
Primo Levi:
Ranocchi sulla luna, a cura di Ernesto Ferrero Einaudi pagg. 222, euro 19
Risvolto
«Se potessi, mi riempirei la casa di tutti gli animali
possibili. Farei ogni sforzo non solo per osservarli,
ma anche per entrare in comunicazione con loro.
Non farei questo in vista di un traguardo scientifico
(non ne ho la cultura né la preparazione),
ma per simpatia e perché sono sicuro che ne trarrei
uno straordinario arricchimento spirituale
e una compiuta visione del mondo...»
Un repertorio di storie incantevoli, in cui una inesausta
curiosità zoologica diventa racconto e poesia,
e ci fa scoprire uno scrittore fantasioso, umoristico,
di sorprendente inventiva.
Gabbiani, giraffe, talpe, formiche, dromedari,
elefanti, farfalle, scoiattoli, ragni,
buoi, ranocchi, corvi, topi, chiocciole...
Nelle pagine di Primo Levi gli animali non
rappresentano una curiosità marginale o
un divertimento accessorio, ma sono parte
integrante del suo immaginario e della
sua moralità: rappresentano un diverso
modo di parlare delle scelte che ogni uomo
deve affrontare. Primo Levi è affascinato
dalle capacità con cui esseri d'ogni
specie, compresi i parassiti, hanno risposto
alle difficoltà dell'ambiente elaborando
soluzioni ingegnose, quasi altrettante
filosofie di vita. «Ci sono animali enormi
e minuscoli, estremamente forti ed estremamente
deboli, audaci e fuggitivi, veloci
e lenti, astuti e sciocchi, splendidi e orrendi», ma proprio uscendo dall'isola umana
uno scrittore può scoprire una miniera di
storie possibili, ricca di metafore, simboli,
allegorie.
Sino dalla fine degli anni Cinquanta Primo
Levi ha dedicato loro racconti, articoli,
interviste immaginarie e poesie, in cui
ha messo a frutto l'acutezza delle sue osservazioni,
e la curiosità di uno sguardo
sorridente e pensoso, mai sentimentale o
antropomorfo. L'insuperabile analista del
«termitaio» del Lager si è rivelato anche
un brillante zoologo ed etologo, capace di
aprire al lettore orizzonti inconsueti. Nelle
sue pagine l'evoluzione diventa il gioco
dei possibili. Novello demiurgo, vagheggia
una sorta di laboratorio sempre aperto
in cui può creare egli stesso animali fantastici
(i vilmy, gli atoúla, le nacunu...), perfettamente
verosimili e sottilmente inquietanti. Le pagine che Ernesto Ferrero raccoglie
e presenta in questo volume sono forse
tra le meno note di Primo Levi, ma ne
arricchiscono e completano l'immagine,
ennesima prova della complessa grandezza
dello scrittore. Come ha scritto lo stesso
Levi, sottolineando la continuità tra
queste invenzioni e i suoi primi libri, «vi
si possono trovare satira e poesia, nostalgia
del passato e anticipazione dell'avvenire,
epica e realtà quotidiana, impostazione
scientifica e attrazione dell'assurdo,
amore dell'ordine naturale e gusto di
sovvertirlo con giochi combinatori, umanesimo
ed educata malvagità». Una gradita
sorpresa, specie per i piú giovani, che
sanno guardare al mondo animale con una
sensibilità speciale.
Primo Levi e la favola dell’uomo mutante
“Ranocchi
sulla luna e altri animali”, una raccolta di racconti in cui lo
scrittore s’ispira a Dante per narrare l’orrore dei lager
di Alberto Asor Rosa Repubblica 5.3.15
“Angelica farfalla” è la storia di uno scienziato nazista che trasforma i prigionieri in uccellacci
CI sono libri interessanti. Libri divertenti. E libri inquietanti. Pochi
quelli che assommano le tre specie. Ranocchi sulla luna e altri animali
di Primo Levi è uno di questi. Siccome si tratta di una scelta di
racconti, elzeviri, poesie, tratti da altre raccolte pubblicate nel
tempo, può anche darsi che la fisionomia compatta e altamente
significativa di quest’ultimo volume si debba ai criteri di scelta del
sapientissimo curatore, Ernesto Ferrero, cui va riconosciuto più in
generale se alle opere di Primo Levi è stata garantita
quell’appropriatezza e quel rigore di edizione, che ci consente di
leggerlo in ogni suo punto, direi, nella pienezza dell’opera prodotta.
FATTO sta che questi Ranocchi si presentano come un libro unitario, il
quale, proprio per i criteri di scelta, ci consente di scoprire meglio
un altro filo della ricchissima tavolozza leviana, la quale non smette
di stupirci per la sua straordinaria elevatezza e, al tempo stesso,
profondità.
Il tema che sta alla base di questa raccolta è quello della
«permutazione delle specie e delle forme». Ossia: tutto ciò che appare
al nostro occhio come solido e immobile è in realtà in perpetuo
movimento e si possono trovare tecniche ed espedienti, talvolta
involontari, talvolta scientifici o più spesso pseudoscientifici, che
rendono tale movimento più rapido e, come dire, più totalizzante. Questa
prospettiva approda in Levi a due strade diverse: i ricordi infantili
(mai come qui presenti); e l’osservazione scientifica, spinta anch’essa
oltre i normali capisaldi dell’obiettività e dell’utilitario. Siamo cioè
di fronte a un problema di «massimi sistemi», che Levi affronta con la
consueta leggerezza stilistica e l’eccezionale concisione che gli sono
proprie. Il «sistema» che ne risulta è interessante, — non possiamo non
appassionarci a questa reinterpretazione del mondo, — e al tempo stesso
inquietante, — non possiamo non provare un brivido nella schiena a
contemplare come e quanto la permutazione possa cambiare, e in molti
casi stravolgere, i fattori che eravamo abituati a conoscere e
praticare.
Farò un solo esempio: il primo racconto della raccolta, intitolato
Angelica farfalla . Quattro rappresentanti medico- scientifici delle
potenze alleate (un inglese, un americano, un russo e un francese) si
recano nell’immediato dopoguerra in un appartamento di Berlino devastato
dai bombardamenti che avrebbe ospitato un misterioso e ambiguo
scienziato, di nome Leeb, presumibilmente al servizio del regime
nazista, il quale vi avrebbe compiuto esperimenti su individui umani
allo scopo di cambiarne la natura. Di tutto ciò non resta nulla, se non
il tanfo, la sporcizia, e un po’ di guano sul pavimento. I quattro hanno
perciò modo di dissertare su varie questioni scientifiche attinenti:
per esempio, l’esistenza di un misterioso animaletto, l’axocotl, che in
un lago del Messico si riproduce allo stadio larvale (insomma, dicono
fra loro, una sorta di neotenia).
Commenta l’americano, che funge da leader del gruppo: può darsi «che
questa condizione non sia così eccezionale come sembra: che altri
animali, forse molti, forse tutti, forse anche l’uomo, abbiano qualcosa
in serbo, una potenzialità, una ulteriore capacità di sviluppo. Che al
di là di ogni sospetto, si trovino allo stato di abbozzi, di brutte
copie, e possano diventare “altri”, e non lo diventino solo perché la
morte interviene prima. Che, insomma, neotenici siamo anche noi».
La testimonianza di una ragazza consente ai quattro di arrivare alla
conclusione che lo scienziato tedesco, esaltato o pazzo o nazista fino
in fondo, sarebbe riuscito a trasformare quattro ignoti prigionieri in
altrettanti uccellacci, di cui più tardi la popolazione locale, stremata
dalle sofferenze, avrebbe fatto strage per cibarsene. Quindi, i quesiti
fondamentali rimangono irrisolti. Ma resta l’inquietudine del non
trovato ma intuito, che nella mente di tutti i coinvolti incide una
traccia ineliminabile di paura.
E l’«angelica farfalla»? L’«angelica farfalla» è una citazione da Dante,
cui attribuisco un’importanza enorme. Data tale importanza, riprodurrei
per intero il passo della Commedia: «O superbi cristiani, miseri lassi,
/ che, della vista de la mente infermi, / fidanza avete ne’ ritrosi
passi, / non v’accorgete che noi siam vermi, / usati a formar l’angelica
farfalla, / che vola a la giustizia sanza schermi?». Siamo in
Purgatorio X, 121-26, nella cornice in cui i superbi purgano il loro
peccato per ascendere al premio eterno. Ora, Dante è essenziale in
generale nell’ispirazione di Primo Levi (onestamente, mi sfugge se
questa osservazione sia già stata fatta). All’ingresso di Auschwitz c’è
una sorta di «caronte » che però rinuncia a gridare ai prigionieri ebrei
«Guai a voi, anime prave» ( Se questo è un uomo): evidentemente, lì si
sta per entrare in Inferno. Ma, ancor più significativamente,
nell’approccio iniziale al campo di concentramento: «... Qui non ha
luogo il Santo Volto, / qui si nuota altrimenti che nel Serchio »
(quando Dante entra nella quinta bolgia, Inferno XXI, 48-49, e i demoni
gridano ai dannati che il trattamento che loro sarà inflitto non avrà
niente in comune con le esperienze passate). Altrettanto, ovviamente,
accadrà nel campo di Auschwitz.
Dante spiega che gli uomini sono come vermi, destinati a sprigionare da
sé la farfalla, — che a mo’ di angelo dispiega le sue ali, rall
egrandoci profondamente con la sua bellezza e leggerezza, — a meno che
il colpevole, peccaminoso comportamento umano, a meno che lo
stravolgimento delle funzioni vitali ed intellettive non costringano
l’uomo a restare verme; oppure a meno che una volontà ostile e perversa
non costringa l’uomo, o anche la bestia, a regredire verso il basso,
invece di alzarsi verso l’alto (come, appunto, racconta la vicenda dell’
Angelica farfalla).
Ora, su questa possibile duplicità si costruisce la raccolta di racconti
di cui stiamo parlando: si può andare verso il basso o verso l’alto a
seconda della scelta che si è fatta. E l’umano e il bestiale, in questo
accidentato percorso, si corrispondono e talvolta si fondono, creando
ircocervi difficilmente distinguibili. La descrizione dei casi possibili
contempla la chiamata in causa di esseri infinitesimali ma estremamente
complicati come gli insetti, le formiche, gli scarabei, i coleotteri,
per salire poi più su, ancora più su, con le chimere e i centauri, fino
all’uomo, che però non può neanche lui essere considerato un punto fermo
nel grande ciclo dell’esistenza universale ma può tornare indietro,
alle sue bassure originarie, al suo fetido destino di sopravvivenza, «sì
come vermo in cui formazion falla». Tutto ciò detto con
quell’inimitabile leggerezza ed essenzialità della forma, che fa pensare
talvolta che l’angolo della bocca di Primo Levi si torca un poco
nell’enunciare queste terribili verità, quasi a raccomandare ai suoi
lettori e ascoltatori che esse siano sì recepite, ma senza nessuna
intonazione magniloquente. Questo è il divertimento: assistere al
dispiegamento dello stile, che dice tutto, senza sprecare una sola
parola (viene in mente Calvino, di cui Levi era amicissimo).
Ha qualcosa a che fare questa enunciazione della permutazione possibile
delle specie con la rappresentazione dell’universo concentrazionario di
Se questo è un uomo ? Io non avrei dubbi. La «filosofia naturale» di
questi racconti ha ispirato la descrizione, e a sua volta ne è stata
ispirata, dell’universo concentrazionario, di cui Levi ha fatto così
terribile esperienza. Ad Auschwitz la permutazione dell’uomo nella
bestia e della bestia nell’uomo ha raggiunto il vertice, pensata e
governata da una diabolica volontà umana (umana... o bestiale?). In
Ranocchi sulla luna la terribile lezione trova una sua formalizzazione
esistenziale e letteraria, che va al di là della recinzione del lager.
Ci sono mille occasioni, pretesti e giustificazioni per cui l’«angelica
farfalla », quando la sua «formazion falla», torni a essere «il vermo»
da cui essa proviene. L’umanità consiste nel procurarsi che il dono di
bellezza e di armonia, di cui la farfalla è il simbolo, non ci sfugga,
per debolezza, vanità, ingordigia di potere crudeltà, dalle mani.
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