martedì 24 marzo 2015

Le carte postume del Circolo Pickwick: un romanzo

Death and Mr. Pickwick
Stephen Jarvis: Death and Mr. Pickwick, Jonathan Cape 

Risvolto

Death and Mr. Pickwick is a vast, richly imagined, Dickensian work about the rough-and-tumble world that produced an author who defined an age. Like Charles Dickens did in his immortal novels, Stephen Jarvis has spun a tale full of preposterous characters, shaggy-dog stories, improbable reversals, skulduggery, betrayal, and valor-all true, and all brilliantly brought to life in his unputdownable book.
The Posthumous Papers of the Pickwick Club, featuring the fat and lovable Mr. Pickwick and his Cockney manservant, Sam Weller, began as a series of whimsical sketches, the brainchild of the brilliant, erratic, misanthropic illustrator named Robert Seymour, a denizen of the back alleys and grimy courtyards where early nineteenth-century London's printers and booksellers plied their cutthroat trade. When Seymour's publishers, after trying to match his magical etchings with a number of writers, settled on a young storyteller using the pen name Boz, The Pickwick Papers went on to become a worldwide phenomenon, outselling every other book besides the Bible and Shakespeare's plays. And Boz, as the young Charles Dickens signed his work, became, in the eyes of many, the most important writer of his time. The fate of Robert Seymour, Mr. Pickwick's creator, a very different story-one untold before now.

Few novels deserve to be called magnificent. Death and Mr. Pickwick is one of them.   


Gli intrighi all’ombra del circolo più famoso 

Stephen Jarvis racconta i duri scontri tra Seym our e Dickens, svelando il ruolo creativo dell’illustratore, poi m orto suicida, nel successo di Pickwick &C. A lui si deve lo stile in grado di unificare le varie scene 
24 mar 2015  Libero OTTAVIO CAPPELLANI

In un’epoca in cui si plaude a Thomas Pynchon nella misura in cui riduce l’ampiezza del suo respiro immaginifico, proprio quando ci si sarebbe dovuto aspettare un esordio à la Carver in salsa social (il post e l’asfissìa diaristica come una cifra della contemporaneità), o un Meno di Tweet di un nuovo e giovane e annoiato e stitico Bret Easton Ellis per come lo fu ai suoi inizi, ecco che la letteratura ci sorprende, rovescia il tavolo, e manda alle stampe un romanzone d’esordio del quale si parlerà molto alla Book Fair di Londra (14-16 aprile), Death and Mr. Pickwick di Stephen Jarvis (verrà pubblicato quasi in contemporanea in maggio dalla Jonathan Cape per il Regno Unito e in giugno dalla Farrar, Straus & Giroux per gli Stati Uniti). 
Oltre 800 pagine in cui si ricostruisce l’epoca, l’atmosfera, persino gli intrighi che diedero vita al capolavoro di Charles Dickens (1812-1870), il vero prototipo del postmoderno in letteratura. Eppure, anche se il libro di Jarvis procede con la stessa proliferazione mostruosa, casuale (ma solo apparentemente, in Jarvis), intricata e liberatoria del romanzo di Dickens, il nocciolo della storia è tanto preciso quanto vasto: lo scontro fra la sensibilità artistica, autoconsapevole e tormentata - incarnata dall’illustratore Robert Seymour (1798-1836) - e lo scrittore, Dickens, che accoglie abbandonandovisi l’industria dell’intrattenimento, il mass market come lo chiameremmo oggi: i fascicoli illustrati di The Posthumous Papers of the Pickwick Club venivano letti ad alta voce in appartamenti privati dietro piccolo compenso al padrone di casa (precursore di coloro che oggi scaricano i “contenuti” piratati in rete distribuendoli agli amici su chiavetta usb) - si creò anche uno dei primi casi di merchandising, fatto di bastoni, bombette e panciotti col brand Pickwick. 
Ma chi fu il vero genio dietro il successo intramontato di Samuel Pickwick e dei suoi stravaganti compagni di viaggio? Charles Dickens, il narratore, o Robert Seymour, l’illustratore, che nel tourbillon di avventure, viaggi, personaggi, equivoci, imbrogli e guai seppe trovare un segno stilistico capace di accomunare le varie scene altrimenti slegate? E davvero, chi si è tuffato con gioia nel caos picaresco di questa esplosione di storie si è sempre chiesto: cosa fa dei Pickwick Papers un romanzo e non una collezione di scenette indipendenti? Senz’altro lo stile. Bene, ma allora chi ha instillato lo stile in questa piccola e sterminata odissea? Dickens, che inseguiva il mainstream facendo confluire nella creazione la più grande varietà di situazioni, all’inseguimento dell’identificazione da parte del mag«Il signor Pickw ick si rivolge al Club», illustrazione di Robert Seym our. A sinistra, le copertine del rom anzo di Jarvis e della prim a edizione de «Il Circolo Pickwick» gior numero di lettori, o Seymour, che riportava quel caos a un unico punto di vista? 
Seymour fu trovato morto suicida una mattina, dopo una riunione, a quanto pare movimentata, con Dickens. Dopo la morte dell’illustratore, fu pubblicata una dichiarazione congiunta dello scrittore e dell’editore, Edward Chapman, della Chapman and Hall, in cui si sosteneva che l’illustratore non aveva «suggerito» alcuna scena, circostanza messa in dubbio dall’esistenza dell’illustrazione «I pickwickiani nella cucina di Wardle». Un intrigo, dunque, un mistero, dietro cui, attraverso la maestosa narrazione di Jarvis, si muove un’intera epoca attraversata dalla nascita dell’intrattenimento di massa, con i suoi tipografi, editori, scrittori, illustratori, strilloni, circoli improvvisati di lettura, e tutte le avvisaglie di quel mondo che più tardi sarebbe stato il luogo mentale della radio, del cinema, della televisione, e, infine, delle serie tv. 
La narrazione di Stephen Jarvis fiorisce da un dialogo, ambientato ai giorni nostri, tra il narratore e Mr. Inbelicate, che sta scrivendo un saggio dopo una vita passata a studiare «l’immortale libro» di Dickens. Jarvis prende le parti dell’illustratore, di Seymour, dell’artista tormentato, maniaco depressivo, con i nervi logorati dalla pressione artistica, e che poco prima della morte, quasi annunciando il suicidio, chiede alla moglie di indossare un cappello da vedova, ma che ha saputo tracciare in quei tratti, in quei segni, in quei gesti (che accompagnano la nostra immaginazione ogni volta che ci capita di ripensare a Pickwick) il postmoderno, per come poi si sarebbe evoluto, riuscendo, contemporaneamente, a prenderne le distanze e a tracciare la differenza.  
Jacques Derrida non è estraneo a Death and Mr. Pickwick, costruito su tanti piani di lettura, ma godibile come un feilleuton, come non gli sono estranei le domande sulla funzione della letteratura oggi, dibattuta tra l’esigenza di imporsi nuovamente o di rintanarsi definitivamente. 

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