rin­trac­ciare seg­menti spe­ci­fici, con­so­nanze, indizi.
Fin qui, niente di nuovo. L’arte è da sem­pre una ragna­tela che intrap­pola i più dispa­rati segnali. Poi, però, Trione tira fuori dal cap­pello quella parola per­duta e irrin­trac­cia­bile: lo stile, letto come «una postura, un gesto che dif­fe­ren­zia un indi­vi­duo da un altro». Qual­cosa di non casuale, ma che va a pescare nelle pro­fon­dità di un patri­mo­nio gene­tico. C’è Wal­ter Ben­ja­min ancora una volta alle spalle, soprat­tutto l’idea e la pos­si­bi­lità di una fusione fra tempi diversi, ciò che è stato e il pre­sente che scorre verso un destino sco­no­sciuto. L’arte intesa come una costel­la­zione tem­po­rale è quella che sem­bra intri­gare mag­gior­mente Trione. Per que­sto, il suo richiamo più forte è alla memo­ria, non quella del mero ricordo, ma una memo­ria attiva, che sap­pia risve­gliare cir­cuiti dimen­ti­cati, oscu­rati, con­tatti eva­po­rati, dia­lo­ghi interrotti.
Se il pre­si­dente Baratta ha par­lato di una Bien­nale che distri­cherà la rete di ten­sioni che ci avvolge da ogni parte del mondo, il padi­glione Ita­lia si misu­rerà a modo suo con quell’«età dell’ansia», a par­tire dai quin­dici arti­sti scelti per rap­pre­sen­tare il paese. Saranno loro a dise­gnare le tra­iet­to­rie da seguire per una inter­pre­ta­zione del mondo. Il punto di vista, invece, sarà unico e rispec­chierà quello del cura­tore. Un cock­tail di gene­ra­zioni — da Kou­nel­lis a Pala­dino e Aqui­lanti, da Lon­go­bardi e Bia­succi a Bee­croft, Cac­ca­vale, Migliora, fino a gio­va­nis­simi come Fran­ce­sco Barocco o il duo Alis/Filliol — sarà chia­mato all’Arsenale con instal­la­zioni ad hoc, per oliare il dispo­si­tivo ambi­guo della memo­ria. Obiet­tivo, la costru­zione di un «Atlante», con rife­ri­menti a War­burg e a quella spe­ciale rico­gni­zione dei con­fini — e degli scon­fi­na­menti — attra­verso le imma­gini. Per sbri­gare al meglio que­sto com­pito cri­tico, Trione ha invi­tato arti­sti schivi e dall’anima spe­ri­men­ta­trice come Paolo Gioli, pro­vo­ca­tori (Nicola Samorì che infligge un mar­ti­rio fisico ai capo­la­vori con esiti kitsch), talenti delle nuo­vis­sime gene­ra­zioni (Luca Mon­te­ra­stelli), film­ma­ker under­ground come Aldo Tambellini.
L’allestimento del padi­glione — un milione di euro, fra soldi del Mibact, spon­sor e fondi extra arri­vati gra­zie alla cir­co­la­rità con Expo — è stato affi­dato all’architetto, Gio­vanni Fran­ce­sco Fra­scino, che ha creato uno spa­zio di celle auto­nome, quasi degli «orti con­clusi» dalle pareti porose, imma­gi­nati in sequenza den­tro una cat­te­drale. Codice Ita­lia avrà poi dei ten­ta­coli nelle Acca­de­mie, ban­dirà con­corsi, si cir­con­derà di un pul­lu­lare di ini­zia­tive che dila­ghe­ranno fino a Mar­ghera. Ha pure una sua «sigla» video, girata da Mimmo Calo­pre­sti, con musi­che dei Subsonica.
Intanto, il mini­stro Dario Fran­ce­schini, auspi­cando la siner­gia fra Expo e Bien­nale, dovrà posare il suo sguardo anche altrove: per esem­pio sugli Uffizi, dove la minac­cia della chiu­sura pasquale (nono­stante sia stata dichia­rata ille­git­tima dall’Autorità di garan­zia per gli scio­peri) non gli deve far dor­mire sonni molto tranquilli.

Fame, guerre, Marx. Che noia il catalogo di Occupy VeneziaUn'edizione politica che vuole far sentire i "rumori del mondo" e "confrontarsi con la storia". Solo quella di ieri purtroppo...

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