ROMA Un attacco al governo Renzi : «Sta proseguendo come i governi
precedenti Monti e Letta e anche con un peggioramento rispetto al
governo Berlusconi». Ma anche una sfida al sindacato: «Serve una riforma
democratica, coinvolgendo altri soggetti nelle decisioni per allargare
la rappresentanza». Maurizio Landini ieri ha lanciato la “coalizione
sociale” con la manifestazione della Fiom-Cgil che ha attraversato il
centro di Roma intorno allo slogan Unions – un richiamo alle radici
anglosassoni del movimento sindacale, nato per unire il mondo del lavoro
– aperta dai lavoratori di Fincantieri, per inviare al governo Renzi un
messaggio: «Siamo stanchi di spot elettorali e slide».
Nella stessa giornata gli scioperi organizzati dalla Fiom contro gli
straordinari nelle fabbriche Fca facevano registrare un altro flop: a
Pomigliano hanno scioperato in 6 su 1.473 lavoratori, in Val di Sangro
in 85 su 6.300, alla Fabbrica motori di Ferrara su 1.300 operai hanno
incrociato le braccia in 91, secondo fonti sindacali. Tornando al leader
della Fiom, dal palco di Piazza del Popolo Landini ha annunciato
battaglia contro il Jobs act: «Va contrastato con i contratti nazionali e
aziendali, sul piano legale e legislativo, non escludendo alcun tipo di
intervento». Le 79mila assunzioni in più a tempo indeterminato
registrate tra gennaio e febbraio rispetto al primo bimestre 2014?«Molte
persone già lavoravano, non c’è una crescita di posti – ha aggiunto –.
Queste assunzioni sono avvenute prima dell’entrata in vigore il 7 marzo
del contratto a tutele crescenti, quindi avranno l’articolo 18. Dobbiamo
confermare le tutele dello Statuto dei lavoratori anche per le
assunzioni dei mesi successivi». Landini ha indicato altre due priorità:
«Dobbiamo ottenere la riduzione dell’età pensionabile, ripristinare le
pensioni di anzianità e ridurre gli orari di lavoro».
Quanto alle accuse di voler fare politica: « Se si dice che il sindacato
non deve diventare un partito, siamo tutti d’accordo – ha detto Landini
–, anzi negli ultimi anni un problema è stata la scarsa autonomia dai
partiti e dai governi. Il sindacato deve avere un suo progetto su come
stanno le persone tanto nei luoghi di lavoro quanto fuori, e per questo
deve avere una soggettività politica». Ma al numero uno della Fiom che a
proposito dell’autonomia ha citato l’esempio di Trentin, è arrivato il
monito della vedova del leader storico della Cgil, Marcelle Padovani:
«Landini deve smettere di usare il nome di Bruno Trentin come ispiratore
del proprio pensiero e della propria azione. Trentin pensava ed agiva
in modo assolutamente diverso rispetto al segretario della Fiom. Era
critico verso l'autonomia del politico, ma altrettanto critico verso
l’autonomia del sociale che conduce all’isolamento velleitario o al
corporativismo». La coalizione sociale, secondo Landini «è la risposta
più forte a un Governo che ha già fatto la sua coalizione sociale con
Confindustria e Bce». Presente alla manifestazione la leader della Cgil,
Susanna Camusso, che ha replicato al presidente di Confindustria che
aveva criticato l’iniziativa: «In piazza ci sono i lavoratori
metalmeccanici iscritti alla Cgil che sono giustamente in lotta perché
la delega sul lavoro riduce i loro diritti – ha spiegato –, vogliono il
rinnovo del contratto ed è il settore su cui ha più pesato la crisi».
Tra i parlamentari Pd, assente la componente di area riformista - che
invece aveva partecipato alla manifestazione della Cgil di ottobre -
ieri c’erano Pippo Civati, Rosy Bindi, Barbara Pollastrini e Stefano
Fassina, insieme allo stato maggiore di Sel.
Portare in piazza gli italiani che non ci stanno: che fosse questa, la
vera parola d’ordine della manifestazione organizzata dai metalmeccanici
della Cgil con un titolo anglosassone, «Unions!», l’avevano capito
tutti, a cominciare dal gruppone milanese che è arrivato per ultimo in
piazza della Repubblica per l’inizio del corteo, e mentre saliva le
scale mobili della metropolitana cantava a squarciagola, tra bandiere
rosse e campanacci, «Abbiamo un sogno nel cuore/ Renzi a San Vittore»
(lo stesso coro che a suo tempo veniva dedicato a Bettino Craxi). E per
quanto Su- sanna Camusso — accolta con un bacio di Landini ma tenuta
lontana dal microfono — si sforzi ora di minimizzare l’impatto politico
dell’evento, e precisi gelidamente dai gradini del palco che «in questa
piazza ci sono i lavoratori metalmeccanici iscritti alla Cgil, che
giustamente sono in lotta perché la legge delega sul lavoro riduce i
diritti», si avvicina di più alla verità Nichi Vendola, guest star del
corteo, quando spiega la vera ragione che ha spinto queste diverse anime
del popolo di sinistra, queste cinquanta sfumature di rosso, a
convergere su Roma nel primo sabato di primavera: «E’ ora che tutti
coloro che non si adeguano all’idea che ci sia un uomo solo al comando, e
che non si rassegnano a una deriva autoritaria, facciano massa
critica».
E mentre il corteo passava davanti al Grand Hotel, sfidando gli sguardi
curiosi ma stupiti dei suoi ospiti, sembrava di fare un viaggio indietro
nel tempo risentendo gli stessi cori che — forse cantati dalle medesime
voci — risuonavano quasi mezzo secolo fa, «Il potere dev’essere
operaio», o ascoltando le canzonette anni Settanta del rivalutato Rino
Gaetano che il furgone di testa mandava a palla, a cominciare da
Nuntereggaepiù: «I ministri puliti/ i buffoni di corte/ ladri di polli/
super pensioni/ ladri di stato e stupratori/ il grasso ventre dei
commendatori/ diete politicizzate/ evasori legalizzati/ auto blu/ sangue
blu/ cieli blu/ amore blu/ rock and blues/ nuntereggaepiù!».
Ma se il canto che animava quel variopinto e allegro serpentone in cui
si mescolavano anziani militanti e studenti barricaderi era «Bella ciao»
— l’inno che tutta la piazza canterà alla fine della giornata — il vero
segno unificante è la bandiera rossa. Accanto a quelle della Fiom
sventolano le bandiere rosse di Rifondazione, le bandiere rosse della
lista Tzipras e persino qualche bandiera rossa del Pci, tirata fuori da
chissà quale armadio. Un coraggioso metalmeccanico modenese
temerariamente prova ad alzare la bandiera del Pd, ma è subito
circondato da gente che gli urla minacciosamente «Via, via, quella
bandiera! ». E lui, sia pure protestando («Intolleranti, vergognatevi »)
deve ripiegarla e rimettersela nello zaino.
Landini, intanto, marcia dietro lo striscione della Fincantieri. Cosa
significano tutte queste bandiere rosse? Lui prima finge di ignorare il
senso della domanda: «Significano che il lavoro vuole essere
rappresentato ». Poi però sorride, e aggiunge: «A me le bandiere rosse
mettono il buonumore». E allora alle sue spalle parte partito il coro:
«Avanti o popolo/ alla riscossa/ Bandiera rossa/ Bandiera rossa!».
Adesso quelle bandiere rosse punteggiano piazza del Popolo, salutate
dallo speaker che annuncia: «Noi siamo le persone perbene, siamo il
Paese reale!». Sventolano per salutare Rodotà, salito sul palco
nonostante una recentissima frattura alla gamba, che usa l’ironia per
attaccare Renzi: «Non sono un professorone pigro. Sono qui con le
stampelle». In piazza ci sono anche parlamentari del Pd, testimoni di un
dissenso sempre più evidente. «Sono qui per colmare un deficit di
rappresentanza, visto che il governo è molto più vicino ai poteri forti»
dichiara Stefano Fassina, mentre Pippo Civati ricorda che lui il Jobs
Act non l’ha votato e Rosy Bindi avverte che «anche chi è contro il
governo deve essere ascoltato».
E’ il battesimo di un nuovo soggetto politico? Landini lascia tutti nel
dubbio, ripetendo alla fine del suo comizio che lui non vuol fare un
partito «ma il sindacato deve avere una sua soggettività politica». Poi
conclude citando, significativamente, papa Giovanni XXIII: «Quando sei
per strada e incontri qualcuno, non gli chiedere da dove viene ma
chiedigli dove va, e se va nella stessa direzione, cammina insieme a
lui». E chi vuole intendere intenda.
di Alessandro Trocino Corriere 29.3.15
ROMA «Renzi è peggio di Berlusconi, sta mettendo in pratica le
indicazioni che venivano dalla lettera della Bce. Siamo stanchi di spot,
slide e balle. Oggi inizia una nuova primavera per il futuro». Maurizio
Landini battezza la sua coalizione sociale in piazza del Popolo, a
Roma. Insieme a lui, presente la leader della Cgil Susanna Camusso, una
folla che chiede lavoro. Il «futuro» di Landini, nel corteo griffato
«Unions» (13-14 mila partecipanti, secondo la Questura, piazza del
Popolo piena), si annuncia con un mare di bandiere rosse, di falci e
martello e di «Bella Ciao».
Landini rivendica la sua azione «politica»: «Il sindacato non deve
diventare un partito, ma ha una sua soggettività politica». La
coalizione sociale vede in piazza anche l’associazione «Libera». Il
leader della Fiom lancia l’allarme: «Vogliono cancellare lo statuto dei
lavoratori». Il Jobs act renziano è il nemico: «Lo contrasteremo con
ogni mezzo». Nessun entusiasmo per le 79 mila nuove assunzioni appena
annunciate: «Mi auguro che ce ne siano milioni». Landini attacca Renzi:
«Ha una logica padronale. Lo vedo sempre attento a rispondere,
evidentemente il ragazzo qualche preoccupazione ce l’ha».
In piazza c’è Nichi Vendola, sul palco Stefano Rodotà. Pochi gli
esponenti del Partito democratico: Stefano Fassina, Barbara Pollastrini,
Pippo Civati, Rosy Bindi, Corradino Mineo. Non c’è Cesare Damiano: «Le
nostre critiche partono dai contenuti, qui si rischia di rifluire in una
logica di pura protesta». Fassina subisce una mini contestazione.
Alcuni manifestanti gli urlano «esci dal Pd». Lui, impassibile, ci mette
la faccia, come sempre: «Che ci sto a fare nel Pd? Me lo chiedo. Noi
combattiamo per rivendicare il nostro ruolo, ma c’è un serio problema di
pluralismo e di autonomia dei gruppi». A Fassina non piace la riforma
della Rai: «Si torna agli anni 50». Mineo è ancora più netto: «Il Pd non
esiste più. Combattiamo la nostra battaglia, ma se la perdiamo, ce ne
andremo». Civati è in piazza ma criticamente: «Non mi piace Landini
quando fa la gara a fare il nuovo e delegittima tutti senza
distinzioni». Rosy Bindi è soprattutto «in ascolto», come presidente
della Commissione antimafia (viene ringraziata da Landini per la
presenza): «Questa piazza chiede rappresentanza e va ascoltata. Certo,
se ci fossero meno bandiere rosse sarei più contenta». Critico con
Landini lo scrittore Francesco Piccolo: «È un reazionario, il male della
sinistra».
Il gelo di Camusso che resta defilata «Manifestazione di metalmeccanici»
Il bacio imbarazzato con il «rivale», la scelta di fare solo una dichiarazione
di Fabrizio Roncone Corriere 29.3.15
ROMA - «Quando parla il selvaggio?», chiede con aria disgustata e
complice Carla Cantone, responsabile dello Spi-Cgil, il sindacato dei
pensionati.
Susanna Camusso si volta, si china leggermente, dagli occhi sprigiona un
guizzo azzurrino di sorpresa, come se le avessero chiesto dove andrà in
vacanza quest’estate: «Boh. Non ho idea...».
Maurizio Landini non sente. Si infila la felpa della Fiom, fa ciao alla
folla, ride, si pulisce gli occhiali. Molti compagni metalmeccanici
alzano il pugno chiuso, molte compagne mandano baci con la mano. Grida
di evviva, applausi, fischi di eccitazione, ogni tanto certi attaccano a
cantare «Bella ciao».
Piazza del Popolo, bandiere rosse nel vento del pomeriggio, Stefano Rodotà sta concludendo il suo intervento.
Da un’ora e 35 minuti tutti però osserviamo Susanna Camusso che è lì,
ferma sul penultimo gradino della scaletta di accesso al palco. Ferma,
quasi immobile. Mentre il corteo veniva giù dalle rampe del Pincio,
avanti lo striscione della Fincantieri, lei - direttamente da Reggio
Calabria - è arrivata, è scesa dalla macchina, il servizio di sicurezza
della Cgil l’ha tenuta dentro un cordone di braccia e subito l’hanno
accompagnata fino a quella scaletta.
E lì è rimasta.
A un gradino dal palco.
Presente, ma plasticamente distante.
E muta.
Anziani cronisti sindacali dicono che mai s’era visto il segretario
generale della Cgil non dire mezza parola a una manifestazione della
Fiom.
Allora il suo portavoce, il burbero Massimo Gibelli, sbuffando,
scuotendo la testa perché certe cose non si dovrebbero pensare e
tantomeno chiedere, organizza una bizzarra conferenza stampa: lei, la
Camusso, in via del tutto eccezionale, si sporgerà dal suo penultimo
gradino e farà una breve dichiarazione.
«Però le domande sono vietate!».
No, scusa, Gibelli: che conferenza stampa è senza domande?
«O senza domande, o niente!».
Irrituale, va.
«Anzi, facciamo così: i microfoni, per sicurezza, li consegnate a me!», ordina Gibelli.
Camusso (senza celare un senso di puro fastidio non per Gibelli, ma per
noi che vorremmo sentire cosa pensa): «In questa piazza ci sono i
lavoratori metalmeccanici iscritti alla Cgil che, giustamente, sono in
lotta perché la legge delega riduce i loro diritti».
Venti secondi. Punto. Fine.
Sì, certo: dovremmo fare finta che sia solo una semplice manifestazione
sindacale. Ma è dura. Perché Landini era stato chiaro da subito. Contro
il Jobs act, a Roma, sfilerà una coalizione sociale. Lo slogan è
«Unions», richiamo alle origini del movimento sindacale, e però anche
numerose sigle non sindacali sono venute in marcia con la Fiom o solo a
suo sostegno: Libera, Arci, Articolo 21, Libertà e Giustizia. E poi
Rifondazione e L’altra Europa con Tsipras, lo stato maggiore di Sel e
pezzi di Pd.
Per giorni, sui quotidiani e alla tivù, il sospetto: Landini sta
piantando il seme di un nuovo partito? Tutti i sospetti sono legittimi,
in politica. Ma qui, sotto questo palco, diventa invece forte la
sensazione che Landini abbia piuttosto cominciato la scalata alla Cgil.
La Camusso, del resto, se ne sta lì immobile ma, ogni tanto, le viene
spontaneo alzare lo sguardo e farlo scorrere sui ranghi dei
manifestanti. Chi sono? Metalmeccanici, certo, però non solo. Colpisce
la presenza dei giovani (premiati nell’attesa dall’esibizione del gruppo
musicale romano «Il muro del canto»). Ci sono i bancari, i precari
della scuola, i movimenti di chi lotta per la casa. Tante le bandiere
del vecchio Pci (sotto una di queste, per un tratto, ha camminato anche
l’anziano Aldo Tortorella). Ne hanno alzata una del Pd e il manifestante
è stato insultato. Del Pd comunque ci sono, come detto, schegge di
minoranza parlamentare: c’è Stefano Fassina, c’è Barbara Pollastrini,
c’è Vincenzo Vita. Qualcuno sostiene di aver avvistato anche Rosy Bindi.
I cronisti fanno la conta dei presenti e poi buttano un’occhiata sulla
scaletta: sì, la Camusso è ancora lì. Immobile. Chicchissima con il suo
completo blu, pantaloni di velluto a coste piccole e maglione dello
stesso tono; la bottiglietta d’acqua in tasca, il cellulare con cui
telefonare, di tanto in tanto.
Accanto - uno scalino più in basso - Serena Sorrentino. Chi è questa
Sorrentino? La sua presenza, spiegano osservatori esperti, non è
casuale. Segretaria confederale dal 2010, 37 anni, napoletana,
responsabile delle politiche del lavoro: seria, rigorosa, preparata. Ti
raccontano che alla Camusso non dispiacerebbe metterla in corsa per la
sua successione, quando sarà (nel 2018).
Intanto, però, ecco che risale la scaletta lui.
Maurizio Landini.
Ora voi dovete sapere che Landini è un tipo distratto. Molto distratto.
Uno di quei tipi che ti passano accanto e non si accorgono di te.
Landini fa così proprio con lei, con la Camusso.
Così prontamente lo placcano, gli mollano una pacca sulla spalla, oh, Maurizio, guarda che c’è Susanna...
Lui allora si ferma, torna indietro. E l’abbraccia: «Dai! Diamoci pure un bacio!».
Lei, gelida, porge la guancia sinistra.
Bacio.
A questo punto, Gibelli decide che, per rompere il ghiaccio, non c’è niente di meglio che scattare un bel selfie collettivo.
Camusso: «No. Il selfie, grazie, no».
Baci sul palco con la Camusso ma il leader Fiom punta al trono Cgil e non a fare un partito politico
L’obiettivo attuale di Landini è allargare la rappresentanza sociale a chi oggi è fuori dai radar dei sindacati La Fiom sembra la “quarta confederazione”. Camusso presente ma non parla Patto di non belligeranza tra Susanna e Maurizio?
di Roberto Mania Repubblica 29.3.15
ROMA Costretti a coabitare. Susanna Camusso e Maurizio Landini non si
amano al di là dei baci, dei sorrisi e degli abbracci mostrati ieri in
piazza a favore di teleobiettivi e telecamere. Hanno accettato di
marciare temporaneamente l’uno accanto all’altro. Per convenienza
reciproca, per non scontrarsi, per non indebolirsi entrambi. Ma con la
“Coalizione sociale”, non con un nuovo partito, il leader della Fiom
punta a cambiare anche la Cgil, proprio questa Cgil di Susanna Camusso.
Poi verrà la politica.
Così quella di ieri è stata un’entrata a gamba tesa nel campo della
confederazione. Ormai la Fiom si muove senza più remore come la “quarta
confederazione” dopo Cgil, Cisl e Uil. In piazza c’era di fatto solo la
Fiom (più l’apparato che gli operai) con sparuti rappresentanti delle
altre categorie, dai pensionati ai bancari. Susanna Camusso ha deciso di
non parlare dal palco (scelta piuttosto insolita per il capo della Cgil
a una manifestazione di una categoria) dove è salita per sottrarsi alla
ressa dei cronisti (ai quali ha detto solo che stava lì a sostegno
delle battaglie dei metalmeccanici), restandosene per tutta la durata
dei comizi in un angolo, circondata dal suo staff e dagli altri due
segretari confederali presenti in piazza, Franco Martini e Serena
Sorrentino. Lontani da Landini.
“Allargare” è la parola chiave nella strategia del cinquantrenne,
emiliano, segretario della Fiom. Allargare la rappresentanza del mondo
del lavoro a chi è precario, a chi è autonomo ma è debole come un
metalmeccanico, a chi, giovane o anziano, non ha lavoro. Rompendo il
dualismo tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Non scontato in una
cultura sindacale, e pure di una sinistra politica, che ha ancora i
riferimenti nella tradizionale separazione del lavoro. Allargare
l’iniziativa sindacale alle lotte nei territori per il diritto alla
salute, all’istruzione, alla casa, a un ambiente pulito, alla difesa dei
beni comuni. «Se non lo facciamo noi — dice — nessuno lo fa al nostro
posto». D’altra parte il governo Renzi (il vero nemico della piazza
fiommina) «si è già fatto la sua di coalizione con la Confindustria, la
Bce, la finanza. Dobbiamo unire tutto quello che questo governo sta
dividendo». «Creare massa critica sociale», come spiega dal palco
l’applauditissimo Stefano Rodotà.
Dopo Pasqua (probabilmente l’11 di aprile) si terrà la prima riunione
per fissare, tra i soggetti promotori (Fiom, Emergency, le associazioni
di Libera, Giustizia e Libertà, ecc.), i punti fondamentali della
coalizione sociale. A maggio dovrebbe esserci la convention per lanciare
l’alleanza. E intanto si aprirà la partita dentro la Cgil in vista del
ricambio del 2018, quando scadrà il mandato sia della Camusso sia di
Landini. Camusso non potrà più fare il segretario generale della Cgil,
Landini potrebbe passare dalla Fiom alla Cgil.
In autunno è in programma la conferenza di organizzazione del sindacato.
È lì che si po- trebbero cominciare a cambiare le regole per l’elezione
dei gruppi dirigenti. La Cgil è ancora (l’unica insieme agli altri
sindacati) un’organizzazione di massa del Novecento. La selezione dei
gruppi dirigenti avviene per cooptazione sulla base del peso delle
specifiche cordate (un tempo c’erano le componenti, comunista,
socialista e “terza componente”) e delle possibili alleanze. Se restasse
questo meccanismo le chance di Landini di salire alla guida della Cgil
sarebbero davvero scarse perché non ha il sostegno delle altre
categorie, a parte (forse) i pensionati di Carla Cantone. Da tempo,
però, si discute di come far partecipare all’elezione dei dirigenti
anche la base del sindacato, se non direttamente gli iscritti (l’ipotesi
delle primarie è stata del tutto abbandonata) almeno i delegati delle
fabbriche e degli uffici. Questa strada potrebbe davvero aiutare la
scalata di Landini alla Cgil. La prossima settimana (giovedì 2 aprile) è
in calendario una riunione delle commissioni per definire i documenti
in vista della conferenza di organizzazione. Appare scontata un’apertura
verso una riforma del sistema di elezione. La strada sarà comunque
lunga perché comporterà una modifica dello Statuto che può essere decisa
solo dal congresso. Il prossimo ci sarà nel 2018. Quando, si è visto,
la Camusso uscirà di scena. Un’altra coincidenza favorevole a Landini.
Nel palazzone color salmone di Corso d’Italia, dove è la sede della
Cgil, sta circolando comunque una voce: tra Camusso e Landini è stato
fatto un patto, obtorto collo. Un patto di non belligeranza. Camusso,
infatti, ha sì parlato di «ambiguità» nel progetto di Landini ma non ha
infierito, tanto da partecipare (per quanto con ostentata freddezza e
non per tutto il tragitto) al corteo della Fiom. Landini non ha mai
attaccato la Camusso e anzi ieri è arrivato a dichiarare, sapendo di
esagerare: «La vera novità è che qui c’è tutta la Cgil». Il Jobs act di
Renzi ha unito Cgil e Fiom. Landini non ha motivi per tornare
all’opposizione della Camusso, la quale — in questo scenario — non
avrebbe interesse a ostacolare le ambizioni sindacali del leader della
Fiom. Poi si vedrà. Landini potrà giocarsi le sue carte ma senza
sottovalutare i suoi potenziali avversari. Per ora due: Serena
Sorrentino (classe 1978), delfina della Camusso, membro della segreteria
confederale, e Vincenzo Colla (classe 1962), segretario dell’Emilia
Romagna, già metalmeccanico.
Marcelle Padovani «Lasci stare il nome di mio marito, Bruno Trentin»
Corriere 29.3.15
«Landini deve smettere di usare il nome di Bruno Trentin come ispiratore
del proprio pensiero e della propria azione». È netta la distanza che
Marcelle Padovani, giornalista e vedova dell’ex leader della Cgil (nella
foto) , vuole mettere tra la figura del marito e l’attuale segretario
della Fiom. Nel giorno del debutto della coalizione sociale, Padovani ha
sostenuto che Trentin pensava ed agiva in modo assolutamente diverso.
«Lui era critico — ha sostenuto — verso l’autonomia del politico, ma
altrettanto critico verso l’autonomia del sociale che inevitabilmente
conduce all’isolamento velleitario o al corporativismo». L’affondo è
indirizzato alla nuova aggregazione pensata da Landini. Il segretario
della Fiom ha detto alcune volte di ispirarsi allo storico leader
sindacale anche per la neonata coalizione sociale. La moglie di Trentin
gli ha chiesto di non farlo più.
L’opposizione confortevole della «piazzetta rossa»
di Aldo Cazzullo Corriere 29.3.15
Se questo è il popolo di Maurizio Landini, appare un po’ disunito, e non così invincibile.
Intendiamoci: a Roma è accaduto un fatto politico di rilievo. La piazza —
o meglio la «piazzetta» — rossa di ieri ha tenuto a battesimo un
movimento che forse non diventerà un partito in senso tecnico, ma che si
presenterà alle prossime elezioni politiche contro il Pd. Però
l’opposizione di Landini da una parte e di Salvini dall’altra, per
quanto virulenta a parole, nei fatti più che a una tenaglia pronta a
stritolare il premier somiglia a due confortevoli guanciali tra cui
riposare. La piazza della Fiom non era neppure lontana parente di quella
di Cofferati, anzi non era neppure particolarmente tonica.
Nessuno si aspettava la replica del Circo Massimo; ma colpisce
constatare che il superamento ormai compiuto dell’articolo 18 non abbia
provocato a sinistra la mobilitazione vista quando Berlusconi l’aveva
solo proposto. Nel frattempo è accaduto di tutto, la produzione
industriale è crollata, il Paese si è impoverito, la vecchia classe
dirigente della sinistra è stata messa ai margini. Renzi non è stato
accettato da tutti, anzi molti nel Pd continuano a considerarlo un
usurpatore che sta portando il partito verso una mutazione genetica; ma
dietro le bandiere rosse non c’è per ora un vero movimento sociale di
opposizione. Ci sono militanti vecchi e nuovi (l’età media era altina,
più che nella piazza di Salvini del mese scorso) cui il nuovo corso non
aggrada. Renzi non è certo un democristiano per toni e per modi, ma è un
centrista: nel suo schema c’è spazio per una forza alla sua sinistra;
se poi anche la destra a trazione leghista si radicalizza, tanto meglio,
almeno per lui. In realtà all’Italia servirebbe un’opposizione
credibile, che rappresentasse un’alternativa di governo; ma questo non è
nelle possibilità e neanche nelle intenzioni di Landini (e forse
neppure di Salvini).Landini ha un progetto diverso: fare leva sul
disagio sociale per rifondare la sinistra e restituire alla Fiom e ai
movimenti una centralità da giocare su più tavoli; la conquista della
Cgil, la competizione con Renzi — e con Marchionne —, l’apertura di una
fase di elevata conflittualità. Ma non è di questo che il Paese ha
bisogno. E non è questo che il Paese chiede in una fase in cui
finalmente si rivede un po’ di sviluppo.
Lo schieramento di Landini può valere percentuali vicine a quelle della
Rifondazione comunista di Bertinotti; ma non apre una stagione, non fa
cadere un governo, non condiziona il futuro. I primi segnali di ripresa,
le aziende anche grandi che tornano ad assumere, il timido
riaffacciarsi della fiducia sono segnali che, se confermati, richiudono
la «piazzetta rossa» nel perimetro della testimonianza.
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