mercoledì 11 marzo 2015

Italiano pubblica da Mondadori romanzo di oltre 1.000 pagine

Gli increati
Antonio Moresco: Gli increati, Mondadori, pagg. 1014, euro 30

Risvolto
"'Gli increati' è un romanzo vertiginoso, che coinvolge e cattura con la sua spinta narrativa travolgente, un testo autonomo e, nello stesso tempo, il culmine di un unico progetto cominciato più di trent'anni fa con 'Gli esordi' e proseguito con 'Canti del caos'. E un'opera che taglia e oltrepassa i nostri giacimenti narrativi, poetici, mitici, religiosi, i saperi scientifici, economici, storici, filosofici, il nostro sentimento del mondo, il nostro pensiero e le nostre conoscenze. Che ci trasporta in una dimensione dove non eravamo mai stati, in zone ritenute inaccessibili. Ci confronteremo con un'idea di letteratura a tutto campo, che prende di petto l'indicibile, ancora capace di portare sfida, rischio, avventura, sfondamento, invenzione, visione e passaggio, con un'opera che, mai come in questo caso, si pone non solo come mondo ma anche come ultramondo, abolendo le barriere di vita, morte, vita dopo la morte e immortalità." 


Mille pagine, una non-storia, morti che tornano in vita per ri-morire È il romanzo monstrum dello scrittore più incompreso che abbiamo 
Massimiliano Parente - il Giornale Mer, 11/03/2015

Se il romanzo è un colosso che divora il Mondo 

“Gli increati”, il libro più forte e ambizioso di Antonio Moresco

ANTONIO GNOLI Repubblica 11 3 2015
ANTONIO Moresco nacque all’imbrunire del 30 ottobre del 1947 e morì lo stesso giorno e lo stesso mese del 2010. Aveva 63 anni. Ho provato a immaginare cosa mi sarebbe piaciuto leggere sulla sua tomba. Una piccola frase che ricavo da Gli increati il nuovo sterminato romanzo (in uscita da Mondadori). È lì come una gemma solitaria: «Non diciamo più niente». Cosa c’è di più definitivo? Si esautora ogni voce, ogni parola, ogni frase. Si tace. Solo che per tacere occorre parlare, scrivere, raccontare e raccontarsi.

È il destino della letteratura. Che diversamente dalla vita ha bisogno delle parole per creare il silenzio e la morte. Deve crescere su se stessa se vuole svuotare l’universo.
Naturalmente Moresco non è mai stato meglio. L’ho anche sentito telefonicamente. Gli ho detto che ho esplorato il suo romanzo come una foresta intoccata. Che mi sono fatto largo in quel fogliame fitto, fra quei rami intricati, cercando un sentiero, una radura, una luce. Pensando: perché per trent’anni un uomo si è dedicato a una sola grande opera? Una sola grande architettura: avviata con Gli esordi, proseguita con I canti del caos e portata a termine con questo supplemento di mille pagine. A volte noiose. A volte folgoranti e strepitose. È difficile ricavarne una storia che abbia un senso, una direzione, un fine. Moresco è fastoso e lugubre, pietoso e crudele. Non c’è un io che racconti. Anche se al centro vi è sempre lui: lo scrittore con le sue idiosincrasie, le sue nevrosi, le sue allucinazioni. Gli increati è un romanzo carontico, traghetta, fra i vivi e i morti, la storia del mondo. E la narra soprattutto attraverso la guerra.
Nella visionaria ricostruzione degli eventi si avvertono gli effetti di una terza guerra mondiale che è già accaduta dispiegando la sua capacità distruttiva. Come raccontarla? Moresco si è messo dal punto di vista dei morti, di coloro che non ci sono più. «La vita è la distruzione, i vivi sono dei distruttori», scrive. È questa la loro storia, il loro destino? A giudicare dall’immane dolore che abbiamo saputo infliggere agli altri, ai pretesti razziali, alle insinuazioni etniche, al calcolo economico e al fideismo religioso, come pure a genocidi e stermini, quale credibilità si poteva attribuire alla voce dei vivi? Nessuna. Moresco non ha difficoltà a leggere tali pretese come consolazioni mentali. Eppure egli non rinuncia alla storia, ai suoi figuranti e protagonisti. E allora ecco comparire Napoleone, Lenin, lo Scià di Persia e Mao. Ecco la voce di Jan Palach, con il suo fuoco divoratore, dei ragazzi massacrati in piazza Tienanmen e di coloro che si sono lanciati in fiamme dalle torri gemelle di New York. Tutto arde in questo romanzo fatto di roghi. È un fuoco che non purifica, che non azzera, che non libera. Esercita la sua potenza distruttrice. Rivela semplicemente che la vita brucia come uno stoppino. E ciò che illumina è solo ciò che resta nella nostra provata memoria.
Moresco ha scritto molto. Libri talvolta di invenzione, favolistici e altri autobiografici. Negli Increati l’artificiale divisione è saltata. Qui invenzione e storia personale diventano una sola cosa. Ma non c’è nulla di introspettivo o di psicoanalitico. Moresco mette in dubbio la forza dell’inconscio e quella stessa dell’Io che ha smesso da tempo di rivendicare azione, soggettività, potenza. A volte ho l’impressione di aver assistito alla recita di un sogno. Per poi convincermi che quel mondo onirico non sia più indagabile con gli strumenti di Freud, di Jung o di Lacan, ma con quelli della fisica quantistica. Dove per accedere agli universi paralleli occorre deporre le categorie newtoniane. Non è un caso che la sensazione più forte nasca dalla constatazione che Moresco ami particolarmente leggere libri di scienziati. Ami il big bang, la materia e l’energia oscura, i buchi neri e i quanti. Chiedendosi, senza alcuna punta di superbia, come sia possibile che oggi — di fronte a tante conoscenze che dovrebbero cambiare non solo il nostro modo di vedere il mondo, ma anche i nostri ordinamenti politici, sociali, esistenziali — gli scrittori mettano la testa sotto la sabbia per poter continuare a raccontare le loro storielle.
Con il mondo immobile de Gli esordi e poi col ventre lirico ed esplosivo dei Canti del caos , fino a quest’ultima decisiva prova narrativa che è Gli increati Moresco ha disegnato una gigantesca trilogia: un’architettura circolare dove la fine sembra essere il vero inizio, e l’inizio contenere in sé lo sviluppo del romanzo: «Io invece mi trovavo a mio agio in quel silenzio». È l’incipit de Gli esordi: la ferita originaria che si rimarginerà solo alla conclusione del lungo viaggio. Ma sarà vera guarigione? Nella visione di Moresco i vivi, per quanti sforzi facciano, non hanno nessun vero consorzio umano che li protegga. Nessuna autentica comunità. Nessuna condivisione salvo forse la pretesa di voler diventare immortali. Il mito dell’immortalità è il più atroce dei fraintendimenti, il delirio della nostra epoca dominata dalla tecnica. È singolare che una specie incalzata dal proprio istinto suicida distrugga ogni cosa del pianeta ma al tempo stesso tenti di sconfiggere la propria morte. È il lascito più profondo di questo romanzo paradossale. Che non parla di vittorie e di sconfitte. Ma solo di ciò che sarebbe venuto dopo. È l’oltre che interessa Moresco, scrittore invisibile, morto e rinato per poterci raccontare la sua grande ossessione.
L’altro mondo di Moresco un grand tour nel buio Lo scrittore, che immagina di essere defunto nel 2010, approda in un’irrealtà dove tutto è nero, distrutto, lesionato
Piersandro Pallavicini Tuttolibri 4 3 2015
Conoscete il tesseract? In geometria è l’analogo tetradimensionale del cubo. Ma che vuol dire? Così come nelle tre dimensioni possiamo costruire un cubo spostando lungo l’asse z un quadrato che giace nel piano xy, così nelle quattro dimensioni possiamo costruire un tesseract spostando un cubo lungo l’asse della quarta dimensione. Difficile da immaginare? Ma certo. Un oggetto a quattro dimensioni non è visualizzabile, riusciamo a comprenderne con relativa facilità solo le proiezioni in tre dimensioni. Per il tesseract le proiezioni tridimensionali sono solidi che somigliano a prismi e dodecaedri. Per l’ultimo gigantesco romanzo di Antonio Moresco sono le 1000 pagine che passano sotto il titolo di Gli Increati.
Questo è il dato memorabile, la sensazione che coglie leggendo: che ci sia un senso superiore, globale, nascosto in una dimensione che trascende la classica progettualità narrativa, e di cui possiamo vedere (leggere) solo una proiezione, uno scorcio, una riduzione, per quanto mastodontica, che lascia intatta e oscura la portata del tutto. Per Moresco si è speso così di frequente il termine «visionario» da inflazionarlo e renderne detestabile l’uso, eppure qui non si può farne a meno. Perché sembra che lo stesso autore abbia avuto una visione dell’opera globale e complessiva, e che quanto qui scritto rappresenti lo sforzo compiuto per fissarla, proiettarla nel regime del comprensibile, spiegandola per primo a sé stesso ed eventualmente, solo in seconda battuta, ai lettori.
D’altronde così il libro comincia, con la dichiarazione esplicita di Moresco della difficoltà a raccontare quel che ha – romanzescamente – visto e vissuto, cioè la morte e soprattutto quel che vien dopo, il mondo dei morti, colto in un momento di squasso, disordine, e infine guerra. Perché di questo si tratta: Gli Increati è il racconto di un Antonio Moresco defunto (ovviamente solo nel romanzo) il 30 ottobre del 2010, che si ritrova a girare per un mondo del quale ci narra la somiglianza e corrispondenza con quello dei vivi (ci sono ristoranti, grattacieli, soldi, negozi, letti, finestre, camion, elicotteri dei morti) salvo che tutto è nero, distrutto, lesionato, in costante movimento tellurico. In questo tour nel buio c’è un crescendo molto potente di grandiosità delle immagini, di sgomento del narratore e del lettore, e di pura visione senza comprensione. Comprensione che come si diceva sembra mancare in primis all’io narrante, tanto che la cifra che meglio definisce questo romanzo è il punto interrogativo. Ce ne sono a manciate in ogni pagina, ogni pagina porta una sventagliata di dubbi, di richieste d’aiuto, come se Moresco chiedesse a sé stesso e a chi lo legge: cos’ho visto? Che significato ha? Perché può accadere? C’è un ossessivo ricorrere di frasi che parlano di vita dentro la morte e di morte che precede la vita, come se esistenza e non-esistenza fossero un continuum, con i morti che risorgono dentro la vita e i vivi che muoiono e poi risorgono e via e via. C’è un accumularsi di passaggi come «tutto è spaccato in due […] anche la vita e la morte sono spaccate in due. Perché la morte non esiste, però siamo tutti morti». E che cosa significa?
Non ce lo spiega, Moresco, non lo dice esplicitamente, ma lo ripete, ossessivamente come in una litania. Ecco, qui sta l’idea che rende da una parte impervia, a tratti snervante, la lettura, e dall’altra fornisce a questo libro una coerenza granitica: se un’idea forte, omnicomprensiva, c’è, questa non viene detta ma sfiorata, mostrata con migliaia di fotogrammi. Sta al lettore collezionare queste immagini, sorta di figure di proiezione tridimensionali, e poi montarsele da solo, se ce la fa, nel tentativo di ricostruire l’universo di questo tesseract scrittoriale firmato da Antonio Moresco. Uno scrittore senza dubbio dotato di enorme forza e grandezza, e che richiede al suo lettore d’essere altrettanto forte e grande.

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