lunedì 2 marzo 2015
La crisi della democrazia moderna e le nuove oligarchie: una radicalizzazione incompiuta per i ceti intellettuali italiani
Di tale incompiutezza - e dunque inconcludenza - questi interventi sono un esempio [SGA].
Una società divisa tra subalterni dentro lo Stato e plutocrati nei confini del loro potere globale
di Nadia Urbinati il manifesto 27.2.15
di Duccio Zola il manifesto 27.2.15
«quando i liberi governano, oligarchia quando governano i ricchi,
ma accade che gli uni siano molti e gli altri pochi, perché i liberi
sono molti e i ricchi pochi» (Aristotele, Politica, IV, 1290)
di Carlo Donolo il manifesto 27.2.15
L’emarginazione delle Camere I furti di legislazione con destrezza e il ruolo del Colle
di Montesquieu Il Sole 27.2.15
Puntuali, i casi di emarginazione delle camere all’interno di
procedimenti legislativi si sono verificati senza troppo aspettare.
Addirittura due, di spessore non comune: l’uno bell’e servito – la
normazione delegata in tema del così chiamato jobs act –; l’altro per il
momento solo evocato – nientemeno che la possibile riforma del servizio
pubblico radiotelevisivo con decreto legge – ma già tale da produrre un
inevitabile fragore. Il quadro si completa – e gli esempi si susseguono
con regolare frequenza – con la trasmissione di leggi compiute dalle
sedi del governo alle camere, praticamente solo da votare, con voto
unico e palese con il quale, ignorando l’argomento dell'intervento
legislativo, si ribadisce la fiducia al governo da parte di un ramo del
parlamento.
Il fenomeno complessivo ricorda un po’, fatte le debite differenze e
proporzioni, quello dell’etichettatura postuma con la quale si
attribuisce il prestigio del “made in Italy” a prodotti confezionati
fuori dei confini nazionali : le leggi figurano “made in parlamento”, ma
sono in realtà stipate di merci pigiate a forza dall'esterno.
Così i decreti legge, che l’art. 77 della Costituzione consente al
governo in casi di necessità ed urgenza, diventano pienamente legittimi
quando, a torto o a ragione, il governo ha fretta di intervenire, magari
su un problema vecchio di anni o di legislature. Così, altrettanto, le
deleghe legislative che le camere concedono al governo sempre più
frequentemente contengono criteri e princìpi talmente labili ed ambigui
da fare della facoltà concessa all’esecutivo dall’art. 76 della
Costituzione l’emblema di un furto di legislazione con l’aggravante
della destrezza.
Tutto discende, o quasi, dai vizi contratti in un tempo lontano chiamato
prima Repubblica, quando l’anomalia di una collocazione intangibile dei
due grandi partiti, democrazia cristiana e partito comunista – l’uno
sempre al governo, l’altro perennemente all’opposizione – veniva
ripagata con la sostanziale rinunzia dell’esecutivo a imprimere del
proprio segno la legislazione, perché contenesse il sigillo di due
filosofie spesso contrapposte. Vizi che nel secondo tempo della
Repubblica, congenitamente insofferente all’abbraccio parlamentare dei
quarant’anni precedenti e forte del muro di Berlino da poco abbattuto,
ci si è adoperati a liquidare : lasciando peraltro inalterata – per
pigrizia, pragmatismo da disinteresse istituzionale, impotenza
rovesciamenti improvvisi di tavolo o altro – la lettera della carta
costituzionale. Con il risultato di allargare, oltre la normale soglia
di tolleranza, il solco tra la costituzione formale e quella materiale,
realmente in uso.
Si potrebbe dire che da quasi sessant’anni il sistema politico e
istituzionale è alla ricerca di un virtuoso equilibrio, nel nome della
separazione dei poteri, tra governo e parlamento, avendo fin qui
sperimentato e subìto dapprima un esecutivo parassita delle camere,
lungo una quarantina d’anni; quindi un parlamento parassita del governo
nei successivi venti. Della separazione delle funzioni, corollario mai
posto in discussione da alcuno, almeno formalmente, nemmeno l’ombra: la
relazione tra i due organi costituzionali da più di mezzo secolo, a
parti invertite, ricorda un grande viluppo,a parti cangianti.
Soprattutto negli ultimi vent’anni – quelli in cui ci si è più
allontanati, nella materia,da quanto scritto in Costituzione – i tre
capi dello Stato hanno fatto il possibile per venire in soccorso al
soggetto esautorato, con le armi consentite dai provvisori controlli
preventivi e successivi previsti in costituzione: autorizzazione alla
presentazione, verifica dei presupposti, rinvio alle camere, e poco
d’altro. E ha fatto il possibile la Corte costituzionale, in modo
quantitativamente più circoscritto, ovviamente, ma con poteri più
penetranti. Entrambi gli organi attirandosi accuse, più velate nei
confronti del primo, più veementi verso la seconda, di partigianeria
politica, ma soprattutto di acquiescenza al presunto vero potere, quello
giudiziario, divenuto per alcuni soggetto politico inattaccabile e
irresponsabile, e al tempo dotato di armi pressoché letali nei confronti
degli impropri avversari.
Il nuovo presidente della Repubblica eredita dal predecessore, accanto a
questo quadro di disfunzioni e rattoppi, un processo riformatore in via
di conclusione, soprattutto proprio con riguardo alla funzione
legislativa. Che il governo vuole legittimamente e doverosamente più
sincronica con le esigenze del paese, quelle dei cittadini e quelle
legate alle relazioni istituzionali, al punto da occhieggiare con
cupidigia alla possibilità di fare della decretazione d’urgenza uno
strumento di legislazione (quasi) ordinaria ; e da vedere la delegazione
legislativa come la fuga da ogni controllo delle camere. Fin da oggi, a
costituzione invariata.
Proprio il capo dello Stato, che entra in scena oggi senza alcun
condizionamento, può favorire il ripristino, attraverso l’introduzione
di un bicameralismo non più paritario, di una legislazione che, nel dare
al governo un respiro più ampio, liberi il sistema dei maxiemendamenti,
delle fiducie che suonano sfiducia, dei decreti legge fondati
sull’impazienza e delle leggi di delega a campo aperto. Delle invasioni
di campo, in sintesi.
Diversamente una domanda si impone, a fronte di questa situazione:
perché gli insofferenti al sistema parlamentare, almeno sotto il profilo
dei poteri del parlamento nella legislazione, da vent’anni a questa
parte preferiscono il furto di legislazione con destrezza anziché
promuovere la legalizzazione dello stesso, con i necessari annessi e
connessi?
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento