domenica 29 marzo 2015

Sosteniamo criticamente il Landini, consapevoli dei suoi limiti come delle difficoltà oggettive e senza sparare le periodiche stronzate scarlatte



Landini in piazza contro Renzi: basta spot, peggio di Berlusconi
di Giorgio Pogliotti Il Sole 29.3.15

Il leader della Fiom Maurizio Landini dalla manifestazione romana attacca il governo Renzi: «Sta proseguendo come Monti e Letta e anche con un peggioramento rispetto a Berlusconi». E lancia la sfida al sindacato: «Serve una riforma democratica, coinvolgendo altri soggetti nelle decisioni per allargare la rappresentanza». Landini, che ieri ha lanciato la “coalizione sociale”, annuncia battaglia sul Jobs act: lo cambieremo con la contrattazione.
ROMA Un attacco al governo Renzi : «Sta proseguendo come i governi precedenti Monti e Letta e anche con un peggioramento rispetto al governo Berlusconi». Ma anche una sfida al sindacato: «Serve una riforma democratica, coinvolgendo altri soggetti nelle decisioni per allargare la rappresentanza». Maurizio Landini ieri ha lanciato la “coalizione sociale” con la manifestazione della Fiom-Cgil che ha attraversato il centro di Roma intorno allo slogan Unions – un richiamo alle radici anglosassoni del movimento sindacale, nato per unire il mondo del lavoro – aperta dai lavoratori di Fincantieri, per inviare al governo Renzi un messaggio: «Siamo stanchi di spot elettorali e slide».
Nella stessa giornata gli scioperi organizzati dalla Fiom contro gli straordinari nelle fabbriche Fca facevano registrare un altro flop: a Pomigliano hanno scioperato in 6 su 1.473 lavoratori, in Val di Sangro in 85 su 6.300, alla Fabbrica motori di Ferrara su 1.300 operai hanno incrociato le braccia in 91, secondo fonti sindacali. Tornando al leader della Fiom, dal palco di Piazza del Popolo Landini ha annunciato battaglia contro il Jobs act: «Va contrastato con i contratti nazionali e aziendali, sul piano legale e legislativo, non escludendo alcun tipo di intervento». Le 79mila assunzioni in più a tempo indeterminato registrate tra gennaio e febbraio rispetto al primo bimestre 2014?«Molte persone già lavoravano, non c’è una crescita di posti – ha aggiunto –. Queste assunzioni sono avvenute prima dell’entrata in vigore il 7 marzo del contratto a tutele crescenti, quindi avranno l’articolo 18. Dobbiamo confermare le tutele dello Statuto dei lavoratori anche per le assunzioni dei mesi successivi». Landini ha indicato altre due priorità: «Dobbiamo ottenere la riduzione dell’età pensionabile, ripristinare le pensioni di anzianità e ridurre gli orari di lavoro».
Quanto alle accuse di voler fare politica: « Se si dice che il sindacato non deve diventare un partito, siamo tutti d’accordo – ha detto Landini –, anzi negli ultimi anni un problema è stata la scarsa autonomia dai partiti e dai governi. Il sindacato deve avere un suo progetto su come stanno le persone tanto nei luoghi di lavoro quanto fuori, e per questo deve avere una soggettività politica». Ma al numero uno della Fiom che a proposito dell’autonomia ha citato l’esempio di Trentin, è arrivato il monito della vedova del leader storico della Cgil, Marcelle Padovani: «Landini deve smettere di usare il nome di Bruno Trentin come ispiratore del proprio pensiero e della propria azione. Trentin pensava ed agiva in modo assolutamente diverso rispetto al segretario della Fiom. Era critico verso l'autonomia del politico, ma altrettanto critico verso l’autonomia del sociale che conduce all’isolamento velleitario o al corporativismo». La coalizione sociale, secondo Landini «è la risposta più forte a un Governo che ha già fatto la sua coalizione sociale con Confindustria e Bce». Presente alla manifestazione la leader della Cgil, Susanna Camusso, che ha replicato al presidente di Confindustria che aveva criticato l’iniziativa: «In piazza ci sono i lavoratori metalmeccanici iscritti alla Cgil che sono giustamente in lotta perché la delega sul lavoro riduce i loro diritti – ha spiegato –, vogliono il rinnovo del contratto ed è il settore su cui ha più pesato la crisi».
Tra i parlamentari Pd, assente la componente di area riformista - che invece aveva partecipato alla manifestazione della Cgil di ottobre - ieri c’erano Pippo Civati, Rosy Bindi, Barbara Pollastrini e Stefano Fassina, insieme allo stato maggiore di Sel.



Unions in piazza, Landini sfida il governo “Basta spot, Renzi peggio di Berlusconi”
In migliaia a piazza del Popolo per il lancio di Coalizione sociale “Abbiamo più consensi del premier, ogni mezzo per cancellare il jobs act” Nel corteo i pd Bindi, Civati, Fassina

di Sebastiano Messina Repubblica 29.3.15

ROMA Le mille bandiere che colorano di rosso piazza del Popolo garriscono più forte al vento, quando Maurizio Landini lancia la sua scomunica, l’accusa dalla quale non si può più tornare indietro: Renzi è peggio di Berlusconi. E’ lui, il leader del Pd, il vero nemico dei lavoratori. Perché è il presidente del Consiglio, e non gli industriali metalmeccanici, l’obiettivo numero uno di questa adunata generale convocata a Roma del leader della Fiom, un fiume di gente che ancora continuava ad arrivare in una piazza già strapiena quando già avevano parlato i primi tre oratori. E infatti è a Renzi, che Landini grida che «ci siamo stancati degli spot elettorali, delle slide e delle balle ». E’ a Renzi, anzi «a questi giovani ragazzi che stanno al governo», che manda a dire che «pensiamo di avere più consenso di quello che hanno loro». E’ a Renzi, che rivolge l’accusa di «aver adottato la logica padronale», e poi anche quella di «mettere a rischio la nostra democrazia». Ed è a Renzi, che lancia la sua sfida contro il Jobs Act: «Noi non ci fermeremo finché non avremo cancellato questa legge sbagliata».
Portare in piazza gli italiani che non ci stanno: che fosse questa, la vera parola d’ordine della manifestazione organizzata dai metalmeccanici della Cgil con un titolo anglosassone, «Unions!», l’avevano capito tutti, a cominciare dal gruppone milanese che è arrivato per ultimo in piazza della Repubblica per l’inizio del corteo, e mentre saliva le scale mobili della metropolitana cantava a squarciagola, tra bandiere rosse e campanacci, «Abbiamo un sogno nel cuore/ Renzi a San Vittore» (lo stesso coro che a suo tempo veniva dedicato a Bettino Craxi). E per quanto Su- sanna Camusso — accolta con un bacio di Landini ma tenuta lontana dal microfono — si sforzi ora di minimizzare l’impatto politico dell’evento, e precisi gelidamente dai gradini del palco che «in questa piazza ci sono i lavoratori metalmeccanici iscritti alla Cgil, che giustamente sono in lotta perché la legge delega sul lavoro riduce i diritti», si avvicina di più alla verità Nichi Vendola, guest star del corteo, quando spiega la vera ragione che ha spinto queste diverse anime del popolo di sinistra, queste cinquanta sfumature di rosso, a convergere su Roma nel primo sabato di primavera: «E’ ora che tutti coloro che non si adeguano all’idea che ci sia un uomo solo al comando, e che non si rassegnano a una deriva autoritaria, facciano massa critica».
E mentre il corteo passava davanti al Grand Hotel, sfidando gli sguardi curiosi ma stupiti dei suoi ospiti, sembrava di fare un viaggio indietro nel tempo risentendo gli stessi cori che — forse cantati dalle medesime voci — risuonavano quasi mezzo secolo fa, «Il potere dev’essere operaio», o ascoltando le canzonette anni Settanta del rivalutato Rino Gaetano che il furgone di testa mandava a palla, a cominciare da Nuntereggaepiù: «I ministri puliti/ i buffoni di corte/ ladri di polli/ super pensioni/ ladri di stato e stupratori/ il grasso ventre dei commendatori/ diete politicizzate/ evasori legalizzati/ auto blu/ sangue blu/ cieli blu/ amore blu/ rock and blues/ nuntereggaepiù!».
Ma se il canto che animava quel variopinto e allegro serpentone in cui si mescolavano anziani militanti e studenti barricaderi era «Bella ciao» — l’inno che tutta la piazza canterà alla fine della giornata — il vero segno unificante è la bandiera rossa. Accanto a quelle della Fiom sventolano le bandiere rosse di Rifondazione, le bandiere rosse della lista Tzipras e persino qualche bandiera rossa del Pci, tirata fuori da chissà quale armadio. Un coraggioso metalmeccanico modenese temerariamente prova ad alzare la bandiera del Pd, ma è subito circondato da gente che gli urla minacciosamente «Via, via, quella bandiera! ». E lui, sia pure protestando («Intolleranti, vergognatevi ») deve ripiegarla e rimettersela nello zaino.
Landini, intanto, marcia dietro lo striscione della Fincantieri. Cosa significano tutte queste bandiere rosse? Lui prima finge di ignorare il senso della domanda: «Significano che il lavoro vuole essere rappresentato ». Poi però sorride, e aggiunge: «A me le bandiere rosse mettono il buonumore». E allora alle sue spalle parte partito il coro: «Avanti o popolo/ alla riscossa/ Bandiera rossa/ Bandiera rossa!».
Adesso quelle bandiere rosse punteggiano piazza del Popolo, salutate dallo speaker che annuncia: «Noi siamo le persone perbene, siamo il Paese reale!». Sventolano per salutare Rodotà, salito sul palco nonostante una recentissima frattura alla gamba, che usa l’ironia per attaccare Renzi: «Non sono un professorone pigro. Sono qui con le stampelle». In piazza ci sono anche parlamentari del Pd, testimoni di un dissenso sempre più evidente. «Sono qui per colmare un deficit di rappresentanza, visto che il governo è molto più vicino ai poteri forti» dichiara Stefano Fassina, mentre Pippo Civati ricorda che lui il Jobs Act non l’ha votato e Rosy Bindi avverte che «anche chi è contro il governo deve essere ascoltato».
E’ il battesimo di un nuovo soggetto politico? Landini lascia tutti nel dubbio, ripetendo alla fine del suo comizio che lui non vuol fare un partito «ma il sindacato deve avere una sua soggettività politica». Poi conclude citando, significativamente, papa Giovanni XXIII: «Quando sei per strada e incontri qualcuno, non gli chiedere da dove viene ma chiedigli dove va, e se va nella stessa direzione, cammina insieme a lui». E chi vuole intendere intenda.



La coalizione sociale a Roma. Decine di migliaia di persone al debutto del nuovo movimento lanciato dalla Fiom «Renzi alleato a Confindustria e Bce: i diritti li riconquisteremo con i contratti e cancellando il Jobs Act»
Il saluto di Rodotà, gli studenti e le associazioni "Unions", come agli albori del sindacato

di Antonio Sciotto il manifesto 29.3.15




Landini in piazza, l’attacco a Renzi
di Alessandro Trocino Corriere 29.3.15

ROMA «Renzi è peggio di Berlusconi, sta mettendo in pratica le indicazioni che venivano dalla lettera della Bce. Siamo stanchi di spot, slide e balle. Oggi inizia una nuova primavera per il futuro». Maurizio Landini battezza la sua coalizione sociale in piazza del Popolo, a Roma. Insieme a lui, presente la leader della Cgil Susanna Camusso, una folla che chiede lavoro. Il «futuro» di Landini, nel corteo griffato «Unions» (13-14 mila partecipanti, secondo la Questura, piazza del Popolo piena), si annuncia con un mare di bandiere rosse, di falci e martello e di «Bella Ciao».
Landini rivendica la sua azione «politica»: «Il sindacato non deve diventare un partito, ma ha una sua soggettività politica». La coalizione sociale vede in piazza anche l’associazione «Libera». Il leader della Fiom lancia l’allarme: «Vogliono cancellare lo statuto dei lavoratori». Il Jobs act renziano è il nemico: «Lo contrasteremo con ogni mezzo». Nessun entusiasmo per le 79 mila nuove assunzioni appena annunciate: «Mi auguro che ce ne siano milioni». Landini attacca Renzi: «Ha una logica padronale. Lo vedo sempre attento a rispondere, evidentemente il ragazzo qualche preoccupazione ce l’ha».
In piazza c’è Nichi Vendola, sul palco Stefano Rodotà. Pochi gli esponenti del Partito democratico: Stefano Fassina, Barbara Pollastrini, Pippo Civati, Rosy Bindi, Corradino Mineo. Non c’è Cesare Damiano: «Le nostre critiche partono dai contenuti, qui si rischia di rifluire in una logica di pura protesta». Fassina subisce una mini contestazione. Alcuni manifestanti gli urlano «esci dal Pd». Lui, impassibile, ci mette la faccia, come sempre: «Che ci sto a fare nel Pd? Me lo chiedo. Noi combattiamo per rivendicare il nostro ruolo, ma c’è un serio problema di pluralismo e di autonomia dei gruppi». A Fassina non piace la riforma della Rai: «Si torna agli anni 50». Mineo è ancora più netto: «Il Pd non esiste più. Combattiamo la nostra battaglia, ma se la perdiamo, ce ne andremo». Civati è in piazza ma criticamente: «Non mi piace Landini quando fa la gara a fare il nuovo e delegittima tutti senza distinzioni». Rosy Bindi è soprattutto «in ascolto», come presidente della Commissione antimafia (viene ringraziata da Landini per la presenza): «Questa piazza chiede rappresentanza e va ascoltata. Certo, se ci fossero meno bandiere rosse sarei più contenta». Critico con Landini lo scrittore Francesco Piccolo: «È un reazionario, il male della sinistra».



Il gelo di Camusso che resta defilata «Manifestazione di metalmeccanici»
Il bacio imbarazzato con il «rivale», la scelta di fare solo una dichiarazione

di Fabrizio Roncone  Corriere 29.3.15

ROMA - «Quando parla il selvaggio?», chiede con aria disgustata e complice Carla Cantone, responsabile dello Spi-Cgil, il sindacato dei pensionati.
Susanna Camusso si volta, si china leggermente, dagli occhi sprigiona un guizzo azzurrino di sorpresa, come se le avessero chiesto dove andrà in vacanza quest’estate: «Boh. Non ho idea...».
Maurizio Landini non sente. Si infila la felpa della Fiom, fa ciao alla folla, ride, si pulisce gli occhiali. Molti compagni metalmeccanici alzano il pugno chiuso, molte compagne mandano baci con la mano. Grida di evviva, applausi, fischi di eccitazione, ogni tanto certi attaccano a cantare «Bella ciao».
Piazza del Popolo, bandiere rosse nel vento del pomeriggio, Stefano Rodotà sta concludendo il suo intervento.
Da un’ora e 35 minuti tutti però osserviamo Susanna Camusso che è lì, ferma sul penultimo gradino della scaletta di accesso al palco. Ferma, quasi immobile. Mentre il corteo veniva giù dalle rampe del Pincio, avanti lo striscione della Fincantieri, lei - direttamente da Reggio Calabria - è arrivata, è scesa dalla macchina, il servizio di sicurezza della Cgil l’ha tenuta dentro un cordone di braccia e subito l’hanno accompagnata fino a quella scaletta.
E lì è rimasta.
A un gradino dal palco.
Presente, ma plasticamente distante.
E muta.
Anziani cronisti sindacali dicono che mai s’era visto il segretario generale della Cgil non dire mezza parola a una manifestazione della Fiom.
Allora il suo portavoce, il burbero Massimo Gibelli, sbuffando, scuotendo la testa perché certe cose non si dovrebbero pensare e tantomeno chiedere, organizza una bizzarra conferenza stampa: lei, la Camusso, in via del tutto eccezionale, si sporgerà dal suo penultimo gradino e farà una breve dichiarazione.
«Però le domande sono vietate!».
No, scusa, Gibelli: che conferenza stampa è senza domande?
«O senza domande, o niente!».
Irrituale, va.
«Anzi, facciamo così: i microfoni, per sicurezza, li consegnate a me!», ordina Gibelli.
Camusso (senza celare un senso di puro fastidio non per Gibelli, ma per noi che vorremmo sentire cosa pensa): «In questa piazza ci sono i lavoratori metalmeccanici iscritti alla Cgil che, giustamente, sono in lotta perché la legge delega riduce i loro diritti».
Venti secondi. Punto. Fine.
Sì, certo: dovremmo fare finta che sia solo una semplice manifestazione sindacale. Ma è dura. Perché Landini era stato chiaro da subito. Contro il Jobs act, a Roma, sfilerà una coalizione sociale. Lo slogan è «Unions», richiamo alle origini del movimento sindacale, e però anche numerose sigle non sindacali sono venute in marcia con la Fiom o solo a suo sostegno: Libera, Arci, Articolo 21, Libertà e Giustizia. E poi Rifondazione e L’altra Europa con Tsipras, lo stato maggiore di Sel e pezzi di Pd.
Per giorni, sui quotidiani e alla tivù, il sospetto: Landini sta piantando il seme di un nuovo partito? Tutti i sospetti sono legittimi, in politica. Ma qui, sotto questo palco, diventa invece forte la sensazione che Landini abbia piuttosto cominciato la scalata alla Cgil.
La Camusso, del resto, se ne sta lì immobile ma, ogni tanto, le viene spontaneo alzare lo sguardo e farlo scorrere sui ranghi dei manifestanti. Chi sono? Metalmeccanici, certo, però non solo. Colpisce la presenza dei giovani (premiati nell’attesa dall’esibizione del gruppo musicale romano «Il muro del canto»). Ci sono i bancari, i precari della scuola, i movimenti di chi lotta per la casa. Tante le bandiere del vecchio Pci (sotto una di queste, per un tratto, ha camminato anche l’anziano Aldo Tortorella). Ne hanno alzata una del Pd e il manifestante è stato insultato. Del Pd comunque ci sono, come detto, schegge di minoranza parlamentare: c’è Stefano Fassina, c’è Barbara Pollastrini, c’è Vincenzo Vita. Qualcuno sostiene di aver avvistato anche Rosy Bindi.
I cronisti fanno la conta dei presenti e poi buttano un’occhiata sulla scaletta: sì, la Camusso è ancora lì. Immobile. Chicchissima con il suo completo blu, pantaloni di velluto a coste piccole e maglione dello stesso tono; la bottiglietta d’acqua in tasca, il cellulare con cui telefonare, di tanto in tanto.
Accanto - uno scalino più in basso - Serena Sorrentino. Chi è questa Sorrentino? La sua presenza, spiegano osservatori esperti, non è casuale. Segretaria confederale dal 2010, 37 anni, napoletana, responsabile delle politiche del lavoro: seria, rigorosa, preparata. Ti raccontano che alla Camusso non dispiacerebbe metterla in corsa per la sua successione, quando sarà (nel 2018).
Intanto, però, ecco che risale la scaletta lui.
Maurizio Landini.
Ora voi dovete sapere che Landini è un tipo distratto. Molto distratto. Uno di quei tipi che ti passano accanto e non si accorgono di te.
Landini fa così proprio con lei, con la Camusso.
Così prontamente lo placcano, gli mollano una pacca sulla spalla, oh, Maurizio, guarda che c’è Susanna...
Lui allora si ferma, torna indietro. E l’abbraccia: «Dai! Diamoci pure un bacio!».
Lei, gelida, porge la guancia sinistra.
Bacio.
A questo punto, Gibelli decide che, per rompere il ghiaccio, non c’è niente di meglio che scattare un bel selfie collettivo.
Camusso: «No. Il selfie, grazie, no». 



Baci sul palco con la Camusso ma il leader Fiom punta al trono Cgil e non a fare un partito politico
L’obiettivo attuale di Landini è allargare la rappresentanza sociale a chi oggi è fuori dai radar dei sindacati La Fiom sembra la “quarta confederazione”. Camusso presente ma non parla Patto di non belligeranza tra Susanna e Maurizio?

di Roberto Mania Repubblica 29.3.15

ROMA Costretti a coabitare. Susanna Camusso e Maurizio Landini non si amano al di là dei baci, dei sorrisi e degli abbracci mostrati ieri in piazza a favore di teleobiettivi e telecamere. Hanno accettato di marciare temporaneamente l’uno accanto all’altro. Per convenienza reciproca, per non scontrarsi, per non indebolirsi entrambi. Ma con la “Coalizione sociale”, non con un nuovo partito, il leader della Fiom punta a cambiare anche la Cgil, proprio questa Cgil di Susanna Camusso. Poi verrà la politica.
Così quella di ieri è stata un’entrata a gamba tesa nel campo della confederazione. Ormai la Fiom si muove senza più remore come la “quarta confederazione” dopo Cgil, Cisl e Uil. In piazza c’era di fatto solo la Fiom (più l’apparato che gli operai) con sparuti rappresentanti delle altre categorie, dai pensionati ai bancari. Susanna Camusso ha deciso di non parlare dal palco (scelta piuttosto insolita per il capo della Cgil a una manifestazione di una categoria) dove è salita per sottrarsi alla ressa dei cronisti (ai quali ha detto solo che stava lì a sostegno delle battaglie dei metalmeccanici), restandosene per tutta la durata dei comizi in un angolo, circondata dal suo staff e dagli altri due segretari confederali presenti in piazza, Franco Martini e Serena Sorrentino. Lontani da Landini.
“Allargare” è la parola chiave nella strategia del cinquantrenne, emiliano, segretario della Fiom. Allargare la rappresentanza del mondo del lavoro a chi è precario, a chi è autonomo ma è debole come un metalmeccanico, a chi, giovane o anziano, non ha lavoro. Rompendo il dualismo tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Non scontato in una cultura sindacale, e pure di una sinistra politica, che ha ancora i riferimenti nella tradizionale separazione del lavoro. Allargare l’iniziativa sindacale alle lotte nei territori per il diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, a un ambiente pulito, alla difesa dei beni comuni. «Se non lo facciamo noi — dice — nessuno lo fa al nostro posto». D’altra parte il governo Renzi (il vero nemico della piazza fiommina) «si è già fatto la sua di coalizione con la Confindustria, la Bce, la finanza. Dobbiamo unire tutto quello che questo governo sta dividendo». «Creare massa critica sociale», come spiega dal palco l’applauditissimo Stefano Rodotà.
Dopo Pasqua (probabilmente l’11 di aprile) si terrà la prima riunione per fissare, tra i soggetti promotori (Fiom, Emergency, le associazioni di Libera, Giustizia e Libertà, ecc.), i punti fondamentali della coalizione sociale. A maggio dovrebbe esserci la convention per lanciare l’alleanza. E intanto si aprirà la partita dentro la Cgil in vista del ricambio del 2018, quando scadrà il mandato sia della Camusso sia di Landini. Camusso non potrà più fare il segretario generale della Cgil, Landini potrebbe passare dalla Fiom alla Cgil.
In autunno è in programma la conferenza di organizzazione del sindacato. È lì che si po- trebbero cominciare a cambiare le regole per l’elezione dei gruppi dirigenti. La Cgil è ancora (l’unica insieme agli altri sindacati) un’organizzazione di massa del Novecento. La selezione dei gruppi dirigenti avviene per cooptazione sulla base del peso delle specifiche cordate (un tempo c’erano le componenti, comunista, socialista e “terza componente”) e delle possibili alleanze. Se restasse questo meccanismo le chance di Landini di salire alla guida della Cgil sarebbero davvero scarse perché non ha il sostegno delle altre categorie, a parte (forse) i pensionati di Carla Cantone. Da tempo, però, si discute di come far partecipare all’elezione dei dirigenti anche la base del sindacato, se non direttamente gli iscritti (l’ipotesi delle primarie è stata del tutto abbandonata) almeno i delegati delle fabbriche e degli uffici. Questa strada potrebbe davvero aiutare la scalata di Landini alla Cgil. La prossima settimana (giovedì 2 aprile) è in calendario una riunione delle commissioni per definire i documenti in vista della conferenza di organizzazione. Appare scontata un’apertura verso una riforma del sistema di elezione. La strada sarà comunque lunga perché comporterà una modifica dello Statuto che può essere decisa solo dal congresso. Il prossimo ci sarà nel 2018. Quando, si è visto, la Camusso uscirà di scena. Un’altra coincidenza favorevole a Landini.
Nel palazzone color salmone di Corso d’Italia, dove è la sede della Cgil, sta circolando comunque una voce: tra Camusso e Landini è stato fatto un patto, obtorto collo. Un patto di non belligeranza. Camusso, infatti, ha sì parlato di «ambiguità» nel progetto di Landini ma non ha infierito, tanto da partecipare (per quanto con ostentata freddezza e non per tutto il tragitto) al corteo della Fiom. Landini non ha mai attaccato la Camusso e anzi ieri è arrivato a dichiarare, sapendo di esagerare: «La vera novità è che qui c’è tutta la Cgil». Il Jobs act di Renzi ha unito Cgil e Fiom. Landini non ha motivi per tornare all’opposizione della Camusso, la quale — in questo scenario — non avrebbe interesse a ostacolare le ambizioni sindacali del leader della Fiom. Poi si vedrà. Landini potrà giocarsi le sue carte ma senza sottovalutare i suoi potenziali avversari. Per ora due: Serena Sorrentino (classe 1978), delfina della Camusso, membro della segreteria confederale, e Vincenzo Colla (classe 1962), segretario dell’Emilia Romagna, già metalmeccanico.

Marcelle Padovani «Lasci stare il nome di mio marito, Bruno Trentin»
Corriere 29.3.15
«Landini deve smettere di usare il nome di Bruno Trentin come ispiratore del proprio pensiero e della propria azione». È netta la distanza che Marcelle Padovani, giornalista e vedova dell’ex leader della Cgil (nella foto) , vuole mettere tra la figura del marito e l’attuale segretario della Fiom. Nel giorno del debutto della coalizione sociale, Padovani ha sostenuto che Trentin pensava ed agiva in modo assolutamente diverso. «Lui era critico — ha sostenuto — verso l’autonomia del politico, ma altrettanto critico verso l’autonomia del sociale che inevitabilmente conduce all’isolamento velleitario o al corporativismo». L’affondo è indirizzato alla nuova aggregazione pensata da Landini. Il segretario della Fiom ha detto alcune volte di ispirarsi allo storico leader sindacale anche per la neonata coalizione sociale. La moglie di Trentin gli ha chiesto di non farlo più.

L’opposizione confortevole della «piazzetta rossa»
di Aldo Cazzullo Corriere 29.3.15
Se questo è il popolo di Maurizio Landini, appare un po’ disunito, e non così invincibile.
Intendiamoci: a Roma è accaduto un fatto politico di rilievo. La piazza — o meglio la «piazzetta» — rossa di ieri ha tenuto a battesimo un movimento che forse non diventerà un partito in senso tecnico, ma che si presenterà alle prossime elezioni politiche contro il Pd. Però l’opposizione di Landini da una parte e di Salvini dall’altra, per quanto virulenta a parole, nei fatti più che a una tenaglia pronta a stritolare il premier somiglia a due confortevoli guanciali tra cui riposare. La piazza della Fiom non era neppure lontana parente di quella di Cofferati, anzi non era neppure particolarmente tonica.
Nessuno si aspettava la replica del Circo Massimo; ma colpisce constatare che il superamento ormai compiuto dell’articolo 18 non abbia provocato a sinistra la mobilitazione vista quando Berlusconi l’aveva solo proposto. Nel frattempo è accaduto di tutto, la produzione industriale è crollata, il Paese si è impoverito, la vecchia classe dirigente della sinistra è stata messa ai margini. Renzi non è stato accettato da tutti, anzi molti nel Pd continuano a considerarlo un usurpatore che sta portando il partito verso una mutazione genetica; ma dietro le bandiere rosse non c’è per ora un vero movimento sociale di opposizione. Ci sono militanti vecchi e nuovi (l’età media era altina, più che nella piazza di Salvini del mese scorso) cui il nuovo corso non aggrada. Renzi non è certo un democristiano per toni e per modi, ma è un centrista: nel suo schema c’è spazio per una forza alla sua sinistra; se poi anche la destra a trazione leghista si radicalizza, tanto meglio, almeno per lui. In realtà all’Italia servirebbe un’opposizione credibile, che rappresentasse un’alternativa di governo; ma questo non è nelle possibilità e neanche nelle intenzioni di Landini (e forse neppure di Salvini).Landini ha un progetto diverso: fare leva sul disagio sociale per rifondare la sinistra e restituire alla Fiom e ai movimenti una centralità da giocare su più tavoli; la conquista della Cgil, la competizione con Renzi — e con Marchionne —, l’apertura di una fase di elevata conflittualità. Ma non è di questo che il Paese ha bisogno. E non è questo che il Paese chiede in una fase in cui finalmente si rivede un po’ di sviluppo.
Lo schieramento di Landini può valere percentuali vicine a quelle della Rifondazione comunista di Bertinotti; ma non apre una stagione, non fa cadere un governo, non condiziona il futuro. I primi segnali di ripresa, le aziende anche grandi che tornano ad assumere, il timido riaffacciarsi della fiducia sono segnali che, se confermati, richiudono la «piazzetta rossa» nel perimetro della testimonianza. 

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