mercoledì 1 aprile 2015

Bestie, baci e altri simboli nel Medioevo

Fer­nando Rigon Forte: Un Bestia­rio per l’Eden. Lo zoo di Adamo, Skira, pp. 112, euro 14

Risvolto
“Chiamò dunque Adamo tutti gli esseri animati con il loro nome”, dice la Genesi. Dal Cristianesimo, la figura di Adamo riassume tutte le culture artistiche precedenti imperniate sulla rappresentazione del corpo umano, visto come segnale visibile di un’intelligenza unica, capace di nominare le cose, e come simbolo stesso di una prerogativa umana esclusiva qual è il linguaggio.

Nella colta e feconda narrazione di Fernando Rigon Forte, Adamo chiama gli animali e li configura in base al messaggio che Dio ha loro affidato, anche a rischio di tramutarli in puri simboli. E così, nell’arte, anche le bestie possono parlare con un proprio linguaggio allusivo: anche dopo il peccato dell’Uomo, conservano il loro nome per i Bestiari medioevali, tesi a far pensare e a ripronunciare la fauna dell’Eden secondo simboli e allegorie.
Fernando Rigon Forte, direttore del Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa dal 1976 al 1983; dirigente del settore Musei e monumenti civici di Vicenza dal 1983 al 1991. Ha realizzato una quindicina di nuove sezioni espositive in musei d’arte e di storia e organizzato una quarantina di mostre, curandone i relativi cataloghi a stampa. Autore di quasi duecento pubblicazioni, con Skira ha pubblicato Arte dei numeri. Letture iconografiche (2006) e L’orma del Tempo (2013).

Il bacio spudorato 

Storia. Un percorso di letture sul Medioevo e i suoi simboli. Dalle ritualità demoniache che rovesciano gli ideali cavallereschi ai dati tecnici per la falconeria di Federico II 

Marina Montesano, il Manifesto 1.4.2015 

Quando si acco­glie un neo­fita e lo si intro­duce per la prima volta nella assem­blea dei reprobi, gli appare una spe­cie di rana; altri dicono che è un rospo. Alcuni gli danno un igno­bile bacio sull’ano, altri sulla bocca lec­cando la lin­gua e la bava dell’animale. Tal­volta il rospo appare a gran­dezza natu­rale, altre con le dimen­sioni di un’oca o di un’anitra. Nor­mal­mente ha la gran­dezza della bocca di un forno. Il neo­fita, intanto, avanza e si ferma di fronte a un uomo di un pal­lore spa­ven­toso, dagli occhi neri, e tal­mente magro ed ema­ciato da sem­brare senza carne e niente più che pelle e ossa. Lo bacia e si accorge che è freddo come il ghiac­cio; in quello stesso istante, ogni ricordo della fede cat­to­lica scom­pare dalla sua mente. Poi si sie­dono tutti a ban­chet­tare e quando si alzano dopo aver finito, da una spe­cie di sta­tua che di solito si erge nel luogo di que­ste riu­nioni, emerge un gatto nero, grande come un cane di taglia media, che viene avanti cam­mi­nando all’indietro e con la coda eretta. Il nuovo adepto, sem­pre per primo, lo bacia sulle parti poste­riori, poi fanno lo stesso il capo e tutti gli altri, ognuno osser­vando il pro­prio turno: ma solo quelli che lo hanno meri­tato (…). Ter­mi­nata que­sta ceri­mo­nia, si spen­gono le luci e i pre­senti si abban­do­nano alla lus­su­ria più sfre­nata, senza distin­zione di sesso. Se ci sono più uomini che donne, gli uomini sod­di­sfano tra loro gli appe­titi depra­vati, e le donne fanno lo stesso. Quando tutti que­sti orrori hanno fine, si accen­dono di nuovo le can­dele e tutti vanno al loro posto». 
Con que­ste parole la Vox In Rama, decre­tale ema­nata da papa Gre­go­rio IX nel 1233, descri­veva le ille­cite ceri­mo­nie alle quali si sareb­bero dati alcuni ere­tici. L’occasione non è del tutto chiara; il testo era indi­riz­zato all’arcivescovo di Magonza, al vescovo di Hil­de­sheim e a Cor­rado di Mar­burgo, un inqui­si­tore che aveva il com­pito di dar la cac­cia agli ere­tici nell’episcopato di Magonza. Si pensa che le infor­ma­zioni incluse nella bolla, for­nite al pon­te­fice da Cor­rado di Mar­burgo, si rife­ri­scano agli ere­tici della valle del Reno. Le accuse riguar­da­vano il conte Enrico II di Sayn, il quale si era appel­lato a un con­ci­lio di vescovi della regione, venendo assolto. Denunce di pra­ti­che simili erano già pre­senti in tempi molto pre­ce­denti; i cri­stiani erano stati accu­sati, nel mondo antico, di ceri­mo­nie e rituali omi­cidi e orgia­stici, come testi­mo­nia Ter­tul­liano nell’Apologeticum scritto appunto in difesa dei suoi cor­re­li­gio­nari. Soprat­tutto, si tratta di ste­reo­tipi desti­nati a grande for­tuna nel con­te­sto della stre­go­ne­ria e del sabba. In par­ti­co­lare, la pra­tica dell’osculum infame, il bacio sull’ano in segno di sot­to­mis­sione al dia­volo, che com­pare anche nel pro­cesso con­tro i Tem­plari. A trac­ciarne la sto­ria arriva il breve volume di Pan­ta­lea Maz­zi­tello, Il bacio spu­do­rato. Sto­ria dell’osculum infame (Medusa, pp. 170, euro 19), che si volge a inda­gare il tema, oltre che nel con­te­sto ere­ti­cale e stre­go­nico, anche in quello paro­di­stico che viene svi­lup­pato nelle fonti letterarie. 
Il «bacio spu­do­rato» è l’inversione della gestua­lità e della ritua­lità litur­gi­che e caval­le­re­sche, ossia dei con­te­sti cul­tu­rali che più con­ta­vano nell’età di rife­ri­mento; il capo­vol­gi­mento, dun­que, con­duce verso il mondo delle rap­pre­sen­ta­zioni tea­trali, ludi­che, car­na­scia­le­sche. Senza dimen­ti­care, però, il forte rap­porto che tali ambiti hanno con il tema del masche­ra­mento, dell’aldilà. 
Se ne esce con la forte sen­sa­zione che, ancora una volta, soprat­tutto nell’età medie­vale (ma anche molto oltre, tenendo pre­sente quel con­cetto di «lungo medioevo» tanto caro al com­pianto Jac­ques Le Goff), il lin­guag­gio dei sim­boli è fon­da­men­tale anche per com­pren­dere le dina­mi­che sociali. È quanto ci dice, in un con­te­sto ben più solare, Fer­nando Rigon Forte nel suo Un Bestia­rio per l’Eden. Lo zoo di Adamo (Skira, pp. 112, euro 14). Adamo il primo uomo è al cen­tro del creato per­ché il dono del lin­guag­gio gli con­sente di nomi­nare le cose e, attra­verso il lin­guag­gio, di dar loro un senso: e tale senso è emi­nen­te­mente sim­bo­lico, per­ché tutto nel creato rin­via a qualcos’altro. L’universo degli ani­mali, in par­ti­co­lare, così come veniva raf­fi­gu­rato nel medioevo all’interno di quei testi detti «Bestiari», par­lava per alle­go­rie di vizi e virtù, di amore, di pas­sioni, di com­por­ta­menti sim­bo­li­ca­mente pre­gnanti. E que­sto non per­ché la cul­tura medie­vale fosse priva di un senso pra­tico o della capa­cità di osser­vare empi­ri­ca­mente la realtà; solo che la realtà empi­rica aveva un grado di impor­tanza e, in un certo senso, di veri­di­cità infe­riore rispetto a quella simbolica. 
Tut­ta­via, l’importanza dell’osservazione empi­rica diventa pres­sante a par­tire dai secoli XII-XIII, quelli del con­tatto con il mondo arabo, della cir­co­la­zione di merci, per­sone, idee. Per restare sem­pre nell’ambito del mondo ani­male, i trat­tati di mascal­cia e di fal­co­ne­ria si fanno più dif­fusi: non per niente si tratta di ani­mali nobili, che accom­pa­gnano i cava­lieri nell’attività pre­di­letta della cac­cia. Se il De arte venandi cum avi­bus è il trat­tato di fal­co­ne­ria più noto, visto che si deve all’imperatore Fede­rico II, un recente volume di Errico Cuozzo, Medi­ter­ra­neo medie­vale. La fal­co­ne­ria, Rug­gero II, il regno nor­manno di Sici­lia (Uni­ver­sità degli Studi Suor Orsola Benin­casa, pp. 350), esplora la tra­di­zione appena pre­ce­dente, quella di età normanna. 
Impresa non facile, come spiega nella pre­fa­zione Bau­douin Van den Abeele, ch’è uno dei mas­simi sto­rici dei Bestiari medie­vali: «La fal­co­ne­ria, in quanto feno­meno sto­rico, resta in gran parte da stu­diare. Il periodo della sua mas­sima fio­ri­tura, il Medio Evo cen­trale, ci ha lasciato una grande varietà di fonti, senza pure con­sen­tire una coper­tura sod­di­sfa­cente dello svi­luppo di que­sto modo di cac­cia. Biso­gna met­tere insieme dati sparsi e spesso cari­chi di moti­va­zioni secon­da­rie. È la sfida che ha deciso di affron­tare Errico Cuozzo nella sua inda­gine sulla fal­co­ne­ria nella Sici­lia nor­manna. A priori, il sog­getto pare pro­met­tente, per un con­te­sto che ha visto emer­gere la figura di Fede­rico II, l’imperatore fal­co­niere par excel­lence, erede del regno nor­manno di Sici­lia. Biso­gna però costa­tare che i docu­menti d’archivio che for­ni­scono dati sulla fal­co­ne­ria all’epoca nor­manna sono pochi, e dun­que l’autore di que­sto libro ci pro­pone un per­corso ‘inven­tivo’, un’indagine cioè che uti­lizza una plu­ra­lità di fonti così da offrire una rico­stru­zione sto­rica à part entière». 
In effetti, il volume è denso di dati tec­nici presi dalle fonti medie­vali e messi a con­fronto con le cono­scenze attuali in mate­ria; ma non man­cano ric­chis­simi appro­fon­di­menti di sto­ria cul­tura e sociale, accom­pa­gnati costan­te­mente da un cor­redo ico­no­gra­fico par­ti­co­lar­mente signi­fi­ca­tivo e impor­tante, vista la mate­ria trat­tata. Al ter­mine della let­tura, due evi­denze emer­gono da Medi­ter­ra­neo medie­vale. La prima riguarda l’inutilità di con­trap­porre il medioevo sim­bo­lico a quello della pra­tica, tal­mente que­sti due livelli sono inter­con­nessi; e il tema della fal­co­ne­ria, così intriso di valori caval­le­re­schi, è adatto a dimo­strarlo. Al con­tempo, il titolo scelto evi­den­zia quanto la sto­ria medi­ter­ra­nea sia cen­trale in quest’epoca, al punto da coin­vol­gere così pro­fon­da­mente anche quei Nor­manni che giun­ge­vano da mari ben più nor­dici, ma che sep­pero farsi inter­preti straor­di­nari della koinè del Mare Nostrum.

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