giovedì 9 aprile 2015
Continua la molesta campagna di stalking di Repubblica in favore della socialdemocrazia: Ariel Dorfman
La parola sinistra /4 La Sinistra nel Paese delle meraviglie“Alice” compie 150 anni, ma ancora oggi la sua realtà rovesciata svela errori e speranze del popolo progressista: la rilettura dello scrittore cileno
di Ariel Dorfman Repubblica 8.4.15
NON lontano dal luogo di pubblicazione e a pochi mesi dall’uscita, nel
luglio 1865, una bambina leggeva Le avventure di Alice nel Paese delle
Meraviglie ai piedi del padre alle prese, nel suo studio di Londra, con
tutt’altro genere di libro, uno che avrebbe cambiato il mondo. Il nome
della bimba era Eleanor, ma in casa la chiamavano Tussy. Suo padre era
nientemeno che Karl Marx, impegnato nella stesura de Il Capitale in
situazione di grave difficoltà economica: perennemente in bolletta,
inseguito dai creditori, viveva «grazie al monte di pietà», come
confessa in una lettera al suo benefattore, Frederic Engels.
Marx amava moltissimo la sua piccola Eleanor, non ci sarebbe quindi
nulla di strano se l’uomo che ispirò gran parte delle grandi rivoluzioni
dei 150 anni a seguire avesse letto il classico della letteratura per
l’infanzia che tanto appassionava la figlia. È altrettanto probabile che
gli uomini e le donne che di quelle sollevazioni furono capi,
partecipanti e spesso vittime, apprezzassero Alice , un libro
straordinariamente famoso (si dice che fosse secondo in popolarità solo a
Shakespeare e alla Bibbia). Peccato che i radicali e i rivoluzionari
del secolo successivo non abbiano in genere fatto tesoro di certi
insegnamenti nascosti nel libro utili a evitare tante insidie, tranelli
ed errori, che portarono alla catastrofe invece che in paradiso.
« Il gioco era così confuso che lei non sapeva mai se fosse o no il suo turno » .
Ho letto e riletto il libro di Lewis Carroll, ma precipitare per
l’ennesima volta nel pozzo tenendo a mente 150 anni di lotte per un
mondo migliore è stata un’esperienza rivelatrice e spesso inquietante,
perché in molte espressioni e situazioni ho trovato assonanze con la mia
personale esperienza di impegno progressista. Non ho forse trascorso un
infinità di tempo «a dipingere (le rose bianche) di rosso» con i miei
brillanti compagni? Non eravamo noi a rispondere a chi voleva sedersi al
nostro tavolo «Non c’è posto! Non c’è posto!» mentre in realtà c’era
«posto d’avanzo»? Ripensando alle assemblee infinite in cui i militanti
di tutta una serie di organizzazioni di sinistra e di fazioni interne
«s’offendono così alla svelta», come il topo, e avendo speso tempo a
battibeccare su dettagli infinitesimali e nebulose, astruse teorie, non
posso ignorare la riflessione di Alice riferita al Cappellaio: «Sembrava
che non volesse dir nulla, eppure aveva parlato certamente in inglese
». E mi viene spontaneo identificarmi con lei quando dice pensierosa «È
terribile come tutti gli esseri discutono! Ce n’è abbastanza da far
diventare pazzi! ». Sappiate, voi che annuite concordi nel ricordo delle
vostre tristi esperienze con il politichese, che Lewis Carroll non ce
la fa passar liscia. Quando Alice, educata e sempre saggia, suppone —
come faremmo noi — di essere al di sopra del manicomio che la circonda,
lo Stregatto non ha problemi a dimostrarle che è pazza, al pari di tutti
gli altri: «Come fa a sapere che sono matta? ». «Per forza» — disse il
gatto. Se no non sarebbe qui». Nel Paese delle Meraviglie a volte la
pazzia generale prende forme innocue e assurde ma spesso si materializza
in una violenza ostinata e angosciante. «Prima la sentenza », ordina la
Regina di Cuori, quasi fosse Stalin o Mao, «Il verdetto dopo». Botte,
processi burla, minacce di imminente esecuzione: «C’è una vera mania di
decapitare la gente qui! Mi meraviglio che ci sia ancora qualcuno vivo!
». Come se Lewis Carroll inconsapevolmente mettesse in guardia i lettori
dai rischi imminenti della dittatura.
« Mi potrebbe dire per favore che strada devo prendere per uscire di
qui? » . « Dipende in buona parte da dove lei vuole andare » rispose il
gatto.
Dove voglio arrivare con questa cupa riflessione su Alice e le sue
potenziali avventure nel Paese della Sinistra? È corretto trasformare un
libro così vivace e spensierato in una critica funesta dei progetti e
dei metodi radicali? Imitando avvilito la tetra Lepre Marzolina e
scegliendo la via delle lamentele non finisco forse per trascurare gli
aspetti essenziali, durevoli, amabili ed emancipatori della storia e dei
personaggi di Lewis Carroll? Alice nel Paese delle Meraviglie può
essere letto infatti anche come un testo eversivo, traboccante di spunti
utopici. Perché non sottolineare il convincimento di Alice che «le cose
assolutamente impossibili erano in realtà molto poche», un credo che ha
alimentato il fuoco di tante crociate sociali e che è stato
recentemente confortato dal movimento per i diritti omosessuali e dalle
iniziative e proteste ambientaliste? Perché non scrivere a lettere
cubitali la frase della Duchessa «Più c’è del mio, meno c’è del tuo», un
detto che fulmina le grandi società e i manager insaziabili che
incassano bonus miliardari e si oppongono all’aumento del salario
minimo? Di Alice nel Paese delle Meraviglie va soprattutto recuperato
l’umorismo sovversivo, sfrenato, la disobbedienza, la contestazione
dell’autorità, che hanno ispirato l’insurrezione e la resistenza e la
dissidenza di milioni di individui in 150 anni di storia, la visione di
una possibile realtà parallela che non obbedisce alle regole di una
società che ha disperato bisogno di cambiamento. È questa energia
carnevalesca che dovremmo far nostra come parte integrante dell’identità
progressista. A sinistra, ovviamente, esiste uno stile opposto: si
tende ad una pesante solennità, come se portassimo sulle spalle il peso
di tutte le tragedie della storia. Prendiamo sul serio noi stessi e la
nostra retorica, a buona ragione. La sofferenza è immensa, l’ingiustizia
intollerabile, il polo industriale- militare-di sorveglianza è sempre
più predatore, il pianeta sull’orlo dell’apocalisse. Tanto più quindi
abbiamo motivo di esultare quando ci capita di liberarci, di goderci il
brivido di infrangere le regole e di mettere in discussione le nostre
convinzioni, le nostre certezze e i nostri dogmi.
« Dev’essere un ballo mol-to grazioso » azzardò Alice.
« Ti piacerebbe vedere un po’ come si fa? — chiese la Finta Tartaruga. « Moltissi-mo » , rispose Alice.
Durante la rivoluzione cilena (1970-73), la gente del mio paese
partecipò a infinite marce e manifestazioni in difesa del governo eletto
di Salvador Allende.
L’energia dei fratelli e delle sorelle che avevo a fianco, il loro
coraggio, la capacità di resistenza, la fantasia, l’umorismo
irrefrenabile, i cartelli improvvisati, mi hanno sempre entusiasmato. E
non mi ha mai abbandonato la sensazione che gli uomini e le donne in
piazza possedessero un’energia e una creatività ben superiore rispetto
agli oratori (prevalentemente maschi) che tuonavano per ore dal podio,
incitando la folla. All’epoca mi chiedevo, come faccio ora a decenni di
distanza, come mai non fosse lasciato sfogo all’entusiasmo, alla
ribellione di quelle moltitudini democratiche, perché esistesse un
contrasto così netto tra i leader e il popolo. E mi addolora che la
nostra rivoluzione pacifica sia culminata in un cataclisma, Allende
morto, tanti torturati, esiliati, tutti quei sogni finiti. Il Re in
Alice nel Paese delle Meraviglie ha dei consigli seri e presumibilmente
di buon sen- so da dare a Bianconiglio su come raccontare una storia:
«Iniziate dall’inizio... e andate avanti fino alla fine; poi fermatevi».
Si sbaglia. Chi anela a un mondo diverso sa che arrivati alla fine non
ci si ferma, che il bisogno di giustizia non ha fine. Siamo invece come
lo Stregatto. Anche una volta svanito il nostro corpo resta comunque il
sorriso, una presenza spettrale, a testimoniare che un tempo c’eravamo e
che possiamo riemergere.
Sostanzialmente, come chi ancora crede che l’unica risposta alle guerre
in corso e all’avidità della nostra epoca suicida sia il cambiamento
radicale, è questo che dovremmo imparare da Alice nel Paese delle
Meraviglie . Dopo tanti problemi e tante avversità abbiamo il coraggio
di rispondere all’invito della Finta Tartaruga: «Vuoi? Non vuoi tu?
Vuoi? Non vuoi tu? Vuoi? Non vuoi tu unirti al ballo? ». Credo che la
Finta Tartaruga non si sbagli quando, ballando, promette: «Altra
spiaggia, lo sai bene, c’è di là, di là dall’onde ».
Traduzione di Emilia Benghi © Ariel Dorfman, 2-015
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento